2019: aumentano i casi di doping nel ciclismo professionistico

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32 casi di doping nel ciclismo nel 2019, 26 uomini e 6 donne. Casi riguardanti atleti di alto livello, élite e professionisti, non gli amatori. 24 casi riguardano il ciclismo su strada (4 in Mtb, 3 pista, 1 Bmx), il che rappresenta un +118% rispetto il 2018.



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Il Movimento per un ciclismo credibile (MPCC), nel proprio annuale rapporto commenta la cosa con una certa gravità: “[…]mai dalla creazione del nostro rapporto di credibilità (6 anni) le cifre riguardanti il ciclismo erano state cosi pessime“.

7 procedure di doping sono state fornite dall’operazione Aderlass, che ha rivelato l’esistenza dell’ennesima rete di doping fatta di medici, atleti e faccendieri vari, e che secondo gli investigatori è ormai quasi chiusa. Anche questa operazione però non ha rivelato, almeno per ora, nulla su eventuali coinvolgimenti a livello di fornitura delle sostanze e dirigenza delle squadre.

Il ciclismo ha fatto numerosi sforzi per ridarsi una credibilità negli ultimi anni, con effetti positivi proprio nel numero di casi rilevati all’antidoping, ma nel 2019 è tornato nella parte alta della classifica, al 5° posto per numero di casi, dietro la solita atletica, primatista da anni (81 casi nel 2019, 91 se si considerano anche quelli di corruzione); quindi il sollevamento pesi (78 casi) anche lui piagato da anni dal doping; e poi dai due sport nazionali americani, baseball e football americano (61 e 42 casi rispettivamente), anche loro da sempre affezionati alla parte alta di questa poco edificante classifica.

Scende un po’ l’Italia nella classifica di casi per paese (su tutti gli sport). L’anno scorso 3^ con 39 casi (42 contando quelli per corruzione) dietro le superpotenze USA e Russia, quest’anno 5^ con 20 casi dietro USA (108), Russia (74), Repubblica Dominicana (24)  e Kenya (21).

L’Italia si conferma il primatista europeo per il quarto anno di fila.

 

Commenti

  1. Io penso che il miglior deterrente sia la probabilità di essere beccati e ad oggi è ancora troppo bassa. Vuoi per il numero dei controlli, vuoi per il cronico ritardo delle metodologie di analisi rispetto alle metodologie dopanti, questo almeno a livello professionistico. A livello amatoriale molto probabilmente basterebbe intensificare i controlli ma i costi non sono facilmente sostenibili dagli enti organizzatori, quindi avanti così.....
  2. cesare RBO:

    Non conosco le vicende di Miriam e Marco nel dettaglio (scientificamente parlando) e nemmeno tu (se permetti)... ma una cosa mi sento di dirla: casualmente (dico casualmente) si tratta sempre di sostanze "utili" alla prestazione dell'atleta in oggetto (e alla sua "fisicità", quindi supposta necessità...) :nunsacci: strano, mai una volta che sia qualcosa di dopante (la lista delle sostanze è lunghissima) ma comunque estranea (se non controproducente) alle necessità dell'atleta in questione... sarà una banale perversione statistica, chissà...
    Oppure è anche un riflesso della medicalizzazione dello sport agonistico e della banalizzazione di questi interventi farmacologici, spesso necessari ma dei quali è lecito pensare che talvolta si abusi.

    Ovviamente parlo dei casi di positività per sostanze regolamentate ma non proibite tout court (es. infiltrazione sì via orale no, oppure vietata in competizione, oppure consentita fino ad un certo limite, ecc.). Se parliamo di sostanze vietate a prescindere e/o senza TUE cascate per caso nel sugo è tutto un altro discorso.
  3. Io credo che la linea di confine tra doping ed integrazione sia estremamente sottile, ecco perchè parto da li.
    Per me il concetto cardine dovrebbe essere questo: tutto quello che il tuo corpo non riesce a produrre per tempi o natura non può essere integrato.
    Pazienza se un tour dura il doppio o la metà. Pazienza se i tempi s alzano.
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