Enduro Test 2014: analisi finale

Questo ultimo articolo riguardante il nostro test comparativo di 15 bici da enduro ha come oggetto le nove bici che non sono ancora state analizzate singolarmente.

Cube Stereo 160 HPA

La grande sorpresa del test, che ha fatto storcere il naso ai fan delle bici il cui telaio è più caro di questa Stereo in alluminio – completa.

La Stereo 160 HPA ci ha colpito soprattutto per la sensibilità delle sospensioni, fin troppo al posteriore, che è risultato essere piuttosto lineare e relativamente facile da portare a finecorsa. Non era una novità, come segnalato nel test della Fritzz dell’anno scorso, e probabilmente la cosa si lascia migliorare con un ammortizzatore più evoluto quale il Float X, per rimanere in casa Fox, presente sui modelli di gamma più alta della Stereo.

La bici è molto compatta, super agile nello stretto. È proprio nello stretto scassato ripido che tira fuori il meglio di sé, grazie ad un avantreno piuttosto alto, in pieno stile Nicolas Lau. Sul veloce la grande sensibilità delle sospensioni e soprattutto del carro sopperisce alla “compattezza” del telaio.

La vediamo bene nelle Alpi, su quei sentieri gardesani, pieni di rocce, da fare a velocità ridotta per cercare la linea migliore. Anche perché, da pedalare in salita, la Stereo non è affatto male.

Cannondale Jekyll Carbon 2

La “sorella minore” della bici di Jerome Clementz non ha certo bisogno di presentazioni. Nella classifica di questa comparativa si è piazzata in una brillante 5ª posizione, confermando le qualità che l’hanno portata a vincere l’EWS 2013.

Le Cannondale Jekyll Carbon ha guadagnato il punteggio più alto in ben 3 categorie di voto: salita tecnica, salita scorrevole (a pari merito con la Scott Genius e la Pivot Mach 6) e nei rilanci. Alcuni dati geometrici ci indicano già sulla carta che si tratta di una bici veramente incline alle fasi pedalate: l’altezza del movimento centrale è la più alta tra le bici testate così come l’angolo di sterzo è il più “verticale”. L’ammortizzatore Dyad, con la sua possibilità di modificare in corsa l’escursione tramite comando remoto sul manubrio, contribuisce significativamente alle prestazioni in salita e nei rilanci.

In discesa lo stesso Dyad è responsabile di un comportamento un po’ pigro della sospensione, che non ha brillato nella discesa tecnica, mentre la grande maneggevolezza ci ha fatto apprezzare meglio la Jekyll nelle discese scorrevoli e nei tratti più tortuosi dei percorsi.

Impossibile non citare la Lefty Supermax da 160mm, che si è rivelata una delle forcelle più interessanti del test, penalizzata solo dall’assenza di registri esterni della compressione e da un ritorno un filo lento anche a registro completamente aperto, ma controbilanciata da un’ottima scorrevolezza e da una rigidità semplicemente monolitica.

Lapierre Spicy Team

La Lapierre Spicy è una bici molto interessante, sia per il montaggio “pronto gara” sia soprattutto per l’EI:Shock, il sistema di sospensione elettronica “intelligente” proprietario di Lapierre.

La prima cosa che abbiamo notato della Spicy è il carro particolarmente largo, che ha create diversi problemi di interferenza con i piedi di alcuni di noi. Utilizzando scarpe un pochettino più spesse delle scarpette da XC, il piede va a sfregare contro il telaio causando non solo fastidio, ma anche l’abrasione della vernice ed il danneggiamento della scarpa. In discesa avere il carro che sfrega continuamente contro il piede non solo non è piacevole, ma crea fastidio nella guida della bici. La soluzione? Usare scarpe molto strette (stivaletti o scarpe XC) ed allora il problema non si pone. Riteniamo tuttavia che questa caratteristica sia un grosso punto a sfavore della Spicy, visto che la scelta delle scarpe non dovrebbe essere vincolata dalla forma del telaio, ma dovrebbe essere fatta in base alle proprie esigenze, alle proprie preferenze ed alla tipologia di percorso che si va ad affrontare. Per questo un punteggio piuttosto basso di qualità realizzativa.

Parliamo un po’ dell’EI Shock, il cuore di questa bici. Il sistema funziona, c’è poco da dire, e grazie alla gestione elettronica della sospensione la Spicy ha preso quasi il massimo nella voce “reattività e rilanci” ed anche un buon punteggio in salita, soprattutto su quella scorrevole. Il sistema infatti blocca automaticamente la sospensione (modalità Firm) in ogni istante che si pedala, a meno che non venga rilevato uno o più ostacoli alla ruota davanti. In questo caso il sistema decide, in base all’intensità della sollecitazione, se aprire completamente l’ammortizzatore o passare in modalità intermedia, il tutto prima che la ruota posteriore raggiunga l’ostacolo. Il risultato? La pedalabilità ne guadagna e la bici risulta efficiente e scattante sia in salita che sui rilanci.

