Finale Ligure è stata una delle gare più attese di tutta la stagione enduro 2013, il “Grand Finale” del circuito Superenduro Pro e delle Enduro Word Series. Un doppio evento insomma, che ha giustamente attirato l’attenzione di tutto il mondo della mountain bike. Poteva mancare il vostro infiltrato? Ovviamente no, ecco il report della gara!
Giorno 1
La gara di Finale, come ben sapete, è stata suddivisa su due giorni: sabato 4 prove speciali, domenica 2 PS ma con un lungo trasferimento per raggiungere la prima.
La gara parte la mattina presto: alle 8:30 parte Jerome Clementz, con la tabella numero 1. La mia partenza è invece prevista decisamente più tardi, alle 10:30. Non mi lamento, posso dormire un paio d’ore in più!
Il primo trasferimento è a tutti gli effetti un riscaldamento. Il tempo è larghissimo, si può salire con estrema calma e far girare la gamba, arrivando in cima a San Bernardino, dove inizia il Dolmen, con largo anticipo. Per evitare di raffreddarmi troppo le gambe mi fermo al ristoro per poi ripartire quando mancano 10 minuti alla mia partenza. Sono tattiche di gara anche queste…
Inizia la PS1. Il Dolmen parte subito con un tratto da pedalare, vado conservativo alternando tratti di rilancio a tutta a tratti di recupero: la gara è lunga, meglio non strafare. Guido bene: rimanere lucido ti permette di scendere in maniera efficiente, evitando di sprecare inutili energie. Il sentiero nella parte centrale diventa più tecnico ed arriva il famigerato passaggio del pietrone, quello dove il povero Sandrone si è fatto male…
Si tratta di un passaggio tecnico, che va studiato. Si possono scegliere 3 linee: la prima, la meno efficiente segue il sentiero originale (sulla destra della foto), la seconda prevede di aggirare il masso sfruttando un taglio tra gli alberi, la terza di puntare dritto sul pietrone e saltare. La linea più efficiente è il taglio negli alberi, ma in molti pensavamo l’avrebbero chiuso per la gara.
Il pietrone di per se non è alto, la difficoltà sta nel fatto che l’atterraggio è stretto, in salita e devi fare il filo ad una roccia quando atterri. Si vede bene nella foto… Quella che però è la difficoltà principale è che si tratta di un salto cieco e che prima di saltare devi salire sul pietrone, perdendo tantissima velocità. Il rischio è insomma di arrivare troppo piano, con conseguente impunto. Se non lo conosci, non è per niente facile.
Data la difficoltà del passaggio, nonostante abbia fatto un solo giro in prova sul Dolmen, ho comunque provato un paio di volte il passaggio, studiando bene velocità e direzione d’uscita.
Un conto però è la prova, un conto è durante la gara… Se in prova era filato tutto liscio ed ero atterrato pulito, quando arrivo in gara la musica cambia… Le braccia e le gambe sono già provate da più di metà PS. Arrivo sul salto, lo affronto come da programma,ma al momento dell’atterraggio il colpo è talmente forte che le braccia non mi reggono. Mi “spalmo” sulla bici, accasciandomi sulla sella e sul manubrio. C’è poco spazio, riprendo il controllo al volo per non esplodere sulle pietre davanti: ce la faccio per un pelo. Sono sulla linea giusta per il passaggio successivo, ma che rischio! Ho perso 1 anno di vita e se penso a cosa sarebbe successo da li a 10 riders dopo, mi viene la pelle d’oca…
Continuo la speciale, affronto bene il tecnico cavatappi poco dopo, rilancio con decisione sul lungo mezzacosta successivo, affronto l’ultimo tratto ripido e mi butto a cannone in mezzo alle pietre della mulattiera. Finalmente arriva l’ultima variante appena costruita: manca poco all’arrivo. Prendo la linea più ripida, l’ho provata e so che è fattibile nonostante appaia una scelta kamikaze quando la vedi. La supero indenne, stringo i denti per l’ultima pietraia ed arrivo al traguardo. La speciale è andata bene, ho guidato come avrei voluto e sono soddisfatto. Mi sono giocato il mio jolly, è vero ma per fortuna sono rimasto in piedi!
Inizia ora il secondo trasferimento, verso la Caprazoppa. La “Capra” è la PS più impegnativa della gara. Ripida, tecnica, insidiosa, con un infinito tratto da pedalare proprio prima dei due passaggi più difficili di tutta la speciale: il tornante a gomito e la “cascata di roccia”. Insomma una PS molto tattica ed insidiosa.
