Con bici e barca in Laguna

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Sabato 29 ottobre, è mezzanotte, sto rientrando in macchina dalla festa di laurea di mia figlia, fuori c’è una nebbia boia. Ho bevuto qualche prosecco di troppo, sono stanco, la testa è pesante. Lungo il breve tragitto verso casa, fissando l’ipnotica linea continua che si perde nella nebbia, ho dei flashback, immagini confuse mi ritraggono mentre sto pedalando, poi pagaiando, seduto in un “gommone”. Scuoto la testa, “Troppi prosecchi”, penso proprio che domani resterò a casa. Parcheggio la macchina in garage, sbadiglio di brutto e con occhi annebbiati guardo la mia Fat appoggiata alla catasta di legna della stube, che spettacolo. Allestita di tutto punto nel pomeriggio, è pronta a scattare ad un mio cenno.



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Da quasi un anno ho programmato, immaginato, sognato, questo bikerafting tour; la ricerca delle borse da bikepacking, il packraft, il corso di canoa, un’inverno, una primavera e un’estate intensi in cui spesso i miei allenamenti arrivavano a Lio Maggiore; ammiravo la laguna e mi sentivo frustrato nel dover girare la bici, per non poter proseguire oltre. Che cosa si celava oltre l’orizzonte di quei canali e canneti lagunari proibiti? In realtà, informandomi all’agriturismo la Barena, scopro che esiste un servizio di trasporto bici organizzato; contatto il “capitano” il quale m’informa che si deve essere almeno in 5/6 biker, poi dobbiamo accordarci sull’ora della partenza, sincronizzare i tempi con la bassa marea, e sul più bello “guarda, ho rotto il motore non so quando riprenderò il servizio”, troppo casino.

Poi un giorno, frugando sul web in cerca di borse per il bikepacking sul sito di Revelate Design, noto una foto che ritrae un tizio su un gommone che pagaia su un fiume in Alaska, con FatBike, zaino e amenicoli vari al seguito, incredibile; come una calamita, attira immediatamente la mia attenzione. Scopro il packraft, e mi si apre un mondo, finalmente l’anello mancante che mi permette di chiudere IL GIRO tanto sognato in completa autonomia, ma non solo.

Domenica 30 ottobre, sono le sette, sbircio dalla finestra del bagno, c***o non c’è nebbia e il sole sta sorgendo, troppo tardi penso, magari faccio un giretto in zona per testare le bici carica. So di mentire a me stesso perché il cervello sembra in tilt, mi ripropone ancora i flashback della notte precedente. Colazione veloce e mi vesto. Accensione garmin, ok, accensione Spot, ok, spegnere cellulare, fatto; 8:00 partenza, direzione Lio Maggiore verso la laguna. Mi sento a disagio, non sono abituato a partire così tardi, il sole inizia a scaldare, io inizio a spogliarmi. L’aria fresca del mattino lentamente cancella la nebbia nella mia testa e lentamente le gambe iniziano a carburare mettendomi di buon umore; col sole alle spalle e una leggera brezza a mio favore in 1:30 arrivo all’agriturismo La Barena a Lio Maggiore.

Che magnifica giornata di sole, la laguna è uno specchio; l’odore di salsedine portato dal vento mi rigenera. Ora che son qua mi vien voglia di proseguire, magari faccio un piccolo giro di prova lungo le barene; sgancio il packraft e inizio i preparativi. Nel mentre si avvicina il proprietario dell’agriturismo incuriosito da ciò che sto facendo, non crede che il “gommone” possa reggere la bici: “Ciao, che bici strana, che rode grosse, dove vatu, cossa fatu?” ahhh? “Parmi el se rebalta”.

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Chiama la moglie che decide di riprendere un video col telefonino e mentre mi allontano pagaiando fra l’incredulità di entrambi mi urla la “strada” da seguire. Finalmente mi immergo nella laguna e solcando i canali lungo le barene, mi sento Indiana Jones; al mio passaggio qualche pesce salta a pelo d’acqua, barchini di pescatori passando rallentano e sorridendo salutano, “Ha ha un canotto che porta na bici ciaoooo”, sono già popolare penso, le onde create non mi scompongono.

Inizio a sudare, fa caldo, tolgo il casco, dopo una lunga pagaiata, i conti non mi tornano, decido di scendere vicino ad un’argine, trovo un contadino e gli chiedo dove sono; non capisce da dove salta fuori sto tipo vestito strano e non mi bada nemmeno, allora gli spiego da dove vengo e catturo la sua attenzione facendogli vedere il packraft carico di bici, zaino e borse varie; si toglie il cappello e grattandosi la testa, guardando il packraft, mi dice, “Te si ae Mesole”. Come Cristoforo Colombo pensava di aver trovato le Indie e invece aveva scoperto le Americhe, così io pensavo di essere sull’argine di Lio Piccolo e invece mi ritrovavo alle Mesole.

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Poco male, mi sorprendo della mia tranquillità interiore, mi sento a mio agio nei casini, come da giovane in montagna affrontavo gli imprevisti del caso, ora con tranquillità sgonfio il packraft, carico la bici mentre mangio un panino e percorro l’argine della barena che mi conduce ad una stretta strada asfaltata godendomi il panorama lagunare e la splendida giornata di sole.

Messaggio a casa una piccola bugia “Ciao, sono ancora a Lio Piccolo, torno per le 15:00”. Sarà l’effetto avventura “style into the wild” ma mi sento stranamente euforico, ad un’incrocio un cartello indica via Lio Piccolo, “Lo sapevo”, penso allora giro a destra e lo raggiungo velocemente; all’orizzonte Burano, Torcello, e altre piccole isole sembrano galleggiare sulla laguna, che bellezza; vecchie case di pescatori si riflettono sull’acqua, uccelli dal becco lungo di cui non conosco il nome passeggiano sulle acque salmastre della laguna a caccia di pesciolini.

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Non ero mai stato fin qui, ma non guardo mai il Garmin, c’è solo una stretta lingua d’asfalto che solca la laguna, impossibile sbagliare; ho studiato parecchie volte il percorso su carta, google maps, carte nautiche della laguna, la bici sembra avere il pilota automatico (il packraft un po’ meno), gira dove deve girare, si ferma agli stop. Pedalo in un’incredibile stato ipnotico e tutto senza prosecco, cosa ho messo nelle borracce stamattina?

Tornando verso Cavallino, passo il ponte sul canale Pordelio, giro a sinistra e prendo dopo un po’ d’asfalto la ciclabile che mi accompagna con una vista magnifica sulla laguna allo sterrato che costeggia il Sile con i suoi canneti, i casotti da pesca sospesi su palafitte con le reti dei pescatori al vento. Arrivo a Jesolo paese, paesaggi e strade ora familiari. Le borracce sono quasi vuote, panini finiti, rimane un quadretto di cioccolata e una barretta energetica, ma ho un carico di endorfine che almeno per i prossimi 10 giorni mi farà felice; ora sono ai salsi, raggiungo la torre del Caligo, finalmente Caposile, Musile, Fossalta e dopo 100 km e sette ore di movimento, casa dolce casa.

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