Dopo un lungo periodo di alti e bassi, da un paio d’anni Magura è tornata con convinzione nel campo dei freni a disco per mountain bike con degli impianti molto interessanti.
Gli MT7 di cui ci occuperemo in questo test appartengono alle serie gravity del brand tedesco, serie che viene completata dagli MT5 e dalla versione “Danny Macaskill signature” degli stessi MT7. L’asso scozzese ha infatti collaborato allo sviluppo di questo impianto, che come intuibile è consigliato per gli utilizzi più gravosi e trova il campo di applicazione ideale nell’ambito che va dall’enduro alla DH.
Abbinati ad una coppia di dischi Storm HC da 180 mm della stessa Magura, stiamo usando gli MT7 da oltre sei mesi su una Rose Uncle Jimbo montata con una forcella Manitou Mattoc. Sia la forcella che il telaio hanno attacco post mount per dischi da 180 mm, quindi non è stato necessario montare alcun adattatore.
Gli MT7 in sintesi
Numero di pistoni: 4
Olio: minerale (Magura Royal Blood)
Corpo pinza: forgiato in alluminio
Corpo pompante: in Carbotecture SL
Leve: in alluminio invertibili (Flip-Flop)
Regolazioni: distanza leve e punto di frenata
Sistema di ritenzione delle pastiglie: magnetico
Collarini integrati: sì, per comandi SRAM/Shimano
Peso dichiarato: 375 g
Made in Germany
Pesi rilevati
Impianto singolo con tubo da 820 mm: 244 g
Disco Storm HC 180 mm: 141 g
Bulloni fissaggio disco: 12 g
Bulloni fissaggio pinza: 11 g
Analisi statica
Il corpo pinza degli MT7 è un monoblocco in alluminio ed utilizza 4 pistoni, cosa che dovrebbe dare vantaggi in termini di potenza e di modulabilità. Magura produce pastiglie compatibili sia in due pezzi separati che “monopiastra” (in pratica su un’unica piastrina sono incollati due ferodi). Le differenze in termini di mescola non sono molto chiare, ma da quel che si può capire esistono tre versioni chiamate Race (la più performante), Performance e Comfort. La prima la si trova solamente sulle pastiglie in due pezzi, la seconda su entrambe le tipologie di pastiglie, la terza solamente sulle pastiglie monopiastra.
Mentre le pastiglie in due pezzi utilizzano il classico bulloncino di ritenuta, quelle monopezzo non lo richiedono e si affidano a due “uncini” che appoggiano sul corpo pinza. Molto pratico è il sistema di ritenzione delle pastiglie magnetico, grazie al quale le pastiglie stanno attaccate ai pistoncini senza dover utilizzare le classiche mollette.
Il corpo del pompante è realizzato in Carbotecture SL, un materiale particolarmente leggero che fa uso di carbonio sul quale Magura non fornisce ulteriori dettagli. Il registro del punto di frenata è in posizione comoda, ma azionarlo a guanti indossati è poco agevole. Più di un dubbio anche sull’efficacia, dato che spostandolo da un estremo all’altro non si notano grandi differenze. Man mano che le pastiglie si usurano, per mantenere costante il punto di frenata è quindi necessario compensare distanziando la leva. Se si hanno le mani sufficientemente grandi il fastidio è relativo, in caso contrario può esserci qualche problema in più.
Il registro per della distanza della leva, posizionato sulla testa della leva stessa, è invece facilmente azionabile anche con i guanti e consente un ampio range di regolazione. Misurando la distanza del vertice della leva dalla manopola, si passa infatti dai 55 mm della posizione più vicina ai 90 mm della più distante, due valori che accontentano tanto chi ha dei badili al posto delle mani che le mani da fatina.
Quello delle leve è un tema scottante quando si parla di Magura, dato che la stragrande maggioranza delle persone frena con un dito e quindi non digerisce le leve a due dita come quelle montate anche sugli MT7. Ciò detto, personalmente non ho avuto alcun problema ad utilizzarle con un solo dito, anche se chiaramente resta l’inconveniente della maggiore esposizione in caso di caduta rispetto ad una leva più compatta. Al di là delle preferenze personali, una leva a due dita su un impianto dichiaratamente concepito per le discipline gravity ha oggettivamente poco senso. Per mettere una pezza Magura ha in seguito introdotto le leve HC e recentemente le sofisticate e pluriregolabili HC3, ma inspiegabilmente i freni vengono ancora proposti con le leve a due dita (e comprensibilmente non tutti hanno voglia di tirare fuori 76 Euro per comprarsi le HC o addirittura i 136 Euro necessari per una coppia di HC3).