Se prima siamo saliti su asfalto, adesso passiamo dalla ripidissima Strada Napoleonica, un ripido tracciato su rocce e ghiaia che in pochi chilometri porta alla cima del monte.
Per evitare che qualche “furbo” (o meglio imbroglione), passi dalla più comoda salita asfaltata è stato posizionato a metà della Strada Napoleonica un check point, dove punzonavano la tabella: un’idea semplice, ma allo stesso furba per evitare imbrogli. Il tempo di trasferimento è comodo, si può tranquillamente scendere a piedi e spingere sulla ripida e sassosa salita, ma sfruttando il 34-42 riesco a pedalare quasi tutto senza troppi problemi.
Arrivo in cima, con buono anticipo. Aiuto il mio compagno di squadra Andrea a sistemare la forcella che si era improvvisamente accorciata alla fine della PS1 ed inizia la mia seconda speciale.
La Caprazoppa è uno dei sentieri più ostici del finalese e per renderla ancora più difficile gli organizzatori hanno deciso di aggiungere un lungo tratto pedalato prima della discesa vera e propria.
Il primo tratto di speciale è un unico rock garden: devi guidare bene, puntare le linee giuste per mantenere la velocità. La pendenza è poca, l’impunto è dietro l’angolo. Ad un certo punto arriva un tornante a sinistra, svolti ed inizia l’inferno: un lunghissimo tratto di salita tecnica che non molla mai. Pietre fisse, scivolose: qui non basta darci dentro sui pedali, devi rimanere lucido e guidare pulito scegliendo le giuste traiettorie. “Devi restare lucido”, è vero ma il mio obiettivo è il tempo, quindi parto come un disperato. Gravissimo errore… Se in un primo tratto le cose vanno per il verso giusto e salgo bene sfruttando la velocità, a metà sono morto. Perdo lucidità, sbaglio le traiettorie, mi pianto tra i sassi. Il pedalato non finisce mai, più sbagli linee più vai in affanno, più sei stanco più sbagli linee…
Inizia il tecnico, la stanchezza fa da padrona. Sbaglio il primo tornante, non mi viene il nose press… Piede a terra, giro la bici e riparto, ma quanto tempo perso! Arrivo al tratto tecnico, la cascata di roccia, e lo supero piuttosto bene e con sicurezza. Ingrano un po’ la marcia, ma la stanchezza fa da padrone e non guido pulitissimo. Finalmente la fine della PS! Sono bollito, ma ho decisamente l’amaro in bocca… Dovevo gestire meglio il pedalato, avrei fatto decisamente meglio il resto della speciale.
Controllo orario sul lungomare, piccolo check-up della bici: è tutto in ordine, si riparte.
Il terzo trasferimento è quello dei ponti romani, un classico della gara di Finale ma sempre impegnativo. Dopo un primo tratto di salita ripida su asfalto, inizia un tecnico sentiero a salire. Gradoni di roccia, canaloni, tratti ripidi. Alla faccia di chi dice che nel Superenduro si sale solo su asfalto! Il tempo questa volta è più tirato, bisogna salire allegri e non perdere troppo tempo.
Durante la salita alcuni spettatori ci fermano: “La speciale 4 è stata annullata, purtroppo a causa di un incidente nella PS1 la gara è stata fermata 1 ora e mezza e non si riuscirebbe a rimanere nei tempi”.
Inizia la PS3, l’ultima di giornata a questo punto. Per fortuna l’ultima, perchè il trasferimento verso la PS4 sarebbe stato tiratissimo: 45minuti, speciale compresa, per salire da Noli al Bric dei Crovi: una cronoscalata insomma, la maggior parte dei riders avrebbero preso penalità.
Sapendo che è l’ultima speciale decido di dare il 100%. Parto a cannone, spingo con decisione sul pedalato. Inizia il tratto guidato, scendo bene, sono fluido e concentrato. Ad un certo punto mi avvicino alla chiesetta, la zona dove il giovedì siamo stati assaliti da uno sciame di calabroni che poco apprezzavano il passaggio dei riders. Mi distraggo: “Chissà se ci sono ancora?”.
