Vi siete mai chiesti come potrebbe andare una bici con le geometrie tipiche di un modello da enduro ma con l’escursione di una trail bike? Noi sì, motivo per cui non ci abbiamo pensato due volte a chiedere in test la Meta Hip Hop di Commencal quando l’abbiamo vista comparire nella linea 2014 della casa di Andorra.
E chissà che una bici di questo tipo non possa aggiungere ulteriori elementi di discussione in questo recente articolo di Daniel Naftali…
La Hip Hop 2 inviataci è quella con l’allestimento di livello inferiore fra i due disponibili, speriamo quindi di soddisfare anche chi lamenta un’eccessiva presenza di modelli top di gamma nella sezione test (approfittiamo però per ribadire che quasi mai siamo noi a scegliere gli allestimenti).
Cominciamo dando un’occhiata a quanto anticipato nell’introduzione, vale a dire ai valori di travel ed a quelli geometrici (taglia L): 140 mm di escursione anteriore, 120 mm al posteriore, seat tube da 470 mm/73°, 615 mm di top tube, interasse di 1176 mm, 430 mm di chainstay ed angolo sterzo di 66°. Se a tutto ciò aggiungiamo che standover e movimento centrale sono piuttosto bassi, due considerazioni vengono immediate: la prima è che, eccezion fatta per la quota di chainstay abbastanza contenuta, geometricamente la Hip Hop è la classica bici da enduro; la seconda che è una bici “bassa e lunga”.
Per apprezzare la linea filante della Hip Hop non servono in realtà troppi numeri, trattandosi di una caratteristica che colpisce anche visivamente. Ciò che però colpisce la vista ancor più intensamente è il colore, un verde fluo che di certo non passa inosservato.
Il telaio della Hip Hop, realizzato in lega di alluminio 6066 a triplo spessore, rivela in modo evidente una strettissima parentela con quello della Meta AM testata circa un anno fa. Oltre a ricalcarne le linee generali ed adottare il medesimo schema di sospensione denominato Contact System EVO (sostanzialmente un monocross di tipo float, dove l’ammo viene compresso da entrambi i lati), anche in questo caso ci troviamo infatti di fronte ad un telaio generosamente dimensionato, che non fa troppa economia di materiale e molto rigido. Il rovescio della medaglia è il peso elevato, dichiarato in ben 3.47 Kg senza ammortizzatore (non viene specificata la taglia).
La scelta di posizionare l’ammortizzatore Fox Float CTD a ridosso del movimento centrale è vincente in termini di abbassamento del baricentro, ma il punto è esposto agli schizzi di fango e sporcizia provenienti dalla ruota posteriore. Per ovviare all’inconveniente viene fornito un parafango in neoprene, che però non siamo riusciti a fissare in alcun modo dal lato inferiore, dato che uno degli occhielli dell’ammo nel quale è previsto venga inserita la molletta di fissaggio è cieco.
Interessante è il posizionamento della biella di rinvio, al pari del resto generosamente dimensionata, la quale è inclinata ed infulcrata in modo da non determinare un angolo troppo chiuso fra i foderi inferiori e superiori del carro con conseguenti problemi di rigidità.
Passando al montaggio – che trovate nel dettaglio a fine articolo – cominciamo con una considerazione riguardante il reggisella: mentre la bici inviataci era dotata di un telescopico KS Lev da 125 mm di corsa, l’allestimento standard prevede un normale reggisella in alluminio a testa dritta da 350 mm. Al di là dell’evidente handicap in termini di comodità e funzionalità rispetto al telescopico, vale la pena segnalare che un reggi da 350 mm abbinato al corto tubo sella potrebbe creare qualche problema di eccessivo fuorisella alle persone con il cavallo alto.
Non solo le geometrie, ma anche le scelte a livello di componentistica
Ci riferiamo in particolare alla piega da 780 mm di larghezza abbinata allo stem da 50 mm, entrambi marchiati Alpha ed entrambi una piacevole sorpresa per ergonomicità e fattura; al funzionale guidacatena MRP 2X; all’ottima Maxxis High Roller II da 2.4″ montata anteriormente ed alle solide ruote (hanno tenuto molto bene la centratura nonostante le abbiamo strapazzate per bene).
Veniamo ora agli unici due componenti a nostro giudizio non all’altezza della situazione: il primo è la copertura posteriore, ottima per quanto riguarda la combinazione scorrevolezza/tenuta ma dalla struttura troppo fragile per l’uso che questa bici consente. In termini pratici ciò significa dover tenere pressioni alte a discapito di tenuta e comfort. Trattandosi di un “componente di consumo” è tuttavia una pecca marginale.
Apetto marginale dal punto di vista pratico, ma che per alcuni potrebbe avere la sua importanza, la 32 stona un po’ anche dal punto di vista estetico, dato che mal si abbina alla struttura massiccia del telaio.