In discesa, quando non si pedala, la sospensione posteriore si apre automaticamente e la bici ha rivelato una buona indole discesistica, specialmente sul guidato dove ha dimostrato un’ottima maneggevolezza. EI Shock o meno, la Spicy rimane comunque piuttosto reattiva al retrotreno, reattività comunque mitigata rispetto agli anni scorsi dal nuovo ammortizzatore Rock Shox Monarch.

Con un montaggio pronto gara e componentistica di altissima gamma, la Spicy è una delle bici meglio allestite del lotto, ma anche una delle più care.

MDE Damper 650b

Il marchio MDE è tornato alla carica nel mercato enduro con la nuova Damper, l’unica del gruppo realizzata e progettata in Italia.
Bella esteticamente e curata sia nelle grafiche che nella realizzazione, è stata definita da molti tester “buona dappertutto” perchè si è dimostrata valida in tutte le situazioni senza però eccellere particolarmente in qualcosa.
Geometrie e posizione in sella sono azzeccate e cosa non da poco, offre una confidenza immediata una volta in sella. In discesa risulta facile da usare, da “giocarci” e ha un ottima manovrabilità in tutte le situazioni. E’ sicuramente orientata più sull’agile che sullo stabile senza perdere in sicurezza di guida.
Il sistema i-link del carro si difende bene anche nel pedalato, la bici risulta scorrevole, a patto di bloccare l’ammortizzatore o almeno settarlo in posizione trail. In salita paga un po’ il peso di 13,8 kg che la penalizza anche nella classifica finale.
Minus: la forcella. Non è che vada male o abbia particolari problemi, questa va anche meglio rispetto a quella montata sulla Nukeproof, semplicemente le altre hanno un modo di lavorare diverso, che è piaciuto di più un po’ a tutti.
Poco male, MDE propone un configuratore on-line con diversi kit di allestimento.

Nukeproof Mega

Nukeproof si è presentata al test con la nota Mega AM. Il montaggio proposto da Scout, distributore italiano del marchio britannico, differisce da quelli che trovate sul sito Nukeproof. Una delle differenze più importanti sta nella forcella, visto che la bici ci è giunta con una Marzocchi 350 CR al posto della Pike. Come di consueto Nukeproof utilizza parecchia componentistica con il proprio marchio, ruote in primis. La sospensione posteriore è di tipo monocross assistito ed è gestita dall’ottimo Monarch Plus RCT3 Debon Air. Il telaio, appariscente per le scelte cromatiche, appare piuttosto massiccio. Forse non il più filante ed elegante della comparativa, ma la sensazione ti solidità che trasmette è rassicurante.

Nonostante la posizione in sella ben centrata e l’efficace frenatura del Monarch settato in posizione climb, sulle salite scorrevoli la Mega paga inevitabilmente il peso di oltre 15 kg in ordine di marcia. A chi obietta che sui sentieri girano ennemila enduro con pesi di quel genere ricordiamo che in questo caso si è trattato di una comparativa. Quando ti trovi a “combattere” con bici che non raggiungono i 13 kg di peso, magari dotate di controllo remoto dell’ammo e/o riduzione della corsa, le differenze emergono impietose. A maggior ragione se, come  sospettiamo, il set ruote non è dei più leggeri.

Il peso ovviamente non scompare neppure sul tecnico, ma come evidenziato nei plus la bici sale meglio di quanto ci saremmo attesi. Mantenendo una pedalata regolare, la Nukeproof ci ha permesso di superare in sella anche tratti particolarmente ripidi e la sospensione posteriore non delude in termini di trazione, oltre a non insaccare.

Nella discesa sconnessa sono emersi i limiti legati alla Marzocchi 350 CR, il cui comportamento non tiene testa a quello – ottimo – della sospensione posteriore. La forcella pecca sul fronte della sensibilità, mettendo il rider di fronte a due scelte: un setting morbido che però ne compromette le prestazioni sul ripido e nell’assorbimento di grossi urti, oppure un setting “normale” al prezzo di un avantreno nervoso sugli ostacoli di piccole dimensioni. La sospensione posteriore, come anticipato, lavora invece bene sia in termini di sensibilità che di curva di compressione, assorbendo efficacemente ogni genere di impatto.

