di Daniel Naftali
La settimana scorsa abbiamo trattato alcuni aspetti teorici riguardanti la cartografia, questa settimana invece ci occuperemo degli aspetti più pratici relativi all’utilizzo di una cartina.
Le mappe topografiche sono uno strumento estremamente utile in molte situazioni:
Insomma, inutile ribadirlo, la cartina è fondamentale. Vediamo di approfondire meglio trucchi, tecniche e segreti sfruttare al meglio questo utile strumento.
NOTA: tutte le immagini sono ingrandibili cliccandoci sopra.
La fase di pianificazione di un giro è fondamentale per la buona riuscita dello stesso. Dove andare, quale sentieri utilizzare per la salita e la discesa, valutare se il giro è alla propria portata per impegno fisico e durata: sono tutti aspetti che si devono analizzare prima di partire in bici.
Sebbene spesso recensioni e roadbook possano tornare utili per capire la tipologia di un itinerario o anche solo di spezzoni di salita o discesa, può capitare di trovarsi nella condizione di dover andare da A a B con la possibilità di scegliere diversi percorsi, nessuno recensito. Come comportarsi in questa situazione? Come scegliere quale itinerario seguire? Quali sono le informazioni che possiamo ricavare dalla cartina?
Vediamo di capirlo con un esempio pratico.
Immaginiamo che in un ipotetico giro, dopo essere saliti su asfalto fino a Malga Pian Lastre, dobbiamo salire ed arrivare al rifugio Semenza. I due punti sono segnati sulla mappa.
Come evidenziato dalla cartina, abbiamo 3 alternative, più qualche variante, per raggiungere la nostra destinazione.
I percorsi che possiamo seguire sono segnati sulla cartina, sono tutti e 3 interamente su sentiero e portano tutti alla stessa destinazione: il rifugio Semenza.
Il percorso Giallo parte un pochettino dopo gli altri due, precisamente dalla borgata di Malga Pian Lastre. Notiamo subito che si muove in maniera piuttosto perpendicolare alle linee di livello e che queste sono abbastanza ravvicinate: significa quindi che avrà una pendenza piuttosto accentuata. Dopo aver preso rapidamente quota, attorno ai 1800 il sentiero diventa pianeggiante, ma procede a mezzacosta in una zona caratterizzata da strapiombi e forte pendenza (le isoipse sono molto vicine). A vederlo sulla cartina insomma non sembra un sentiero molto ciclabile: è ripido e attraversa un versante piuttosto scosceso, probabilmente si fa il 90% a piedi.
Il percorso Verde parte dalla curva poco prima della borgata. Nella prima parte non sembra troppo pendente: sale di sbieco su un versante la cui pendenza non è eccessiva, come si può notare dalle curve di livello piuttosto distanziate. Dopo una prima parte di mezzacosta in salita, il sentiero procede sul fondo di un vallone fino al Sasso della Madonna. Da lì in poi la pendenza aumenta ed in un breve tratto si arrampica per ca 300m molto ripidi (contiamo le curve di livello, equidistanza 25m). Il sentiero con buona probabilità è ciclabile nella prima parte: attraversa un versante poco pendente e non sembra ripido. Dal Sasso della Madonna è invece al 90% portage, vista la pendenza del versante e del sentiero.
La terza alternativa è il percorso Blu, che in realtà è una variante del verde. Notiamo subito che sebbene la pendenza del percorso e del versante sembrino migliori, superata una cresta a quota 1402 il sentiero scende per poi risalire (notare le curve di livello che lo incrociano). Nei pressi del Col del Cuc c’è poi un mezzacosta su un versante piuttosto ripido e roccioso: sarà ciclabile?
Tra le tre alternative, la via più facile per raggiungere il rifugio è senza dubbio la Verde. Non ci sono saliscendi, la prima parte di sentiero non sembra ripida e forse è ciclabile, non attraversa zone rocciose o strapiombanti ed è lontano da zone in cui ci sono slavine (c’è meno rischio di incontrare lingue di neve difficili da attraversare, una caratteristica non secondaria nella stagione primaverile). Insomma, dalla cartina sembra la scelta migliore.
Come abbiamo visto, l’analisi delle curve di livello ci fornisce tantissime informazioni sul percorso e sul territorio, in particolare:
La cartina ci dice tantissime cose. Innanzitutto sappiamo che il percorso è 100% su sentiero, non del tutto ciclabile. In secondo luogo sappiamo che fino al rifugio non ci sono punti di appoggio, probabilmente neanche una fontana. Incontreremo in compenso delle case, dove eventualmente potrebbe essere possibile trovare un riparo in caso di maltempo.