Il peso complessivo della bici con reggi telescopico è di 14.95 Kg a fronte dei 13.7 Kg dichiarati, risultato abbastanza mediocre per un mezzo che, almeno sulla carta, dovrebbe introdurre una nuova concezione di enduro che punta molto sul fronte della pedalabilità e della “giocosità”. D’altro canto, partendo da un telaio già pesante di suo, solamente un montaggio di alto livello avrebbe permesso un buon risultato su questo fronte.
Il settaggio delle sospensioni è semplice e veloce, non essendovi doppie camere da bilanciare o alte/basse compressioni da settare. Entrambe le unità sono in realtà dotate dei registri di compressione CTD a tre posizioni (Climb, Trail, Descend), ma si tratta di “macrosettaggi” da giocare in base alle situazioni, più che registri da regolare di fino. La misurazione del SAG della sospensione posteriore non è delle più agevoli per via della posizione incassata dell’ammo, così come poco agevole è intervenire sui registri una volta in sella. Presa l’abitudine, entrambe le operazioni sono tuttavia fattibili senza eccessivi contorsionismi.
Impostando il registro CTD di forcella ed ammortizzatore su “Climb”, la bici risponde quasi come una rigida, per quanto sono frenate le sospensioni. Grazie a questa caratteristica ed alla già citata rigidità del telaio, la dispersione di potenza indotta da eventuali oscillazioni delle sospensioni o flessioni laterali del carro è pressochè nulla. Posizione di guida favorevole e buona scorrevolezza della copertura posteriore sono gli altri due elementi che rendono la Hip Hop piuttosto redditizia in rapporto al peso, il quale comincia a farsi sentire in modo evidente solamente sulle forti pendenze.
Sui fondi accidentati diventa ovviamante improponibile procedere con le sospensioni sostanzialmente bloccate, ma anche la posizione Trail mantiene una frenatura piuttosto marcata. Al vantaggio di una dispersione di potenza che resta minima, si aggiunge quindi quello del mantenimento di un buon assetto, con la sospensione posteriore che non insacca nel superamento degli ostacoli e l’avantreno che resta ben caricato anche sul ripido non richiedendo eccessivi spostamenti in punta di sella.
Le sezioni tecniche e tortuose vengono superate con un’agilità inaspettata per una bici che in fin dei conti ha le geometrie di una enduro. Efficacia della frenatura in compressione dell’ammo e ridotta escursione posteriore riducono il rischio di toccare il terreno con i pedali e limitano il pedal kickback, fenomeno da cui la Hip Hop non è esente. Non poter sfruttare appieno le doti di trazione della Maxxis Ardent a causa dell’elevata pressione di gonfiaggio è un peccato, e costituisce un ulteriore buon motivo per sostituirla con qualcosa di più robusto (approfittando magari per una bella conversione in tubeless contenendo così anche l’aggravio di peso).
Al netto del peso elevato, la Hip Hop se la cava quindi molto bene in tutte le situazioni riscontrabili in salita, ma l’aspetto ponderale non è trascurabile e si manifesta in modo evidente quando la pendenza diventa sostenuta o le sezioni tecniche costringono ad una andatura con frequenti rilanci.
Chiudiamo il capitolo salita con una nota di merito all’insieme cambio/trasmissione, i quali hanno confermato una volta di più che non serve svenarsi con componentistica top-end per ottenere un funzionamento fluido e preciso.
Se sulla carta da una bici di questo tipo ci si potrebbero attendere una spiccata propensione alla giocosità, nella pratica la posizione di guida ben caricata sull’anteriore e le geometrie lunghe e distese ne condizionano il comportamento. Per alzare la ruota anteriore serve infatti decisione, e paradossalmente la Hip Hop da il meglio di sè quando si sfrutta questa propensione a stare incollata al terreno. Condotta con una posizione di guida aggressiva e volta alla ricerca della velocità, la Hip Hop è stabile e precisa, un autentico rasoio sui tracciati filanti e veloci dove, aiutata anche dalla ridotta altezza del movimento centrale e dall’ottimaMaxxis High Roller II, sembra correre sui binari.
Per chi ne sentisse la necessità, scaricare un po’ di peso dall’anteriore non sarebbe un’operazione troppo complicata o costosa, dato che basterebbe sostituire stem e piega montati di serie (rispettivamente 0° e 0.75″ di rise) con componenti dal rise maggiore. Aggiungere spessori sotto lo stem non è invece possibile, essendo l’unico presente già posizionato al di sotto di esso.
Che la Hip Hop sia più propensa a correre che a “giocare” emerge anche nelle sezioni lente e tortuose, dove richiede una iniziale fase di assuefazione prima di lasciarsi giostrare con facilità. Basta comunque prenderci le misure (anche alla piega da ben 780 mm) per trarsi d’impaccio senza troppi problemi. Diciamo che potrebbe trovarsi in difficoltà solamente chi ha una guida troppo passiva, magari attendendosi il comportamento di una trailbike.
