Ammortizzatore ad aria o a molla? Un confronto sul campo

Negli ultimi anni gli ammortizzatori a molla hanno fatto un grosso passo in avanti in quanto a pesi e prestazioni in salita. Su tanti modelli, grazie ad una levetta di chiusura della compressione, è ora possibile “chiuderli” per poter pedalare bene su ogni tipo di salita, da quella asfaltata a quella tecnica. Fattore, questo, che li ha portati all’attenzione dei rider più esigenti in discesa, a cominciare dagli enduristi delle Enduro World Series, le cui discese spesso assomigliano più ad un tracciato di DH che non ai sentieri che la maggior parte dei mortali intende sotto la dicitura “enduro”.

Noi di MTB Mag abbiamo avuto un primo approccio a questa nuova generazione di ammortizzatori a molla durante il test della nuova Giant Reign, su cui era montato un Rock Shox  Super Deluxe RT dotato di comando remoto a manubrio, proprio per bloccarlo velocemente quando se ne ha bisogno. In discesa ne siamo rimasti colpiti molto positivamente: la ruota posteriore era attaccata al terreno, non c’era superficie che potesse metterlo in crisi. In salita il blocco era forse uno dei migliori in assoluto mai provati, perché faceva da piattaforma stabile ma lasciava lavorare l’ammo nella misura giusta per permettere di giostrare a piacimento sulle salite tecniche.



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Insomma, per dirla con le parole di uno dei ragazzi di SRAM “Avete avuto un orgasmo con il nostro Super Deluxe RT“.

Con questo articolo vogliamo andare più a fondo sull’argomento, e proporvi un paragone fra un ammortizzatore ad aria ed uno a molla, montati sulla stessa bici e messi alla frusta sullo stesso sentiero, in sequenza rapida, vale a dire discesa-salita, cambio ammortizatore, discesa-salita, cambio ammortizzatore. 2 cicli per quello ad aria, 2 per quello a molla.

La bici è la Yeti SB 5.5 che usiamo per i test di durata, un telaio su cui Yeti dice esplicitamente di poter montare anche ammortizzatori a molla, mentre gli ammortizzatori sono di casa Fox:

Fox DPX2, ad aria. Peso rilevato: 430 grammi
Fox DHX2, a molla. Peso rilevato:  673 grammi

Non fatevi trarre in inganno, il DPX2 è un signor ammortizzatore ad aria con piggy back, personalmente lo ritengo uno dei migliori in circolazione e sicuramente quello che si addice meglio ad una bici con 140mm di escursione posteriore come la Yeti Sb 5.5, perché in salita ha un blocco molto deciso e in discesa è molto sensibile e “pieno” nella corsa. Al contrario, il Fox X2 non è così efficace nella chiusura della compressione, e questo è anche il motivo per cui gli abbiamo preferito il DPX2 per la comparativa.

Ho così chiamato Fox, proponendo loro la comparativa con il DHX2, e mi è stato chiesto a che pressioni usassi il DPX2 e su che bici, per potermi dare la molla giusta per il mio peso. Questo è uno dei lati negativi degli ammortizzatori a molla: non è possibile tararli con una semplice pompetta, c’è bisogno di cambiare la molla, se risultano essere troppo duri o troppo molli.
In ogni caso, ho comunicato che la pressione che uso di solito è di 166 PSI. Detto fatto, il DHX2 è arrivato con la sua bella molla arancione da 500 libbre, e l’ho montato sulla SB 5.5. 243 grammi è la differenza di peso fra i due, niente di trascendentale, anche considerando che il DPX2 è forse il più leggero ammortizzatore con piggy back presente sul mercato.

Ho fatto tre giri per trovare il setting giusto del DHX2, perché dispone di regolazioni della compressione alle alte e alle basse velocità, e di due regolazioni del ritorno, anch’esse alle alte e basse velocità, tutte tramite chiavi a brugola. A ciò si aggiunge la leva per il bloccaggio rapido, e la possibilità di regolare il precarico tramite la molla. A chi fosse interessato, ho regolato la compressione alle basse a 7 click dal tutto aperto, mentre quella alte a 2 click dal tutto aperto.

Il DPX2, in paragone, è più semplice da regolare, visto che la leva blu si occupa della compressione con tre posizioni (Firm, Mid e Open), mentre il pomello rosso è il classico ritorno. La compressione è regolabile con una brugola del 3 avvitando o svitando la vite al centro del pomello blu.

Non sto a scendere nei dettagli tecnici di come sono fatti internamente questi due ammortizzatori, perché il tema è già stato affrontato qui e qui.

Sul campo

La prova comparativa si è svolta su un sentiero che conosco molto bene: 240 i metri di dislivello in discesa, in cui si alternano sezioni veloci scassate, un po’ di fondo boschivo, e sezione lente scassate anche loro. L’ho percorso 4 volte,  cambiando ammortizzatore ogni volta. Quindi 2 giri sono stati fatti con il DPX2, e due con il DHX2. Per rendervi l’idea del percorso ho girato un breve video. Senza fermarmi impiego circa 4 minuti a percorrerlo.