Se il rifugio è aperto è un ottimo punto d’appoggio arrivati in cima: è possibile sicuramente mangiare e bere qualcosa, non è quindi necessario portare con se molto cibo.
Il percorso si sviluppa dapprima su un versante poco pendente, poi si inerpica in un vallone. Nella prima parte non dovrebbero esserci particolari difficoltà legate al terreno, mentre nella seconda il terreno si fa più accidentato, ripido e roccioso. Dal Sasso della Madonna in poi inizia infatti il tratto più impegnativo della salita, sarà importante dosare le energie per rimanere freschi e lucidi in questa seconda parte.
Stabilito il percorso è importante valutarne anche la lunghezza e stimare il tempo di percorrenza.
La prima cosa che dobbiamo stabilire è il dislivello: quello che conta veramente in montagna è il dislivello, non i chilometri. In questo caso il calcolo del dislivello è molto semplice: non essendoci saliscendi possiamo calcolare direttamente il dislivello come quota di arrivo meno quota di partenza. Attenzione però se ci sono tratti di discesa: in tal caso bisogna sommare al totale il dislivello perso, altrimenti si tende a sottostimare la salita totale.
Poiché si parte da 1250m e si arriva ai 2020 del rifugio Semenza, il dislivello complessivo è di 770m. Il percorso può essere diviso in due parti: la prima, meno pendente e probabilmente ciclabile, arriva fino a Sasso della Madonna (ca 1600m di quota), la seconda parte dal Sasso ed arriva al Rifugio. Fino al Sasso della Madonna sono 350m di dislivello, dal Sasso al Rifugio 420.
In base al proprio livello di allenamento e del gruppo con cui si gira (numero di persone, livello di allenamento, abitudine a portare la bici in spalla, ecc) il tempi di percorrenza cambiano. Basandomi sui miei parametri e quelli del gruppo con cui giro abitualmente, posso stimare che il primo tratto fino al Sasso della madonna richiederà circa 45-50 minuti, il secondo tratto di portage ca 1h-1h10. Insomma, in 2 ore dovremmo arrivare in cima, pause incluse.
Gruppi piccoli e composti da biker esperti ed allenati sono più veloci di gruppi numerosi ed eterogenei: i tempi di percorrenza possono subire drastiche variazioni.
Quanto detto però vale solo per il nostro gruppo… La valutazione dei tempi di percorrenza è infatti molto soggettiva: il capogita (ovvero chi organizza) deve sempre considerare i tempi necessari per il gruppo. Bisogna sempre ricordarsi che, quando si è in tanti, il tempo va stimato sempre facendo riferimento al più lento.
Se ad esempio organizzo una gita CAI, con partecipanti di livello molto eterogeneo, dovrò stimare dei tempi di percorrenza piuttosto lunghi, considerando VAM (velocità di ascensione verticale media) piuttosto basse. Viceversa se giro in un piccolo gruppetto di amici, composto da bikers molto allenati e tutti esperti, potrò prendere in considerazione VAM anche piuttosto alte.
Sarà l’esperienza maturata sul campo a fornirci i parametri giusti per stimare i tempi di percorrenza migliori per il nostro gruppo.
Dopo aver pianificato il percorso, stimato i tempi di percorrenza in relazione al gruppo e valutato di potercela fare, è giunto il momento di caricare la bici in macchina, mettere nello zaino la cartina ed affrontare il percorso che abbiamo studiato a tavolino.
Immaginiamo di fare all’antica, senza il GPS: la cartina è il nostro principale strumento di navigazione e di orientamento. Riprendiamo il nostro percorso che abbiamo pianificato nel capitolo precedente.
La prima cosa che bisogna fare è individuare dei punti chiave o waypoint sul percorso, dei punti caratteristici che generalmente coincidono con borgate, fortificazioni o bivi. I punti chiave permettono di suddividere il percorso in settori, rendendo più facile la navigazione.
Nel caso del percorso in questione, i punti chiave sono 7. Alcuni corrispondono ai bivi (1-2-3-5-6), altri corrispondo a delle case (4) o al rifugio che è il nostro punto di arrivo (7).
I punti chiave, come abbiamo detto, suddividono il percorso in settori. Durante la navigazione potremo quindi concentrarci solo sul settore di nostro interesse, trascurando il resto. Ad esempio se ci troviamo nel tratto tra il waypoint 2 e 3, sappiamo che dobbiamo sempre seguire la traccia principale trascurando ogni bivio. Potremo procedere quindi abbastanza tranquillamente.
