[Amarcord] I marchi meteora nella storia della MTB

61

Autore:  Francesco Mazza

Nel corso degli anni ci sono stati numerosi marchi che si sono affermati come colonne della storia della MTB. Una serie di connotazioni quali performance, risultati agonistici, ricercatezza estetica, soluzioni tecniche o marketing aggressivo hanno contribuito a consolidare molti brand come riferimenti del mondo della mountain bike. Nel corso degli anni però, tra queste realtà affermate, hanno fatto la comparsa diversi marchi che, per motivi diversi tra loro, hanno brillato solo per un periodo più e meno breve, sparendo poi dalla circolazione, alcuni totalmente e altri quasi. Marchi che possiamo definire meteore della storia della MTB dato che hanno sfavillato intensamente per poi svanire, proprio come una meteora nel cielo.



.

Alcuni brand hanno fatto riecheggiare il loro nome agli albori della storia della mountain bike grazie alle prestigiose vittorie nelle prime edizioni del Campionato del Mondo. Dalla Miyata Koga di Greg Herbold che vinse la prima edizione dei Worlds a Durango nel 1990, passando per la Cilo con la quale Albert Iten divenne iridato al Ciocco nel 1991, per arrivare alla Balance di Mike King dei mondiali di Métabief del ’93. Tutti brand che sparirono dal settore MTB, pur avendo esordito con prestazioni folgoranti.

In quegli anni ci fu anche un altro marchio a brillare per innovazione e stile, introducendo soluzioni tecniche che vennero apprezzate e riconosciute in tutto il mondo. Parliamo di Mountain Cycle che, soprattutto con la San Andreas a cui abbiamo dedicato un articolo, è divenuta una pietra miliare della storia della MTB. Non furono i risultati agonistici ma la ventata di novità e di tecnologia che portarono Mountain Cycle a eccellere, fino a guadagnarsi un posto al MoMa di San Francisco. Il brand californiano proseguì con altri prodotti stilisticamente simili al San Andreas come per esempio la Shockwave o la Tremor… ma tanto fu all’avanguardia inizialmente, tanto restò ferma sulle medesime soluzioni nel corso del suo decennio circa di attività, perdendo infine di attualità e di carisma nei confronti di un mercato in veloce evoluzione, finendo per chiudere i battenti.

Nel contempo, un marchio francese legò a doppio filo il suo nome a quello delle competizioni di DH, dominando la scena per 5 anni. Fondata nel 1994 da Max Commençal, fondatore in seguito dell’omonimo brand, Sunn conquistò numerosi titoli iridati e gare di World Cup grazie ad atleti del calibro di Nicolas Vouilloz, Caroline Chausson, Fabien Barel e Cedric Gracia. Un team di riferimento con un entourage imponente. La Radical, la bici del team, era un sogno per molti appassionati: soluzioni tecniche particolari e sospensioni realizzate all’interno della stessa Sunn da Olivier Bossard (padre di BOS Suspension). Un progetto imponente e costoso che infine crollò sotto al peso dei debiti, finendo in bancarotta. Il marchio venne poi acquistato da terzi a distanza di anni per rilanciare un restyling della Radical, ma anche questo progetto ebbe vita breve. Recentemente il marchio è stato nuovamente acquistato da altri imprenditori ma le bici in gamma sono nettamente distanti dai gioielli pluri-iridati della fine del secondo millennio.

Nicolas Vouilloz, all’apice della sua carriera di downhiller e con all’attivo 5 titoli iridati da Elite più altri 2 da Junior, era in cerca di una bici che soddisfacesse le sue esigenze tanto quanto fece la Sunn Radical. Decise di costruirsela, dando vita al marchio V-Process insieme ad alcuni ingegneri rilevati da Sunn, tra cui Bossard che nel frattempo aveva fondato il suo marchio di sospensioni. La V-Process NV (iniziali di Nico) destò da subito enorme interesse nel mondo race e il suo fondatore le donò i colori iridati per 2 stagioni consecutive primi di ritirarsi dalla DH, chiudendo il marchio, per dedicarsi ai rally automobilistici come pilota professionista.

Pochi anni dopo iniziò la sua ascesa il marchio statunitense Iron Horse, grazie al fortunato connubio con un giovane ingegnere di nome Dave Weagle con il suo sistema di sospensione DW-Link. In precedenza Iron Horse usava rimarchiare telai prodotti da altri telaisti come Verlicchi (Sintesi) in principio, con il cui telaio vinse i Worlds del ’92 a Bromont, e Intense in seguito. Ma fu con la Sunday, la bici da DH dotata di DW-Link, che Iron Horse iniziò a brillare ottenendo fama e prestigio, grazie soprattutto ai risultati strepitosi di Sam Hill e di Sabrina Jonnier che, ciascuno nella propria categoria, dominarono senza rivali la DH mondiale per le stagioni a seguire fino alla fine del 2008, quando Iron Horse chiuse i battenti per fallimento. Poche stagioni ma assolutamente intense e memorabili.

