Canyon Strive 29 contro Yeti SB150

35

Qualcuno si chiederà che paragone sia mai questo: uno dei telai più esclusivi e cari del mercato contro uno che costa 1400 Euro in meno (4.399 contro 2.999 Euro). Un marchio che vende solo attraverso i negozi contro uno che vende solo online. Forse è questo uno dei motivi per cui questa comparativa è interessante, agli occhi di alcuni lettori, ma il vero motivo che mi ha spinto a scrivere questo articolo è come due realtà affermate provino ad arrivare allo stesso risultato seguendo strade completamente diverse.

[A voler essere pignoli nessuno dei due telai è a buon mercato, perché neanche 3.000 euro, che non vengono scontati al momento dell’acquisto, sono comunque bruscolini.]



.

Il risultato a cui Canyon e Yeti hanno lavorato è creare una bici in carbonio da enduro con ruote da 29 pollici e 150mm di escursione posteriore. Le vie che hanno intrapreso sono però diverse. Visto che entrambe le bici sono da noi in redazione per un test di durata, ho potuto provarle a fondo sugli stessi percorsi, anche se la componentistica è diversa: abbiamo infatto ricevuto solo i telai, per poi montarci diverse parti oggetto di test separati. Qui trovate il montaggio della Canyon e qui quello della Yeti.

Cominciamo rigorosamente in ordine alfabetico, con la Canyon Strive, non senza aver detto che entrambe le bici sono in taglia L per me che sono alto 179cm con un cavallo (sella – movimento centrale) di 75cm e pesano circa 14kg.

Canyon Strive

La Strive 29 inizialmente ci è arrivata per poter mettere sotto torchio il nuovo Shapeshifter, diverso dalla vecchia versione che aveva causato tanti grattacapi. Per la precisione, è in prova dal 19 aprile 2019 e fino ad oggi il sistema di variazione della geometria ha sempre funzionato alla perfezione. Canyon si è affidata a Fox per lo spostamento pneumatico della posizione dell’ammortizzatore, attivato da una leva a manubrio posta sopra a quella del reggisella telescopico.

Il fatto che ci sia lo zampino di Fox è l’unico punto in comune con lo Switch Infinity di Yeti. Nel caso di Canyon, si tratta di una camera pneumatica che sposta l’attacco dell’ammortizzatore di poco più di un centimetro in avanti (posizione climb) o indietro (downhill). La regolazione è molto semplice, basta gonfiarlo con la stessa pressione che si usa per l’ammortizzatore ed il gioco è fatto. Il comando remoto, insieme al peso del rider, faranno il resto. Il peso di chi pedala servirà per comprimere la camera pneumatica ed “aprire la geometria”, oltre che aumentare l’escursione da 135 a 150mm. In salita invece la pressione farà il suo lavoro da sola.

Veniamo quindi ai numeri. Canyon è rimasta piuttosto cauta con angolo di sterzo e angolo sella, come potete vedere nella tabella qui sotto, e per chi scrive questo è un po’ un peccato perché si sarebbe potuto osare di più proprio grazie alla geometria variabile.  In particolare l’angolo sella, avrei preferito un bel 76° per portare il baricentro ancora più avanti e migliorare le qualità di arrampicatrice della Strive. Anche l’angolo sterzo avrebbe potuto scendere fino a 65°

Yeti SB150

La 29 da enduro del marchio del Colorado è sul mercato da circa un anno e mezzo, da ottobre 2019 è nelle nostre mani. Yeti rinuncia a geometrie variabili per semplificare l’uso della bici, non senza passare attraverso una “complicazione” chiamata Switch Infinity. Sembra un gioco di parole, ma il sistema che vedete vicino al movimento centrale, pur sembrando complicato, è quello che permette di pedalare la SB150 senza mai mettere mano a leve o blocchi ammortizzatore.

È dal 2014 ormai che Yeti collabora con Fox per la produzione dei due pistoncini che fungono da fulcro per la parte bassa del carro, dandogli un movimento circolare. Il rider non deve fare niente, se non una pulizia sporadica e controllo dell’usura dei pistoncini. Questo significa che la geometria non cambia. I numeri si trovano qui sotto e possiamo vedere che Yeti ha osato molto di più di Canyon, con un angolo sella di ben 77° e un angolo sterzo di 64.5°. Il reach è di 1 cm più corto rispetto ai tedeschi.

