Il CAI di Belluno contro le mountain bike

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L’articolo inizia con un promettente “Il Club Alpino Italiano sostiene il cicloturismo, anche in quota”. Poi si scatena: “Ad una condizione: che percorra tracciati dedicati.”

Le parole sono di Renato Frigo, presidente regionale del CAI. Fa riferimento alla famosa legge veneta secondo cui tutti i percorsi in quota sono vietati alle MTB, e secondo lui i comuni dovrebbero far rispettare la legge.



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L’abuso viene perpetrato soprattutto dagli ultimi arrivati, che si cimentano con l’e-bike sul primo sentiero che incontrano. Magari senza sapere che è tra quelli vietati dalla legge regionale. «I sentieri alpini Cai, per essere inseriti nei percorsi cicloescursionistici autorizzabili», ricorda Frigo, «devono soddisfare le seguenti condizioni tecniche: larghezza minima del fondo viabile, sull’intero tratto interessato, di 1,5 metri; pendenza massima del 20% calcolata su un tratto di 2,5-10 m di lunghezza; mantenimento dell’uso promiscuo in sicurezza del sentiero alpino; ridotta velocità da parte dei ciclisti; specifica segnaletica rivolta agli utenti. Sono queste le condizioni degli itinerari dove gli escursionisti incrociano i bikers? Assolutamente no, nella maggior parte dei casi».

Dopo uno sproloquio che mostra chiaramente che non conosce il tema di cui parla (freeride, downhill, chi più ne ha più ne metta), conclude con: «Noi del Cai», conclude il presidente, «vogliamo dar voce a chi pratica la mountain-bike con spirito escursionistico, con genuina passione per la natura. Vogliamo dar voce a chi è abituato a muoversi in silenzio, a chi ama la sana fatica, a chi non considera l’ambiente montano come un luna-park. Difendiamo la montagna da chi la usa male».

Secondo Frigo, dunque, il cicloescursionismo del CAI deve tenersi sugli argini del Piave, sempre che siano larghi abbastanza? Oppure dovremmo andare sulle strade montane trafficate da lui e i suoi adepti che raggiungono le località di montagna per farsi l’escursione della domenica, dando fastidio anche lì perché devono rallentare?

Viene anche spontaneo chiedersi se il dare voce “a chi non considera l’ambiente montano come un luna-park” si riferisce anche a tutti i pedoni che prendono le funivie per andare in quota a mangiare polenta sovrapprezzo e soprattutto a tutti quegli sciatori che con il turismo invernale tengono viva l’economia montana.

 

Commenti

  1. morci:

    Per quello sarei interessato a capire come sono fatti questi "sentieri che si inerpicano nei boschi" che loro stessi pubblicizzano. Saranno le "autostrade" del CAI o ci sono comunità del territorio che non la vedono esattamente come la vede il CAI? D'altra parte il Nevegal è proprio un chiaro esempio di territorio un tempo vocato allo sci e che ora si vede costretto a reinventarsi dalla crisi climatica.
    Non conosco la zona, ma è probabile che si tratti di percorsi creati exnovo.
    Ma di nuovo ricadiamo nel modello bike park. Che è un modo più elegante per definire un ghetto.

    morci:


    Comunque l'"esempio Nevegal" suggerisce che non sono solo gli amanti nel gravity ad essere chiamati in causa.
    Io temo di sì, invece. Basta andare in qualsiasi località turistica e contare, anche ad occhio, le tipologie di utenti.
  2. No, le automobili non democratizzano la montagna come le ebike, perché non si arriva ai rifugi di alta montagna in auto. Oh, l'articolo è sulla chiusura dei sentieri, eh!
  3. sembola:

    Non conosco la zona, ma è probabile che si tratti di percorsi creati exnovo.
    Ma di nuovo ricadiamo nel modello bike park. Che è un modo più elegante per definire un ghetto.
    Dipende molto da come viene fatta la cosa. Anche i sentieri "pedonali" sono stati fatti da qualcuno e non sono certo naturali. Se viene realizzata una ragionevole rete di sentieri senza per forza riempirli di paraboliche stile bike park non sarebbe poi molto diverso che percorrere i sentieri (ugualmente opera umana) da condividere con i pedoni.
    Che poi si rischi la diffusione dell'idea "piste da sci d'inverno e bike park d'estate" come modello economico questo è sicuro. Bisognerebbe stare attenti a premiare quei posti che al posto del (o accanto al) bike park presentano una rete di sentieri "simil-natuali" (come, ripeto, lo sono tutti comunque) per le MTB.
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