Ore 19, Stavelot (Belgio).
Nel ristorante dell’albergo, nel tavolo di fianco al mio sta mangiando il Team Radioshack. Fabian Cancellara sorride verso un punto fisso nel vuoto, Jens Voigt sorride verso un punto fisso nel vuoto, ma non lo stesso di Cancellara; Andreas Klöden armeggia concitato col cellulare, Franck Schleck fissa lo sformatino di riso bollito con sopra una scaglia di salmone affumicato che ha nel piatto con l’aria di chi ha appena subito un lutto.
Ad un certo punto, al buffet, sto per scazzuolarmi nel piatto una mestolata di barbabietole quando noto a fianco a me Franck Schleck: nel suo piatto c’è mezza patata lessa e 3 (tre) foglie di insalata e lui mi fissa con aria luttuosa. Io do un rapido sguardo al mio mestolo di barbabietole, fisso Schleck, fisso il mestolo, e poi con aria imbarazzata/colpevole svuoto della metà il mestolo e mi ridirigo verso il mio tavolo con il piatto mezzo vuoto (immagino che per lo Schleck sia mezzo stracolmo).
Per i seguenti 20 minuti nessuno proferisce mezza parola, chi fissa il proprio pugno di riso, chi armeggia col cellofono. Solo i team managers chiaccherano tra di loro. Alla fine tutti si alzano e sciabattano rapidi verso le proprie stanze.
Ore 23.45, Les Deux Alpes (Francia).
Nel ristorante dove si è riunito lo staff della Sram, da cui stiamo mangiando a scrocco la fine del pasto io ed il diretur, fanno il loro ingresso un gruppo di dirters austriaci.
5 tizi coperti di tatuaggi dalle orecchie fino alla punta delle dita, in canotta (io sono annidato dentro il mio pile), con berrettini o cappelli di paglia. Sono tutti sorridenti ed accompagnati da 3 (tre) tizie in canotta e micropantaloncini, con orecchini, piercings e tatuaggi ovunque. Credo che una abbia tatuate persino le ascelle.
La visione delle tre tizie ammutolisce tutto lo staff Sram. I dirters si siedono ed ordinano. Dopo poco arrivano 12/15 birre e 8-9 mojitos e due friggitrici elettriche dentro cui cominciano a far rosolare i pezzi di carne delle loro fondues bourguignonnes. Un fotografo scatta foto di continuo all’allegra tavolata. Si respira un’aria a metà tra il grande fratello e “la dolce vita”.
Ore 21, casa mia.
Sono spaparanzato sul divano con una Coca-cola zero in mano e leggo sul pc i litigi degli utenti di bdc-forum riguardo le saldature dei telai in acciaio. Poi mi sposto con un click sui litigi degli utenti di bdc-forum riguardo i cuscinetti dei mozzi. Sto per cliccare per leggere qualche altro litigio quando il diretur mi chiama su skype:
Diretur: “Scrivi una qualche sclerata divertente di quelle con lo sheriffo che ti sodomizza in bici”
Io: “Le storielle Fantozziane dopo un po’ stancano”
Diretur: “Ma no”
Io: “Ma si, e poi non ho la materia prima visto che non esco con lo Sheriffo da un po’”
Diretur: “E cosa aspetti? Vola verso la ridente valle! Il Pugno sul glande ti aspetta!!” (-il Diretur chiama cosi’ “Buglio al monte”, la comunalità sheriffesca-)
Io: “Mhm…sai che lo sheriffo non mi parla più da quella volta dei pizzoccheri”
Diretur: “Ooooh, che palle! Che permalosi che siete!”
Io: “Permaloso io!?!”
Diretur: “Vabbé…perché non fai una qualche impresa epica che poi va a finir male? Cosi’ poi ne viene fuori una cosa divertente!”
Io: “Se va a finire proprio male male la scrivi tu immagino…”
Diretur: “Non COSI’ male, sacripante che non sei altro!” Fai una gara Xc ad esempio!