 

Strive vs. SB150

Finite le presentazioni (se volete saperne di più qui trovate info sulla Strive, qui sulla SB150) andiamo a vedere le differenze fra i due telai. Nella parte alta della foto sottostante vedete le due soluzioni per cinematica e geometrie variabili. Switch Infinity a sinistra, Shapeshifter a destra (senza coperchio, perso durante una discesa).

Nella parte bassa invece troviamo una differenza che non si vede, cioé il passaggio interno guidato dei cavi presente sulla Yeti ma non sulla Canyon. Devo subito dire che il fissaggio dei cavi sulla Strive evita qualsiasi sbatacchiamento rumoroso, quindi una volta montata la bici, conta poco. Il punto è che il montaggio della Strive è stato molto più macchinoso, soprattutto per il passaggio dal tubo piantone ai due foderi bassi. Ho montato personalmente entrambe le bici.

1-0 per Yeti, palla al centro. Il pareggio non tarda ad arrivare e si mostra sotto forma del movimento centrale: calotte filettate per Canyon, press-fit per Yeti. Su una bici da enduro mi sento di prediligere la soluzione delle calotte filettate, sia per la semplicità di montaggio e manutenzione, sia per la minore tendenza a scricchiolare. In teoria il press-fit è più rigido, anche grazie alla scatola del movimento centrale più larga, ma sfido chiunque non abbia il wattaggio di un Nino Schurter ad accorgersene.

Sulla protezione del tubo obliquo la differenza sostanziale è che quella della Strive si può cambiare tramite due viti a brugola, mentre quella della SB150 è incollata. La soluzione di Canyon non è priva di pecche, perché le viti sono molto distanti fra loro e dunque mi è capitato che la protezione si disassasse rispetto al telaio. Rimetterla a posto non è un problema, basta spingerla in sede con la mano.

Sul campo

In sella alla Strive 29 noto subito come l’angolo sella sia meno verticale rispetto alla SB150. È una posizione più “classica” che non spiazza il rider che magari proviene da un bici acquistata un paio di anni fa. Lo stesso vale per l’angolo sterzo, che richiede meno lavoro di avancorpo, nel senso che non sarà necessario premere sull’anteriore come sulla Yeti. Una geometria meno estrema, ma anche meno moderna rispetto alla concorrenza, il che non vuole però dire che sia svantaggiosa.

Avrei potuto aprire l’angolo sterzo leggermente mettendo una forcella da 170mm invece che da 160mm, ma devo dire che non mi sono impiantato per via di qualche grado in meno di sterzo. Come dicevo in precedenza, avrei preferito un angolo sella più verticale, soprattutto considerando che, grazie allo Shapeshifter, posso aprirlo in discesa. Questo perché, malgrado le geometrie variabili della Strive, la migliore arrampicatrice è la SB150. Il motivo non è tanto da ricercare nella cinematica, ma proprio nella geometria per i motivi che ho appena spiegato, in particolare l’angolo sella. Con lo Shapeshifter in posizione climb la pedalata è neutrale, anche se si lascia l’ammortizzatore aperto, ma l’anteriore tende a salire più facilmente. Notare che i foderi posteriori sono entrambi molto corti (433 contro 435mm.)

A proposito di blocco ammortizzatore: non ho mai chiuso la levetta del Fox X2 sulla Yeti, mentre l’ho fatto sul DPX2 della Canyon quando dovevo pedalare lunghe salite asfaltate. Se devo essere sincero l’ho fatto più per avere una bici praticamente rigida che per altro. Infatti la forcella DT Swiss F535 One ha il blocco totale, cosa che invita ad alzarsi sui pedali e spingere in fuorisella. La scelta non è quindi motivata da dispersioni di energia che aumentano la fatica. Anche perché la levetta dell’ammortizzatore è posizionata molto in basso ed è necessario fermarsi (o essere maestri di yoga) per azionarla.