Circa nello stesso periodo, il cielo venne squarciato dal bagliore di una meteora di dimensioni enormi, quando un colosso come Honda entrò nel mondo della MTB, mettendo tutto il suo know-how del settore motociclistico nella DH. La storia del marchio nipponico con  la sua RN01 G-Cross, alla quale abbiamo dedicato un articolo, fu breve ma assolutamente intensa. Quattro stagioni di gare, dal 2004 al 2007, con atleti di assoluto spessore come Greg Minnaar, Matti Lehikoinen e Brendan Fairclough. Diversi risultati importanti tra cui una overall di World Cup di Minnaar nel 2005 e diversi podii tra World Cup e mondiali. Honda entrò nella DH senza alcun intento commerciale e senza la benché minima intenzione di produrre la RN01 per la vendita, anche perché avrebbe avuto costi assolutamente proibitivi. Il preciso scopo di Honda, in pieno stile HRC, fu di sviluppare e immagazzinare conoscenze tecniche che potessero fruttare in ambito motociclistico. La DH fu adottata come un campo di prova per migliorare le capacità di gestire le geometrie, la ciclistica, le sospensioni e altri dettagli chiave in un ambito nel quale queste caratteristiche risultano più sensibili e determinanti di quanto non siano in MX. Finito il periodo di test e raccolte sufficienti informazioni, il team Honda chiuse i battenti smantellando le RN01. Se i giapponesi di Honda seppero raccogliere molto dalla DH, altrettanto, forse involontariamente, donarono: il loro approccio ultraprofessionale e l’assoluta e maniacale attenzione ai dettagli …oltre a un mezzo ipertecnologico che fece innamorare centinaia di migliaia di appassionati di DH in tutto il mondo e che ancora oggi, a distanza di oltre 10 anni, esprime tutto il suo fascino.

Ma oltre ai numerosi marchi di bici, c’è anche un altro settore della MTB che ha visto brillare diverse meteore: quello delle sospensioni. Probabilmente in questo segmento di componentistica per MTB più che in qualsiasi altro, soprattutto per quanto concerne gli ammortizzatori ancora più che per le forcelle, si susseguirono numerosi marchi che si ritagliarono una finestra temporale di successo prima di sparire nell’oblio del dimenticatoio. Marchi che si proposero come la panacea di tutti i problemi delle sospensioni e che conquistarono facilmente il favore del pubblico in un periodo in cui le sospensioni, per quanto iniziassero a raffinarsi, erano ancora parecchio distanti dalle performance attuali.

Di fronte al dominio incontrastato di FOX, i vari marchi come Romic o Avalanche offrivano ammortizzatori con tecnologia Twin Tube mentre altri marchi come per esempio Elka e Progressive Suspension davano la possibilità ai rider di controllare ben 4 o addirittura 5 regolazioni contro le tradizionali e un po’ limitanti 2 regolazioni del FOX, dall’idraulica affidabile ma semplice. Questo aspetto a inizio millennio fece molta leva sia sul pubblico agonista che sugli amatori. In particolare Progressive Suspension con il suo Fifth Element, nato nel 2003, divenne molto popolare, conquistando anche una discreta fetta di mercato dei primi montaggi. Presto si capì tuttavia che non c’era sufficiente cultura da parte del grande pubblico per poter apprezzare o anche solo per comprendere come regolare tutti quei registri. Inoltre il servizio assistenza di alcuni marchi si rivelò inefficace. Nel frattempo FOX fece tesoro della lezione introducendo nuovi ammortizzatori più evoluti e dotati di più regolazioni e facendo di fatto dimenticare la maggior parte di questi brand di ammortizzatori.

Questi sono solo una manciata di esempi, forse tra i più fulgidi, dei marchi che hanno brillato intensamente per un breve periodo di tempo nella storia della MTB, ma ce ne sarebbero molti altri da citare e dei quali raccontare la storia. Se vi vengono in mente altre meteore della storia della MTB, riportatele nei commenti e condividete i vostri ricordi.

Commenti

  1. Il 5th element era 15 anni fa al livello a cui è oggi un DHX2, effettivamente è stato un grande ammortizzatore, ho un paio di amici che ancora ci raidano, tra l'altro in italia Pepi ha sempre dato un'assistenza ottima e veloce, il Romic l'ho avuto sulla mia seconda DH, semplice, poche regolazioni, ma molto affidabile...
    Come sempre un bell'articolo, bravi!
    Io col 5th element ebbi una brutta esperienza, comprato nuovo mi esplose dopo 3 (TRE) uscite
Storia precedente

[First Look] Ruote Industry Nine Trail 270

Storia successiva

[Test] Casco Smith Session

Gli ultimi articoli in Amarcord