C’era una volta l’Homo Selvadego.
Ricoperto di peli e armato di un nodoso e appariscente bastone, si aggirava per la Val Gerola (valle orobica che si innesta alla Bassa Valtellina all’altezza di Morbegno) non senza far parlare sè. Pare vagasse per boschi e pascoli dispensando consigli e saperi, e facendosi rispettare a suon di: “Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me ofende ge fo pagura“, frase che rappresenta indubbiamente la sua più nota perla di saggezza.
Quello che però in pochi sanno è che a questo individuo, che alcuni dipingono come frutto della fantasia delle popolazioni alpine (al pari di Muldox, del Gigiat e del Daù), è da attribuire anche la scoperta della ruota grassa, erroneamente intesa dagli abitanti del luogo come attrezzo utile per fabbricare il burro, elemento indispensabile alla cucina valtellinese.
Decidiamo dunque di andare a cercare questo mitico personaggio lungo i sentieri della valle, ma anche nei ristori e addirittura nei fondi di caffè!
Si cerca guadagnandosi la salita a suon di pedale, a spinta e con un po’ di sano portage.
Ma dell’uomo peloso non si trova traccia, tanto che il morale si abbatte… e si pensa già a nuove spedizioni….
Forse, come Otzi nel Similaun, l’Homo Selvadego ha attraversato i ghiacciai con le sue ruote grasse, è passato attraverso il Disgrazia (da qui ben chiaro all’orizzonte), tracciando invero la prima Transalp della storia…
Ma perché se ne sarebbe andato da questi posti così belli e selvaggi? Forse perchè la gente del luogo per lungo tempo non ha creduto nella validità della sua scoperta, tappandosi gli occhi di fronte ad una così grande invenzione, e proseguendo con le tradizioni di sempre?
Qualcuno avanza anche bizzarre ipotesi circa la trasformazione dell’Homo Selvadego in esseri pelosi di altra natura…
Ipotesi che aleggiano nell’aria, mentre velocemente si perde quota.
Ed eccoci ancora passare al setaccio pascoli, laghi e fontane senza però trovar risposte chiare.
Finalmente, nascosto in una baita, emerge un antico zaino, certamente utilizzato per gite di una o due giornate massimo, e dotato di robusti spallacci. Ancora perfettamente conservato si può notare la buona ventilazione dello schienale.
Finalmente un segno palpabile della sua presenza in zona ancora in tempi recenti!
Inebriati da questa scoperta, ci lasciamo invadere dall’adrenalina della discesa, ripercorrendo questi sentieri così carichi di storia (e leggende).