In discesa faccio fatica a scegliere una preferita. Entrambe hanno una cinematica che le rende sensibili ai piccoli urti, alte nel travel e progressive verso il fine corsa. Già mi sento i commenti sulle migliori doti discesistiche di un X2 rispetto a un DPX2, eppure non posso dire che uno sia più sensibile dell’altro. Il vantaggio dell’X2 sta nel maggior numero di regolazioni e nella miglior resistenza al riscaldamento durante le discese lunghe. Proprio le regolazioni (compressione alle alte e alle basse, ritorno alle alte e alle basse) possono però creare un problema per chi non se ne intende, e qui troviamo un filo conduttore con il tema delle geometrie: quelle più conservative della Canyon ben si adattano al rider non così estremo ed evoluto, allo stesso modo il DPX2 è un  ammortizzatore “regola il sag e vai”.

Da queste righe uno potrebbe trarre le conclusioni che la SB150 sia “per quelli che sanno andare forte”, eppure, pur avendo geometrie molto aggressive e un ammortizzatore complesso, ci si sente subito a proprio agio quando si sale in sella. Non solo, ma non diventa automaticamente una bici difficile da girare per via dell’angolo sterzo così aperto.

Proprio all’inizio di questo 2020 ho speso 4 giorni a percorrere lo stesso trail con le due bici del test. Visto che ci sono 900 metri di dislivello da pedalare, le ho alternate. Fortunatamente le condizioni dei sentieri e quelle meteorologiche sono rimaste identiche, premesse perfette per un paragone. Tratti veloci e scassati si alternano a pezzi lenti e tortuosi. Di nuovo, non sono riuscito a scegliere una favorita fra le due. Della Yeti mi piace un sacco la semplicità: non devo toccare una leva o un blocco per tutta la durata del giro. La Strive necessita di una fase di adattamento per giostrarsi con la doppia leva Shapeshifter/reggisella telescopico. Ci si fa l’abitudine e dopo un po’ i movimenti vengono naturali, ma rimane una cosa in più a cui pensare nella foga della discesa o dei rilanci.

Entrambi i mezzi infondono grande sicurezza grazie alle ruote da 29. Con un reggisella da 150mm di escursione e la libertà di movimento che ne consegue diventa difficile trovare un ostacolo che la bici non mangi via. La stessa cosa vale in salita, grazie alla trazione e alla posizione molto centrale (soprattutto della SB150).

Le verniciature sono ottime in entrambi i casi, malgrado i colpi presi per i sassi alzati dalle ruote.

Conclusioni

Veniamo quindi alla fatidica domanda: quale sceglierei? Per il mio modo di intendere una bici da enduro, con cui mi guadagno quasi sempre le discese, cerco una bici che sia perfomante in discesa e che arrampichi ovunque in salita. Sia la Canyon Strive 29 che la Yeti SB150 svolgono questi compiti egregiamente. L’unico ambito dove la SB150 mi ha convinto di più è sulla salita tecnica, non solo nei confronti della Strive 29, ma anche di altre bici da me provate recentemente, come la Mondraker Foxy 29 o la Santa Cruz Hightower.

In discesa entrambe sono dei missili, malgrado le differenze geometriche e la diversa componentistica. Come spiegato nell’articolo, se vi fanno paura le geometrie aggressive andate tranquillamente verso la Strive, un paio di gradi in più o in meno non vi penalizzeranno. Infatti la difficoltà nella scelta sta nel fatto che si tratta di due progetti ben riusciti.

Canyon
Yeti, distribuite in Italia da DSB Bonandrini.

 

Commenti

  1. fafnir:

    Sarò banale, anzi banalissimo, ma il vero problema della strive è che la trovo bruttissima...al di la di tutte le considerazioni tecniche
    In effetti appari un pò banale. Quali sarebbero i canoni di bellezza classica di una mtb?
  2. fafnir:

    Sarò banale, anzi banalissimo, ma il vero problema della strive è che la trovo bruttissima...al di la di tutte le considerazioni tecniche
    infatti... vorrai mica mettere una strive in salotto
Storia precedente

Canyon attaccata da cyber criminali

Storia successiva

La palestra di Danny MacAskill

Gli ultimi articoli in Test

La MTB dell’anno 2024

Qual è la mountain bike dell’anno 2024? Dopo tante elucubrazioni, ecco la nostra preferita. Attenzione: c’è…

[Test] Grin One

Qualche settimana fa ci è arrivata una mountain bike da un nuovo marchio tedesco: la Grin…