Ottima l’impressione di rigidità trasmessa dal massiccio telaio, probabilmente uno dei fattori che contribuisce, assieme alle geometrie ben bilanciate, a rendere la Nukeproof piuttosto brillante anche sul fronte dell’agilità. Nei rilanci si paga invece il peso e, rispetto ai modelli dotati di gestione remota della compressione dell’ammo, la necessità di dover ogni volta lasciare la presa del manubrio per scendere a cercare la levetta del Monarch. E’ un aspetto che potrebbe apparire secondario ai non agonisti, ma inutile negare che molte delle attuali enduro sono state sviluppate in ottica race.

Destino comune alla Banshee Rune, la Nukeproof Mega AM ha perso parecchi punti a causa del peso. Purtroppo per la Mega, in questo caso si somma la scarsa valutazione ricevuta dalla forcella.

Pivot Mach 6 Carbon

Pivot gode di una grande fama per quanto riguarda la qualità delle proprie realizzazioni, in molti si sono perciò stupiti per il punteggio relativamente basso ricevuto dalla Mach 6 alla voce cura costruttiva. E’ già stato spiegato nella comparativa, ma ripetiamo qui il motivo che ha determinato la valutazione: la catena sfregava sul fodero superiore del carro quando posizionata sul pignone più piccolo, problema che a nostro giudizio va ben oltre il dettaglio estetico. Per correttezza va detto che il problema è stato risolto nei nuovi carri mediante uno svaso ricavato nel fodero superiore. Sui carri “vecchia serie” è invece risolvibile mediante un apposito spacer che va in battuta sul mozzo. Se si esclude questo problema ed il passaggio cavi un po’ “cervellotico” in zona ammortizzatore, la Pivot non tradisce la fama di cui gode.

A non tradire è anche il dw-Link, la sospensione posteriore della Pivot ha infatti ottenuto il punteggio più alto fra le 15 bici in test. Oltre alla stabilità in fase di pedalata ed alle ottime prestazioni anche a piattaforma aperta, la sospensione è infatti molto sensibile e la progressività ottimale. Purtroppo non si può dire altrettanto della Fox 34 montata all’anteriore, forcella che sarebbe ingiusto definire inadeguata, ma un gradino sotto quanto abbiamo trovato su molte delle altre bici partecipanti alla comparativa. Una forcella più performante, in grado di assecondare al meglio le prestazioni della sospensione posteriore, avrebbe sicuramente comportato un migliore punteggio anche alla voce discesa tecnica.

Sulle salite scorrevoli la Mach 6 fila via che è un piacere, sembra quasi di stare su una trail bike. Sul tecnico paga solamente nei confronti delle bici dotate di riduzione della corsa posteriore, o comunque di comando remoto dell’ammortizzatore. Un po’ alto l’appoggio per le mani per via dei 35 mm di rise della piega, valore a giudizio di tutti eccessivo.

Nelle discese rotte e veloci la sospensione posteriore si conferma molto valida ed incassa senza battere ciglio, ma come anticipato è la forcella a costituire l’anello debole della catena. Anche da un punto di vista geometrico sembrerebbe che sia stata posta più attenzione alla manovrabilità che alla stabilità. L’interasse è infatti il più corto fra le 15 bici in test, la quota di chainstay contenuta e l’angolo sterzo fra i più verticali.

Nel guidato la confidenza è invece immediata, la bici gira con gran facilità ed è una delle meno faticose da condurre. Sorprendenti le prestazioni nei tratti scorrevoli e nei rilanci, dove la bici prende velocità in modo fulmineo, trasmettendo una sensazione di leggerezza che va oltre il già ottimo risultato di 13 kg da noi rilevato.

In definitiva la Mach 6 ci è parsa una delle bici più efficaci in salita, facile e reattiva in discesa. A differenza di altri marchi, la tendenza di portare i modelli da enduro verso delle “mini DH” sembrerebbe non aver attecchito in casa Pivot.