Io: “non mi sono mai piaciute le gare xc…e poi cosa c’è di epico?”
Diretur: “ma non la gara della parrocchia! Fammi vedere”
Io: “vedere cosa?”
Diretur: “aspe”
-dopo 5 minuti-
Diretur: “trovata!”
Io: “chi? cosa?”
Diretur: “la gara caro il mio bello addormentato. La Salzkammergut!”
Io: “la che?”
Diretur:”Non ti preoccupare, e mettiti a pedalare che Luglio è vicino!”
Io: “ma che è? dov’é?”
Diretur: “ora metto giù, gooogola.”
14 Luglio, Ore 4 am.
Mi infilo la tenuta xc e vestito da “flying condom” mi dirigo alla sala della colazione.
Ci sono altri 6 tizi vestiti da Würst che con la faccia incazzata mangiano tonnellate di roba.
Io abbozzo un sorriso, ma i commensali fissano le loro scodelle.
Appena prendo la mia roba dal buffet e mi siedo tutti si alzano e se ne vanno. Penso: “mah…”
Finisco di mangiare controvoglia e mi dirigo in stanza a prendere lo zainetto ed il casco. Poi verso la reception, dove mi accoglie Fraü Blücher, la tenutaria dell’hotel StambergHof dove alloggio.
E’ fresca e sorridente come alle 20 della sera precedente quando l’ho salutata.
Senza dire una parola mi accompagna verso la rimessa delle bici.
Prendo la bici e mi dirigo verso l’ascensore da cui siamo venuti. Ma Fraü Blücher mi fa “no” col dito e poi mi indica la direzione con il medesimo indice. In fondo ad un corridoio c’è una porta di sicurezza. Spingo ed entro.
Una puzza micidiale mi accoglie e mi fa sussultare. Sono nel locale immondizia, dove c’è una specie di container di monnezza pronto per essere smaltito. Una piccola porticina mi indica l’uscita e la imbocco.
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Sono fuori all’aperto. Buio. Silenzio.
Scendo al buio per 2km lungo la strada che porta al paese. Comincio a sentire della musica da degli altoparlanti, ombre di bikers in bici, odore di zuppa.
In griglia non c’è molta gente. Tutte facce tirate e concentrate. Polpacci ipertrofici ovunque.
Accanto a me uno slovacco (c’è scritto sulla tabella col n° di gara attaccata alla bici) con due polpacci e due bicipiti da KenShiro mi guarda e mi indica lo zaino.
Non capisco, allora lui mi fa girare premendomi un dito sulla spalla e poi mi chiude una tasca dello zaino.
Sorrido e ringrazio. Penso pero’ che forse tra 3 minuti mi esploderà la testa o la spalla grazie alla tecnica Okuto dello KenShiro slovacco.
Ore 5. Si parte.
In salita, nel silenzio.
Spigo sui pedali e sento un senso di nausea. Penso: “merda“.
Ma non è quello, è più come quando si capisce di aver preso freddo appena mangiato. Faccio finta di niente. Pero’ penso: “no, no, no.”
Ore 8.
Il senso di nausea si è fatto più forte e mi viene da vomitare. Intanto si continua a pedalare prevalentemente in salita. Penso che forse devo vomitare mettendomi due dita in gola. Poi penso che no, forse è meglio di no. Penso che non so cosa è meglio.
Ore 12.
Comincia a piovere. Forte. In discesa c’è un sacco di gente che va a piedi in mezzo ad acquitrini di fango ed acqua. Non me la cavo male, ma alla fine scendo a piedi perché troppa gente fa da tappo.
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Ore 14.
Pedalo sotto un acquazzone su una salita larga e sterrata. Sopra di me nuvole, sotto le gomme acqua ed ancora acqua. La nausea è meno forte e sento finalmente le gambe meno vuote. Davanti a me una rampa lunghissima ed anima viva. Dietro di me la lunghissima strada appena fatta e nessuno.