La prima parte della salita è molto ripida, su ciottolato, dopodiché diventa una stradina asfaltata dalle pendenze più umane.

Salita

Il DHX2 ha solo due posizioni, aperto e chiuso, mentre il DPX2 ne ha tre, essendo quella di mezzo pensata per le salite sconnesse. Diciamo che il DHX2 chiuso si trova, come chiusura della compressione, fra le posizioni Mid e Firm dell’ammo ad aria, di conseguenza arrampica molto bene e, soprattutto, offre più trazione dell’aria tutto chiuso, e più sostegno dell’aria in posizione Mid. Una bella sorpresa, dunque, che conferma le mie sensazioni avuto con il RS Super Deluxe: anche chiudendo la compressione, i nuovi ammortizzatori a molla copiano meglio il terreno, senza però essere inclini ad oscillare e quindi a disperdere energia.

Discesa

Il DPX2 è un signor ammortizzatore quando si punta la bici verso il basso, come avevo scritto nell’apposito test: molto sensibile, sostenuto nella parte centrale della corsa, e soprattutto piuttosto costante nelle prestazioni anche su discese lunghe e sconnesse.  Un gran prodotto confezionato in soli 430 grammi, che non sfigura neanche su bici da enduro a lunga escursione, come la Pivot Firebird su cui l’avevo provato la prima volta (170mm di escursione). La facilità di regolazione al peso del rider e di set up lo rendono consigliabile anche a chi non è molto ferrato in materia di sospensioni, o non vuole perderci molto tempo.

Diverso è il discorso del DHX2: come ho detto in precedenza necessita di diversi tentativi per trovare il set up giusto, dopodiché consiglio due cose soltanto: gonfiate bene la gomma posteriore e tenetevi ben saldi al manubrio, perché vi troverete a tirare delle linee che prima non pensavate neanche di saper fare, per di più ad una velocità fotonica. Il posteriore è letteralmente incollato al terreno, non ci sono salti o tratti scassati che lo mettano in difficoltà e questo, notate bene, su una bici come la Yeti SB 5.5 che ha “solo” 140mm di escursione posteriore.

Tutto d’un tratto quei gradoni sconnessi non incutono più timore, perché la bici non si scompone e si può affrontare il successivo passaggio ostico senza grossi problemi. Provando i due ammortizzatori in rapida sequenza uno dietro l’altro ho notato chiaramente come i comportamenti siano nettamente diversi: con il DPX2 la bici è più nervosa, e anche più facile da pompare sui salti e gli ostacoli, con il DHX2 la tranquillità di guida è maggiore, ma il mezzo diventa più fisico da portare, soprattutto nei cambi di direzione ci vuole un impulso maggiore del rider, proprio perché la molla tende a mangiarsi via tutto, impulsi dall’alto compresi.

Difficile parlare della differenza di prestazioni su discese lunghe, visto il periodo invernale che non permette di fare 1000 metri di dislivello alla volta, di certo c’è che il DPX2 si scalda di più del DHX2 e di conseguenza le sue prestazioni tenderanno a scendere più velocemente del cugino a molla, però devo anche dire che la scorsa estate, quando lo montavo sulla Firebird e scendevo dal Tamaro (1300m al botto), la cosa non si è fatta notare. Insomma, non è uno dei vecchi ammortizzatori ad aria senza piggy back che si scaldavano così tanto da diventare gnucchi.

La sospensione della Yeti SB 5.5 è piuttosto lineare in tutta la sua corsa, diventa più progressiva solo negli ultimissimi mm di travel, mentre nella parte iniziale è ben sostenuta, non mangiandosi via escursione solo a causa del peso del rider (se si va in salita sul ripido). Il comportamento è rimasto invariato con entrambi gli ammortizzatori, devo anche dire che Fox ha li ha tarati tutti e due proprio per la SB 5.5, ma credo che il fine tuning di Fox non faccia molto differenza, in definitiva, sulla cinematica Yeti. Alla fine riesco ad usare bene il travel, e la trazione è molto buona in entrambe le configurazioni.

Conclusioni

Se mi chiedessero quale ammortizzatore vorrei, non avrei dubbi, prenderei il DHX2. Per poco più di 200 grammi di differenza le prestazioni discesistiche diventano da urlo, il grip al posteriore è stupefacente, con la ruota incollata al terreno, e i tratti scassati diventano una goduria. Non solo, in salita l’ho preferito al DPX2 per l’ottima trazione, grazie alla levetta per la chiusura rapida. In parole povere, la Yeti SB 5.5 si fa pedalare bene anche con questo ammortizzatore a molla, e in discesa il divertimento aumenta come la velocità: tenetevi forte!

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