Regola uno dell’enduro: mai distrarti durante la guida… E così, in un nanosecondo sbaglio una linea e mi sdraio in mezzo alla polvere… “Bravo stupido: pensa ai calabroni invece che alla speciale!” Nel frattempo il rider dietro di me mi raggiunge e mi sorpassa. Riparto, ma ho preso una bella botta alla coscia. All’inizio la gamba va bene, ma sento il muscolo contratto, sempre più duro. Guido bene dopo la chiesetta, scendo veloce. Arrivano i tornanti, sul ripido la gamba comincia a tirare. Affronto le prime curve, sento il muscolo in tensione. Arrivo quindi ad uno stretto tornante a destra, che richiederebbe un nose press preciso per girare. Rallento, ordino alle gambe di far alzare bici per girare, niente: muscoli inchiodati. Mi fermo, ci riprovo: nulla. La ruota davanti scivola, mi pianto contro le transenne di legno. Boh, sono bloccato… Scendo dalla bici, la giro e riparto incarognito come una bestia.
Le energie ritornano, affronto super aggressivo l’ultima scalinata e salto senza pensarci due volte l’ultima serie di scalini, con un flattone su asfalto niente male. Ultimo rilancio in piano, ora le gambe girano. Dov’erano al momento del bisogno? Finisce la speciale, posso riprendere fiato.
Lungo trasferimento lungo la costa fino a finale ed arriviamo in piazza per il finish della giornata odierna. Sono state “solo” 3 speciali, abbiamo fatto a malapena 1000m di dislivello ma stanchezza è molta. La gara di quest’anno è veramente tosta!
Giorno 2
La Domenica è all’insegna del fantameteo. Le previsioni danno pioggia e se dovesse piovere la Caprazoppa sarebbe un vero terno al lotto, già difficile con l’asciutto, al limite del fattibile con il bagnato. La mattina quando ci svegliamo e ci rendiamo conto che non piove, incrociamo le dita.
Oggi ci aspettano due speciali, ma il trasferimento per la prima è bello lungo. Partiamo, la partenza era stata anticipata alle 8 per evitare la pioggia, ma poi ritardata per problemi tecnici. Il primo trasferimento è piuttosto lungo, come detto, ma con quasi 2 ore di tempo a disposizione si può salire molto tranquilli. Senza sforzarmi, arrivo su con 45 minuti di anticipo! Mi fiondo al ristoro, mangio un po’ di dolci e soprattutto bevo molto (è fondamentale bere in una gara di questo tipo), poi inizio a patire il freddo e la lunga attesa.
Inizia la speciale, il Cacciatore-Madonna della Guardia, due dei sentieri “storici” del finalese. Stavolta la discesa è molto diversa dalle altre: più larga, molto, ma molto veloce. Bisogna lasciar andare la bici il più possibile, senza farsi spaventare dagli alberi che ti sfrecciano di fianco a tutta e rilanciare il più possibile sui lunghi tratti di mezzacosta, dove la pendenza, da sola, non basta per farti prendere velocità.
A metà una strada bianca, affronto i tornanti con decisione, rilancio. Le gambe girano bene! Inizia il secondo tratto, guido veloce, pulito. Non mi ricordo bene il sentiero, l’ho provato poco, ma so che bisogna fare solo una cosa: andare a manetta! La discesa è lunga, sono stanco mano a mano che si avvicina la fine, ma mi aspettano ancora gli ultimi gradoni di roccia. Le braccia non mi reggono quasi ma, grazie all’incitazione del pubblico, con un ultimo sforzo affronto il passaggio senza rallentare più di tanto. La speciale è finita, veramente bella e non ho commesso errori!
Ultimo trasferimento, anche questa volta tutto su asfalto ed arriviamo alla Caprazoppa. 1 ora e mezza è tanto, ci si può prendere tutto il tempo che si vuole. Questa volta però affronterò la speciale diversamente, con più tattica.
Parto, inizia il primo tratto guidato tra le rocce. Scelgo bene le linee, punto a non strafare ed a guidare fluido, la tattica paga. Arrivo nel pezzo pedalato ancora fresco, ma stavolta, memore di quello che è successo ieri, decido di gestire meglio le energie e di tenermi. La tattica paga, con una guida efficiente e scegliendo le giuste traiettorie non solo mi stanco meno, ma ci impiego anche molto meno tempo.
Inizia la discesa, stavolta sono più lucido. Affronto il tornante con un bel nose press, come in prova! Cascata di roccia, tutto fila liscio, esco pulito e veloce. Guido bene tutto il tratto dopo, con la dovuta lucidità mi stanco anche di meno. Sono entusiasta: sto facendo una speciale da manuale! Sono quasi al fondo, mancano solo poche centinaia di metri.
Davanti a me un passaggio roccioso, da prendere sulla sinistra se vuoi andare forte, a destra se vuoi andare conservativo. Sono stanchissimo, ma non importa: l’ho sempre fatto a sinistra, perchè cambiare linea proprio ora?