Il montaggio
Il routing del freno posteriore della Uncle Jimbo è interno al telaio, è quindi stato necessario tagliare e reintestare il tubo idraulico. A fine operazione la corsa della leva si era leggermente allungata ed il feeling era diventato un po’ spugnoso. Per ripristinare la perfetta funzionalità non è stato necessario uno spurgo vero e proprio, ma è bastato collegare una siringa con un po’ d’olio dal lato pompante ed aspirare la poca aria che era entrata nell’impianto. La procedura di spurgo/riempimento dell’impianto è in ogni caso molto semplice e del tutto simile a quella richiesta dagli impianti Shimano: si collega la siringa contenente l’olio dal lato pinza e si immette l’olio nell’impianto. Una seconda siringa priva di stantuffo collegata alla porta lato pompante funge da “vaso di espansione”. L’olio minerale, oltre ad essere meno aggressivo del DOT, mantiene inoltre le sue caratteristiche nel tempo, il che significa intervalli ben più lunghi fra uno spurgo e l’altro.
Il montaggio non ha richiesto nessun’altra particolare operazione, ed il connettore banjo permette di orientare il tubo in modo da assecondare la forma del telaio. Leggeri e di ottima fattura anche i collarini di fissaggio, disponibili anche per il montaggio integrato di comandi SRAM e Shimano.
Nonostante nel nostro caso i collarini fossero quelli standard, non abbiamo avuto alcun problema a posizionare correttamente il comando cambio Shimano e quello del telescopico Uptimizer.
Nella babele di chiavi necessarie per mettere le mani sulle moderne mountain bike, è apprezzabile che sugli MT7 si riesca a fare tutto con un’unica chiave Torx T25.
Sul campo
Gli MT7 hanno richiesto un tempo di rodaggio minimo, e già alla prima uscita la frenata era ottimale. Di potenza frenante ce n’è da vendere e – cosa ancora più importante – non viene erogata in modo brutale. Il feeling “consistente” offerto dalla leva nel momento in cui le pastiglie comiciano a mordere permette infatti di trasferire con estrema precisione la frenata alla ruota, evitando sia l’effetto digitale di alcuni impianti molto potenti che la spugnosità alla leva di altri particolarmente modulabili.
La resistenza al surriscaldamento è molto buona e gli spazi di arresto non si dilatano nemmeno dopo discese lunghe e continue. Idem la corsa della leva ed il feeling trasmesso alla mano, che restando costanti permettono di staccare all’ultimo senza il timore di brutte sorprese.
La scelta di montare un disco da 180 mm anche all’anteriore favorisce la modulabilità, e vista la notevole riserva di potenza è quella che mi sentirei di consigliare per bici da enduro e biker che non siano dei pesi massimi. Per usi più gravosi, o se semplicemente preferite una risposta più brusca, la scelta ideale è invece il disco da 203 mm.
Dopo mesi di utilizzo praticamente senza manutenzione e senza aver mai fatto uno spurgo i pistoncini rientrano ancora in sede alla perfezione, quindi nessun effetto affettatrice e sistema nervoso salvo.
Conclusioni
Con le leve ad un dito di montate di serie ed una maggiore efficacia del registro del punto di frenata, gli MT7 sarebbero praticamente perfetti, anziché essere solamente i miei freni preferiti e quelli che monterei sulla mia bici (sulla quale fortunatamente sono rimasti anche dopo il test). Bentornata Magura!
Prezzo: 219,90 € (singolo impianto)
Montati di serie sulla mia bici sono stati una gradevolissima sorpresa.
Ho gli MT5 con leve standard da due anni sulla Radon Slide, ed oltre a trovarmi benissimo sia come modulabilità (nonostante il disco da 203mm anteriore) sia come potenza, ho sempre usato agevolmente le leve con il solo dito indice.