Mi fermo.
Sento solo il rumore forte della pioggia. E penso che non so dove sono, non so se sono già fuori tempo massimo o no.
Penso che è finita. Penso che “finita” è una parola tremenda. Gli stimoli mi vanno di colpo a zero.
Di colpo vedo due tizi che scendono in bici. Vedo la dicitura “ITA” sulle tabelle. Loro pure. Mi salutano con voce mesta: “ciao“.
Si ritirano, penso.
Nel frattempo sale un tizio austriaco che va molto più di me in salita, ma che ho già ripreso 5 volte in discesa. Mi guarda sorridendo, quasi a scusarsi.
Gli chiedo se siamo fuori tempo massimo.
Ride e mi risponde: “No! We’ve got plenty of time! Com’on!”
Tiro un sospiro rassegnato e lo seguo.
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Ore 15.30
Sono fermo ad un ristoro. Piove e me ne sto fermo sotto la pioggia. Tremo.
Tutti i tizi del ristoro mi guardano e parlottano tra di loro.
Penso che stiano chiedendosi se sono scemo a star fermo li senza fare niente.
Una ragazza mi chiedo se ho freddo.
Rispondo, tremando, di si.
La ragazza guarda gli altri. Gli altri si guardano tra di loro un po’ basiti.
Penso che dovrei muovermi se voglio restare in gara, ma allo stesso tempo penso che non ho voglia. Mi sento bene fisicamente, ma la testa mi dice di fermarmi li a mangiare un bretzel ed una tazza di the caldo e guardare le nuvole basse che scrosciano acqua.
Chiedo se hanno the caldo.
Mi rispondono che no: solo wasser, “iso” e red-bull.
Rimonto in sella e parto in salita.
Spingo bene. Salgo come mai prima in giornata. Recupero un tot di gente.
Poi inizia la discesa. Un mare di fango e sassi in un singletrack stretto ed abbastanza ripido.
Davanti a me 4 tedeschi che vanno a piedi. Nessuna possibilità di superarli.
Penso che tanto valeva fermarmi prima. Gli occhi mi bruciano per il fango, ma con gli occhiali non vedevo più niente.
Arriviamo dopo un tempo lunghissimo a piedi ad un altro ristoro.
Mi fermo di nuovo sotto la pioggia a guardarmi attorno.
La gente mi guarda e non capisce. Una signora mi chiede in italiano: “Finito?”
Io rispondo che non lo so. Ed è la verità, perché la testa mi dice di si da ore, mentre le gambe mi dicono che no, di continuare.
Sento la signora che dice sottovoce ad un tizio: “Sinnlos“.
Penso che ora mi è tutto chiaro.
Penso che avrei dovuto decidere prima se finire o andare in fondo. Penso che tutte queste pause senza senso sono state solo una scusa per perdere tempo. Tempo che non ho. Perché nelle gare nessuno ha tempo da perdere. Penso che in generale nessuno ha tempo da perdere. Penso che forse non è bene.
Proseguo.
Ore 16.
Arrivo ad un bivio, ma un signore mi fa cenno di fermarmi. Poi, con un paio di forbici mi taglia le fascette che fissavano il chip alla bici.
In quel preciso istante penso che sono contento.
Ore 16.20
Arrivo davanti la porta dello StambergHof. Dopo altri 100mt di dislivello dal paese. I primi fatti senza quel senso di peso “interiore”.
Fermo il Garmin: 132km, 4300mt di dislivello.
Penso: che spreco.
Il giorno dopo, in macchina, ripulito e riposato penso che il ciclismo non dovrebbe essere solo un pugno di riso, un calcio in culo ed a letto alle 20. Penso che soprattutto non dovrebbe mai essere fatto senza un sorriso.
E poi penso che dovrei smetterla di star sempre li a pensare a cosa faccio e non faccio.
Ma non ora: sto guidando.
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