Arrivo sulle rocce, per la stanchezza sono rigido, troppo rigido. Una pietra mi fa sbacchettare l’anteriore, la bici devia a sinistra e salto fuori dal sentiero. Un bel salto nel vuoto… Mentre sono in volo vedo sotto di me finalborgo, la vista non è male, peccato stia precipitando nel vuoto! Dopo aver contemplato il paesaggio da questa angolazione “particolare”, tocco il terreno ed esplodo in mezzo ai rovi, cado di testa, mi giro il collo e rotolo di sotto. Mi rialzo, stranamente indenne: sono sorpreso… Capito di essere vivo, penso alla gara: avevo fatto una discesa perfetta ed ora ho buttato via tutto.
Cerco di risalire, ma il versante è troppo ripido. I rovi mi sfregiano ovunque, salgo alcuni metri e poi ricado, rotolando dove mi sono fermato. Non riesco a portare su la bici, neanche a risalire a piedi: come diavolo faccio? Arriva un po’ di gente, facendo una catena umana si fanno passare la bici, poi mi tirano su di peso. “Non ti ammazzare, domani vogliamo il report sul Forum!” mi urlano, penso che siano il direttore o Jack, ma in realtà non sono ancora riuscito a scoprire chi è stato a recuperarmi dal dirupo.
Risalgo, dolorante e saguinante per i rovi. Meglio comunque un po’ di graffi che sfracellarsi sulle pietre, faccio per risalire in bici ed arrivano dei riders. Pensando sia solo uno, aspetto per farlo passare. Sono rintronato ed i freni si sono girati nella caduta, li giro. In realtà quello che pensavo essere un singolo rider, era un interminabile trenino composto da ben 7 persone, una in fila all’altra. Che diamine ci fanno 7 riders uno dietro l’altro? Tutte a me devono capitare… Mi accodo, tanto ormai gara e speciale sono andate.
Finisce la speciale, sono ancora rintronato per la botta. Cerco di capire chi sono e come mi chiamo, poi visto che sono tutto intero riparto verso il finish. Arrivo in piazza, controllo delle punzonature e la gara è finita.
Il percorso e la gara
Oggi scrivo con un forte male al collo, le braccia sfregiate dai rovi, ma sono contento comunque contento di aver preso parte alla gara. Non sono uno che punta alle prime posizioni, ma la soddisfazione di aver corso a Finale è tanta. Il livello della gara era alto, soprattutto per la difficoltà dei percorsi e per la loro fisicità.
Quello che ha reso la gara particolarmente difficile non è stata la lunghezza complessiva o il pedalato nelle speciali (non c’era da pedalare più di tanto), quanto più la fisicità dei percorsi. Tratti tecnici, stretti, polverosi. Passaggi impegnativi, da affrontare subito dopo lunghi tratti di pedalato. Nessun momento di tregua, nessun tratto dove riprendere fiato. Questo è vero enduro, così deve essere una gara di coppa del mondo.
Finale, quest’anno, si è dimostrata una gara enduro con la “e” maiuscola, con percorsi di un livello superiore rispetto agli anni precedenti. I tempi di trasferimento poi, con l’ultima risalita super tirata, avrebbero messo a dura prova anche le capacità pedalatorie dei riders, che sarebbero dovuti salire forte, per non sforare, e subito ripartire a tutta nella speciale.
Ovviamente, visto il livello della competizione, non si è trattato di una gara adatta a tutti. Ci stiamo sempre di più avvicinando ad un punto in cui è lecito chiedersi: è giusto lasciare che una gara di coppa del mondo sia aperta a tutti, o forse è meglio fare una certa selezione sugli iscritti? Non c’è il rischio che il week end warrior possa trovarsi in pericolo su percorsi oltre la propria portata?
Sono tra l’altro convinto che il format “italiano”, se così vogliamo chiamarlo così, ovvero quello che prevede i trasferimenti pedalati senza l’uso di impianti, sia quello che meglio incarna lo spirito enduro. Enduro non vuol dire bike park, non vuol dire salire con gli impianti ed andare a tutta su sentieri più o meno artificiali. Enduro significa salire con le proprie forze e scendere su sentieri naturali, magari ripuliti e migliorati per essere più adatti alle bici, ma comunque che rispecchiano le caratteristiche del luogo. A finale troveremo tanta roccia e passaggi tecnici, a Punta Ala più terra e curvone, a Whistler tappeti di radici e ripidoni, ma correre sulle piste di un bike park non è enduro.
Da questo punto di vista, Finale è stata una gara di vero enduro.