I punti chiave devono sempre far parte del percorso, in modo tale che si sia costretti ad attraversarli. Il fatto di ritrovare sul percorso uno di questi punti, ci garantisce di essere sulla giusta strada.
Oltre ai punti chiave è anche importante memorizzare i numeri dei percorsi: in questo caso è facile, ci basta seguire il sentiero 923 fino in cima, ma in altri casi bisogna prestare attenzione perché non sempre i sentieri sono numerati o la numerazione della cartografia corrisponde con quella reale.
Quando si utilizzano dispositivi GPS cartografici, la propria posizione viene aggiornata in tempo reale sulla cartografia permettendo di sapere in ogni istante dove ci si trova.
Quando però non si hanno a disposizione tali strumenti, può non essere facile capire esattamente dove ci si trova: in montagna tutti i bivi sembrano uguali ed in assenza di cartellonistica o indicazioni è facile confondersi, sbagliando sentiero.
Come fare quindi per orientarsi ed identificare in maniera univoca un bivio? Il modo migliore è basarsi sulla quota, avendo a disposizione un altimetro barometrico (in genere piuttosto preciso).
Immaginiamo, dopo aver abbandonato la strada asfaltata prima di Malga Pian Lastre, di ritrovarci ad un bivio tra due sentieri: uno procede più in basso, l’altro più alto, prendendo quota. Come facciamo a sapere se si tratta del bivio n°2 oppure di un altro bivio non segnato sulla mappa?
La prima cosa da fare è identificare la quota del bivio sulla mappa. In questo caso non è riportata la quota numerica (sulle cartine ben fatte le quote dei bivi sono spesso riportate) e la dobbiamo quindi ricavare tramite le isoipse. Come vediamo, il punto 2 si trova precisamente a metà tra due curve di livello: quella dei 1325m e quella dei 1350m. La sua quota quindi si troverà a metà tra i due valori, attorno ai 1335m.
Nota, seppur con una certa approssimazione, la quota del bivio, ci basterà confrontare la nostra attuale quota letta sull’altimetro per stabilire se ci si trova nel punto giusto. Se ad esempio leggiamo una quota di 1280m, significa che siamo al bivio sbagliato e che dobbiamo proseguire ancora dritti per incontrare quello giusto.
L’utilizzo di un ciclo computer con altimetro barometrico è estremamente utile: avendo sempre la quota a portata di mano, si può sapere quanto manca ad un punto chiave ed evitare quindi di superarlo accidentalmente.
Superato il bivio 2 ad esempio, sappiamo che il 3 si trova a 1450m. Fino a che non raggiungeremo quota 1450m non dovremo far altro che seguire il sentiero trascurando ogni bivio. Quando l’altimetro ci dirà che ci stiamo avvicinando alla quota di nostro interesse, allora significa che è tempo di prestare attenzione. Questa tecnica è particolarmente utile soprattutto in discesa, dove spesso ci si fa prendere la mano ed il rischio di perdere per strada qualche incrocio è concreto e frequente. Conoscendo la quota dei vari bivi e confrontandola con la propria si scoprono subito eventuali errori.
Sebbene fornire le proprie coordinate GPS sia il sistema migliore per comunicare la propria posizione ad eventuali soccorritori, in assenza di tali dispositivi la cartina svolge un ruolo fondamentale.
I soccorsi in caso di bisogno arrivano in pochi minuti, ma devono conoscere con precisione la nostra posizione. In questa foto un elicottero soccorre un biker infortunatosi sul sentiero del Pernici (Lago di Garda).
Come infatti fornire informazioni relative alla propria posizione senza conoscere i nomi dei paesi e delle borgate, oppure i numeri dei sentieri? Con la cartina tutte queste informazioni sono facili da reperire.
Immaginiamo che durante la nostra salita al rifugio Semenza, incontriamo un escursionista infortunato lungo il percorso, nel tratto ripido dopo Pietra della Madonna. Dobbiamo chiamare soccorsi e fornire loro la nostra disposizione.
Cominciamo con il notare una cosa: la suddivisione del percorso in waypoint che identificano diversi settori, ci consente di sapere sempre dove ci troviamo e di risalire alla nostra posizione sulla cartina facilmente. Sappiamo che ci troviamo tra il Sasso della Madonna (waypoint 5) ed il bivio con il sentiero 926 (waypoint 6). E’ un aspetto molto importante, soprattutto in condizioni di maltempo o scarsa visibilità.