Ad inizio test abbiamo scritto che, su una bici con queste caratteristiche, la Fox32 rischia di essere l’anello debole. La considerazione rimane valida, soprattutto sul ripido sconnesso dove un po’ più di rigidità e sostegno non guasterebbero, ma dobbiamo anche riconoscere che le prestazioni si sono rivelate molto meno penalizzanti di quel che temevamo.
Altra sorpresa in positivo è venuta dai freni Formula C1, sempre all’altezza della situazione sia per potenza che per resistenza a fatica nonostante appartengano alla fascia bassa nella gamma della casa toscana. Per completezza di informazione dobbiamo tuttavia dire che, a fine test, la corsa della leva del freno posteriore era diventata un po’ irregolare. Probabilmente uno spurgo ne avrebbe ripristinato il perfetto funzionamento.
Nel test della Meta AM avevamo evidenziato una non eccelsa sensibilità della sospensione posteriore, imputandola però al tuning dell’ammortizzatore più che ad una caratteristica intrinseca dello schema. Provando la Hip Hop abbiamo avuto conferma dei nostri sospetti, dato che la minore frenatura in compressione dell’ammortizzatore ha reso il carro nettamente più sensibile (quando parliamo di tuning dell’ammortizzatore ci riferiamo ovviamente alla posizione Descend, di norma utilizzata in discesa). Per contro si paga qualcosa dal punto di vista del bobbing, presente ad ammo aperto ma, anche grazie alla limitata escursione posteriore che impedisce alla bici di “insaccare”, non al punto da infastidire nelle fasi di rilancio.
Commencal indica come ottimale un valore di SAG del 25%, prevedendo tuttavia la possibilità di muoversi entro un range che va dal 10% al 30% a seconda che si voglia privilegiare reattività o assorbimento. Abbiamo trovato queste indicazioni valide finchè non ci si spinge oltre i piccoli drop o salti che di norma si possono trovare lungo i sentieri naturali, mentre su drop più consistenti o salti “critici” per landing o esecuzione il finecorsa arriva facilmente anche con il SAG al 10%. Se da un lato questa linearità della sospensione permette di utilizzare al meglio la poca escursione disponibile, e sullo sconnesso la Hip Hop è molto meno nervosa di quanto sarebbe lecito attendersi, dall’altra tende ad assorbire anche gli input che vengono dal pilota. Un comportamento più progressivo gioverebbe quindi anche in termini di reattività rendendo la bici più “giocosa”, oltre che ampliarne il range di utilizzo verso ambiti più “aerei”.
Le discese in stile “vert” non intimoriscono la Hip Hop, che anche in questo ambito ha poco da invidiare alle migliori enduro. D’altro canto gli ingredienti necessari per eccellere ci sono tutti: standover basso e seat tube corto per un’ottima mobilità, angolo sterzo relativamente aperto per un elevato limite di ribaltamento e perciò sicurezza sulle forti pendenze gradonate. Come già rilevato in ambiti meno estremi, un po’ più di rigidità e sostegno da parte della forcella sarebbero la ciliegina sulla torta, ma nuovamente dobbiamo ammettere che ci saremmo attesi un handicap ben maggiore a causa di essa. Mentre la cosa sarebbe poco proponibile in altre situazioni, sui tracciati iper-tecnici e lenti ci si può inoltre giocare la carta “trail” (la posizione intermedia del registro di compressione), ottenendo un avantreno molto preciso e poco incline all’affondamento.
A nostro giudizio Commencal propone con la Hip Hop un concetto di bici vincente, che però necessita di un montaggio leggero per essere sfruttata al pieno delle sue potenzialità. Con un peso inferiore ed una maggior propensione della sospensione posteriore ad assorbire grossi impatti, nelle mani di biker dal buon bagaglio tecnico la Hip Hop 2 sarebbe di una polivalenza difficilmente eguagliabile.
_Allentamento snodo principale del carro lato destro
_Allentamento mozzo posteriore
_Allentamento dei bulloni di fissaggio del tendicatena all’attacco ISCG
Interasse: 1177 mm
Angolo sterzo: 66°
Corsa anteriore: 143 mm
Corsa posteriore (valore dichiarato): 120 mm
Interasse/corsa ammortizzatore: 190 x 51 mm
Altezza movimento centrale: 328 mm
Peso senza pedali: 14.950 kg
Peso telaio senza ammortizzatore (dato dichiarato): 3.47 Kg
Peso ruota ant completa*: 2160 g
Peso ruota post completa*: 2490 g
* = ruota in ordine di marcia, quindi incluse coperture, dischi e pacco pignoni. Sono esclusi i perni di fissaggio.
Bici completa: 3225 €
Telaio completo di ammortizzatore: 2015 €
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