Io non sono un agonista.
Non mi è mai piaciuto competere con gli altri, cercare di dimostrare di essere il più forte o il più “bravo”. Non ne ho mai capito il senso, conscio fin da tenera età che ci sarà sempre qualcuno più forte e bravo di me e qualcuno meno.
Anche se devo dire che il sapere che qualcuno lo è meno è a volte piuttosto confortante: partecipare ad una gara, essere magari “cotti” e vedere comunque gente attorno a se o dietro di se puo’ essere l’ultimo baluardo psicologico che trattiene dal mollare, dall’arrendersi. Triste forse, ma vero.
Agonismo d’altronde ha la stessa radice di “agonia”: battersi fino alla fine, forse, ineluttabile.
Eppure “essere in agonia” ha una valenza molto più funerea di “agonista”, uno puzza di crisantemi e ceri l’altro di allori e champagne.
Eppure quanti, non resistono all’istinto di accelerare il passo incontrando qualcuno in bici? Magari sei li, un po’ stanco, un po’ stufo, che pedalicchi guardando giusto davanti la ruota anteriore, poi scorgi qualcuno un po’ più avanti, e subito ecco la scintilla che fa ritrovare forze sopite ed energie per andarlo a prendere e superarlo. Idem in discesa quando senti una ruota libera che frulla dietro ed ecco che quello che pochi attimi prima era “scendere” ora diventa una downhill in cui di colpo cerchi di staccare all’ultimo, cerchi la linea più ardita.
Il tutto per niente, o forse per non sentirti dire “passo a sx!” e vederti superare a velocità doppia. O per non vedere il sorrisetto di chi ti passa in salita guardandoti negli occhi…che ancora ancora è quasi meglio di chi non ti guarda affatto, ma fissa un punto all’infinito e pesta sui pedali come un fabbro.
Perché probabilmente quello che ti guarda è alla canna del gas pure lui e sottolinea il sorpasso col sorrisetto, mentre chi tira dritto a velocità da scooter senza distrarre lo sguardo lo fa proprio per sottolineare che ti considera alla stregua di un guard-rail o un abete: qualcosa da superare in vista di traguardi o avversari che meritino ben altre attenzioni.
Meccanismi indipendenti da quanto sei forte o scarso. E’solo una questione di scala, che si riproduce a tutti i livelli e che spesso a tutti i livelli puo’ degenerare in quelle esasperazioni che tutti conosciamo.
Quelle che purtroppo rientrano nelle competenze di NAS e psichiatri.
Quelle che a volte non restano confinate e fettucciate tra un pacco gara ed un pasta-party, ma che proseguono anche nei bar, nei forum, dove l’agonismo si misura col Ph dell’acidità di certi interventi, o di certi modi di fare che assomigliano molto a quelli descritti prima: ti seguo nel topic, ti tengo nel mirino e prima o poi mettero’ “la zampata” vincente.
“Per cosa?”
Non è importante per il vero agonista. Per lui un bacio della miss, una sorsata di champagne o un bel niente è uguale. Quel che conta è la gara in se, la disputa.
Io non sono un agonista, non amo mettermi alla prova con/contro gli altri.
Non resisto dal cercare di combattere con me stesso pero’. Che è una forma di agonismo forse più subdola, perché mettersi alla prova con se stessi puo’ essere complicato, per via dei mille sotterfugi che si mettono in pratica per riuscirci.
Uno su tutti trovare delle giustificazioni. Che alcune volte sono davvero appaganti o consolanti. Spesso la vera sfida è proprio quell’estrema onestà con se stessi che puo’ essere più dolorosa della sconfitta. E che pero’ é lo stimolo per riprovarci, per fare meglio, per fare di più, per rimettersi in gioco.
Ci pensavo l’altro giorno, stanco, seduto sul bordo del letto, infreddolito e scontento mentre rigiravo il casco tra le mani e non pensavo a niente dopo ore di inutile pedalata col numero addosso.
I negozi erano ormai chiusi e mi ero dimenticato shampoo e sapone a casa.
Non meritavo anche questo: andare a letto senza nemmeno una lavata.
Allora mi son lavato col detersivo per i piatti.
E per fortuna, che almeno lui riportava in etichetta “Ph-neutro”.
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