Grazie alla cartina possiamo fornire alla centrale operativa tutte le informazioni necessarie per raggiungere la nostra posizione. Con una frase del tipo “Ci troviamo sul sentiero 923, partiti dai pressi di Malga Pian Lastre stiamo procedendo in salita verso il rifugio Semenza. Poco sopra Sasso della Madonna, abbiamo trovato un escursionista ferito. La nostra quota è 1710m.” forniamo tutte le informazioni necessarie per permettere ai soccorsi di raggiungerci. Sfido chiunque a ricordarsi a memoria i numeri di tutti i sentieri della zona ed i nomi di tutte le borgate… E’ impossibile!
Per quanto uno possa stare attento, può comunque capitare di perdersi. Un bivio poco visibile, un sentiero riportato sulla carta che invece non esiste più: sono tutte situazioni che a tutti possono capitare.
La prima cosa da fare, per quanto la situazione possa essere critica (maltempo, scarsa visibilità, prossimità del tramonto, stanchezza, ecc) è sempre non perdere mai la calma ed analizzare la situazione in maniera razionale e sistematica.
La prima cosa da fare quando ci si perde è identificare la propria posizione. Se ci siamo smarriti, per forza di cose non sappiamo dove ci troviamo, quindi la cosa migliore è procedere fino a che non si incontra un punto particolare, come possono essere borgate, fortificazioni, bivi, un punto insomma che sia facilmente identificabile sulla cartina.
Riprendiamo come esempio il nostro solito itinerario: c’è brutto tempo, una fitta nebbia avvolge le montagne e per la scarsa visibilità abbiamo mancato il bivio 2, perdendoci. Decidiamo di proseguire dritti per raggiungere un punto caratteristico. Dopo aver percorso un lungo tratto di sentiero, arriviamo a Casera Palantina. Siamo fortunati, un cartello riporta il nome della borgata permettendoci di risalire alla nostra posizione sulla mappa.
Qualora ci ritrovassimo fuori percorso e la visibilità fosse buona, si possono utilizzare alcuni punti di riferimento come montagne particolarmente alte, fiumi e ruscelli, laghi, valli, borgate, paesi, gruppi di case o fortificazioni. Se ci si trova su di un fondovalle, quindi si ha una visuale limitata della zona, la prima cosa da fare è cercare di capire in quale valle ci si trova. La cosa migliore, in assenza di altri punti di riferimento, è di cercare di ricostruire sulla carta il percorso che si è seguito.
Una volta che si è capito dove ci si trova, bisogna elaborare un percorso alternativo.
Nel caso che stiamo analizzando, la soluzione è piuttosto semplice: si segue il sentiero 922 fino al Sasso della Madonna, dove si rincontra il percorso originario.
In realtà esiste anche un’alternativa: si potrebbe seguire il percorso blu. Guardando però le curve di livello si nota che il percorso blu scende per poi risalire. Si andrebbe a percorrere insomma un maggiore dislivello, allungando il tempo di percorrenza e con un maggiore impegno fisico.
Una cosa da non trascurare una volta trovato il percorso alternativo, è valutare nuovamente i tempi di percorrenza, che potrebbero essere molto più lunghi di quanto previsto in fase di pianificazione. Se ad esempio sono le 6 di sera quando ci troviamo a Casera Palantina, raggiungere il rifugio sarebbe sicuramente un azzardo: in una situazione del genere rientrare dalla strada della salita sarebbe la soluzione migliore per evitare di rimanere dispersi in mezzo alle montagne di notte.
E’ molto importante analizzare e valutare i tempi di percorrenza dopo che ci si è persi, anche e soprattutto in virtù della stanchezza cumulata nei chilometri precedenti. Avventurarsi in una direzione senza avere sufficiente tempo a disposizione può essere pericoloso: meglio trovare un ripiego, se possibile.
Una notte all’addiaccio in montagna è un’esperienza decisamente poco gradevole! Bisogna sempre valutare i tempi di percorrenza, trovando eventuali vie di fuga se è troppo tardi.
Come abbiamo visto la cartina è uno strumento utilissimo per chi si muove in montagna o in mezzo alla natura: essa fornisce infatti numerosissime informazioni fondamentali per pianificare il giro, orientarsi ed eventualmente comunicare ad altri la propria posizione, in caso di emergenza.
Uscire senza cartina, a meno di non conoscere bene la zona o di girare in zone fortemente antropizzate, è insomma molto pericoloso… Allo stesso tempo è altresì importante saperla leggere e sfruttarla al meglio. Insomma, oltre ad avercela sempre nello zaino, dobbiamo anche saperla leggere!
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