Rose Uncle Jimbo 3

La Uncle Jimbo è risultata la maglia nera del nostro test, penalizzata nei numeri principalmente a causa del reparto sospensioni. La Fox 34 è sottodimensionata sia per la bici che per l’utilizzo a cui è destinata e il confronto con la sorella 36, Pike e ancor di più Bos, è abbastanza impietoso.
L’ammortizzatore Float X, come poi ci è stato confermato da Sergio di Rose Italia, aveva un problema. Durante il test, nonostante un sag adeguato, la bici si sedeva troppo e contemporaneamente non si riusciva a sfruttare tutta la corsa. In pratica si lavorava solo sulla parte centrale della corsa dell ammortizzatore.
E’ chiaro che questo ha decisamente complicato il fatto di capire il carattere vero della bici.
Detto questo, la manovrabilità della bici è buona, sia nello stretto che nel veloce, un buon equilibrio tra stabilità e agilità.
In salita abbiamo patito molto il fatto che la bici si “sedeva” dietro e probabilmente per questo ci è risultata faticosa da portare in cima e poco scorrevole.
Posizione in sella e geometrie sono azzeccate, moderne ed in linea con la concorrenza. La taglia è una L “vera” consigliata dall’ 1,80 in su, il telaio è curato e ben rifinito e la linea estetica è particolarmente pulita con i cavi che passano tutti all’interno del telaio.
È l’unica che potrebbe battagliare con Yt per il primato sul rapporto qualità/prezzo, in più però ha la possibilità del configuratore on-line per potersela montare come più ci piace.
Plus unanime per le gomme, le Mavic sono leggere, scorrevoli e hanno un grip sorprendente soprattutto dietro, è difficile metterle in difficoltà.

Scott Genius LT

I numeri della Scott Genius LT lasciano a bocca aperta: come è possibile che una 27,5 da 170mm pesi solo 12,2kg?

La risposta è da cercare nell’allestimento, estremamente curato e di alto livello e nella ricercatezza dei dettagli. Ogni particolare, anche quello meno rilevante non è lasciato al caso, ecco perchè la Genius ha quasi ottenuto il massimo punteggio nella qualità costruttiva.

Il cuore della Genius è l’ammortizzatore Nude, che grazie alla modalità “Traction Control” con escursione ridotta a 110mm, permette alla bici di salire quasi come un mezzo da XC. Non stiamo scherzando, la Genius è veramente impressionante in salita ed è il motivo per cui sullo scorrevole ha preso il punteggio massimo ed è arrivata seconda sulla salita tecnica, con un distacco veramente minimo dalla Cannondale Jeckyll (0,2 punti). Il Twinlock agisce in maniera simultanea sia sulla forcella che sull’ammortizzatore andando ad inserire su entrambi la modalità Traction o la modalità Climb ed è estremamente facile e comodo da usare. Unica pecca il fatto che in modalita Climb la forcella abbia un blocco totale, mentre l’ammortizzatore solo una piattaforma stabile che, seppur molto efficiente, causa comunque una disomogeneità di comportamento tra avantreno e retrotreno.

In discesa ci si aspetterebbe molto dai 170mm della Scott, così come dalle sue geometrie, però la sua indole “all mountain” si fa sentire in una elevata reattività e nervosità del retrotreno. Sul guidato la bici potrebbe essere più maneggevole, mentre sul veloce e sul tecnico la sospensione posteriore non è risultata essere la più “mangiatutto” del lotto. In compenso sui rilanci è molto valida, sia in modalità discesa che soprattutto in modalità Traction. Insomma, nonostante dalle sue caratteristiche tecniche sembri il contrario, a conti fatti la Genius è più una all mountain maggiorata che una bici per le gare enduro. Per andare fino in fondo alla questione la bici viene sottoposta al momento ad un test di durata di cui potrete leggere i risultati fra qualche settimana.

La Fox 36 da 170mm all’anteriore si è comportata molto bene, ottima soprattutto in quanto a rigidità e precisione. Peccato però non abbia l’idraulica RC2 e non si possa in alcun modo regolare la compressione.

Transition Patrol

C’era grande curiosità intorno alla Patrol, perché Transition ha cambiato completamente schema di sospensione rispetto alla Covert. Anche la tipologia di bici è totalmente nuova: la Patrol è una bici maneggevole, agile e scattante, che ti fa sentire a tuo agio appena ci sali in sella. Sospensioni molto sensibili che armonizzano bene, escursione posteriore (155 mm) meno esasperata di altre in comparativa. Una bici “facile” e che troverà riscontro in un pubblico più ampio rispetto a quello che poteva essere l’acquirente tipo del marchio americano finora.

Rimane una bici da enduro moderno, quindi non esattamente uno stambecco in salita, complice il carro che tende a bobbare se l’ammo è aperto, un po’ come tutti i giunti horst, complice anche la chiusura della compressione del Rock Shox Monarch, non molto marcata.

Montaggio ben pensato e leggero, che porta la bilancia a fermarsi a 13.75 kg, un peso di tutto rispetto se si considerano il telaio in alluminio e la Schwalbe Magic Mary davanti.

Abbiamo segnalato come meno il passaggio cavi per le dimensioni del buco presente sul tubo obliquo, mancante di una guarnizione che blocchi acqua e sporco dall’entrare nel telaio, e dalla discutibile scelta di far uscire i cavi esattamente sotto il movimento centrale.

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