Nel video All Rides Leads to ROAM, i riders Veronika Widmann, Kilian Bron e Liam Moynihan indossavano il Roam, la nuova proposta di MET per l’all mountain.
MTB-MAG, unico media italiano presente all’evento, ha avuto la possibilità di testarlo in anteprima in una due giorni di riding sulle montagne che fanno da circondario alla sede centrale di MET, in Valtellina. Guidati dal responsabile Media & PR Ulysse Daessle, fra una sessione di riding e l’altra abbiamo quindi potuto visitare la sede stessa e scambiare due chiacchiere con chi si occupa delle varie fasi di sviluppo e test, attività che, a differenza della produzione, non sono state delocalizzate ed avvengono ancora in toto nella sede di Talamona (SO).
Tipo: aperto
Utilizzo ideale: all mountain
Taglie disponibili: S (52/56), M (56/58), L (58/62)
7 colori
Versione MIPS: sì
Peso taglia M: 335 g / 360 g con MIPS
Crash replacement: sostituzione al 50% del prezzo di listino se il casco viene danneggiato a seguito di una caduta durante il periodo di garanzia.
Prezzo al pubblico consigliato: 150€ / 170€ versione MIPS
Disponibilità in negozio: settembre 2017
Il look del Roam è quello caratteristico per questa tipologia di caschi, più “coprenti” rispetto ai modelli concepiti per un utilizzo xc. L’esame visivo rivela la particolare attenzione posta alla protezione di due zone considerate critiche, vale a dire la parte posteriore della testa e le tempie. Un ulteriore accorgimento a livello di forma della calotta è stato preso per permettere alla testa di piegarsi all’indietro senza che il collo subisca compressioni.
La struttura principale del Roam, deputata all’assobimento degli urti, è in Polistirene Espanso (EPS). Uno shell in policarbonato la ricopre totalmente, garantendo protezione da graffi o piccoli urti accidentali e garantendo una maggiore durata.
La visiera è regolabile su tre posizioni senza dover agire su alcun meccanismo di sblocco. Molta attenzione è stata posta alla rigidità del materiale utilizzato, che se eccessiva può pericolosamente trasformare la visiera in una specie di molla che in caso di urto andrebbe a trasferire l’energia sul collo.
Buone notizie per chi agli occhiali preferisce la maschera: oltre alla totale compatibilità, quando la visiera è nella posizione più alta la maschera resta saldamente alloggiata sulla parte frontale del casco. Interessante anche il sistema di ritenzione, affidato a due clip laterali integrate nella visiera stessa, oltre che ad una apposita sagomatura ricavata nella parte posteriore della calotta. Non ci si è dimenticati neppure di chi usa dei più tradizionali occhiali, dato che le due feritoie ricavate nella visiera sono studiate in modo da alloggiare le stanghette nei momenti in cui gli occhiali non sono indossati.
Se oltre ad utilizzare la maschera avete i capelli lunghi, il Roam è definitivamente il vostro casco, essendo dotato di una apertura posteriore pensata per farvi passare i capelli raccolti a coda di cavallo.
In particolare quando non si è ben centrati all’interno di una determinata taglia, i meccanismi di regolazione della calzata sono di fondamentale importanza per garantire un elevato livello di confort. Questo non è però l’unico motivo per cui un casco da all mountain deve essere particolarmente curato sotto questo aspetto, dato che è destinato a stare sulla testa anche diverse ore di seguito nelle più svariate situazioni e condizioni climatiche. Su questo fronte è quindi stato svolto un grosso lavoro, con una cura dei dettagli che rasenta il maniacale ma sempre attenti al contenimento dei pesi.
Oltre ad una regolazione che agisce sull’intera perimetria del capo, troviamo una regolazione verticale su tre posizioni e la regolazione occipitale. A proposito di quest’ultima, da segnalare la perfetta sagomatura della parte a contatto con l’incavo della testa e l’adozione di due imbottiture gommose per un ulteriore confort del punto di contatto.
Alcuni costruttori stanno abbandonando la regolazione dei cinghietti sotto le orecchie. Sempre in nome della massima calzabilità, i tecnici MET hanno deciso di mantenere questa ulteriore regolazione.
Se la capacità di ben adattarsi alla forma del capo tramite le opportune regolazioni è fondamentale, la ventilazione non è da meno. Il Roam è dotato di 22 fori, ma soprattutto è molto curato nella canalizzazione dell’aria, sia superiormente che lateralmente. E’ infatti questo l’aspetto realmente importante, più che il numero di prese in sé.
Per favorire la stabilità, l’area di contatto delle imbottiture interne è ampia. Una struttura di collegamento retata fa sì che la circolazione dell’aria non venga compromessa.
Il Roam sarà disponibile anche in versione MIPS, con una versione di quest’ultimo studiata in modo da minimizzare i lati negativi di questa tecnologia, cioè maggiore peso e minor ventilazione. Prendetela come una info “off the record”, ma ci è parso di capire che in MET non ritengono il MIPS una cosa così fondamentale. Il mercato però lo richiede, da lì la decisione di proporre il Roam anche con questa tecnologia.
Terminata la presentazione del Roam e goduta l’anteprima del video All Rides Lead to Roam, è cominciata la visita alla sede MET. Il discorso si è presto esteso al mondo dei caschi a 360°, ed è stato interessante scoprire quante piccole sottigliezze, dettagli ed accorgimenti nascondano questi oggetti all’apparenza piuttosto semplici.
MET vanta 30 anni di esperienza nel mondo dei caschi ed è in questo campo che è conosciuta, ma con il nome di Bluegrass l’attuale produzione spazia anche alle protezioni per il corpo.
Ad illustraci i vari passaggi che portano alla nascita di un nuovo modello è l’Ing. Matteo Tenni, il “padre” del Roam.
Un nuovo casco nasce come “idea” al computer, ma è comunque fondamentale creare un prototipo da poter toccare con mano. Nella foto qua sopra vediamo il prodotto di una notte di lavoro della stampante 3D. Non si tratta ovviamente di un casco vero e proprio, bensì della realizzazione “solida” di ciò che prima esisteva solamente sotto forma di file.
In fin dei conti il compito primo di un casco è quello di proteggere le nostre teste, quindi eravamo tutti curiosi di visitare la sala delle torture per questi preziosi oggetti, vale a dire quella che ospita la macchina per i crash test.
Il ruolo di aguzzino spetta a Cesare Della Marianna, il quale trascorre le giornate massacrando allegramente caschi.
Sulle vittime designate vengono evidenziati i punti critici che dovranno essere sottoposti al crash test. MET compie dei test interni che vanno oltre quelli richiesti per ottenere le necessarie certificazioni per poter immettere un casco sul mercato. Al di là dei test di laboratorio, per loro è importante poter analizzare i caschi provenienti da incidenti reali.
Ed ecco la macchina per i crash test. Il casco viene infilato sulla testa metallica, la quale scende in caduta libera da una determinata altezza su di un incudine. Degli accelerometri trasmettono ad uno strumento il valore di accelerazione nel tempo, il quale non dovrà mai superare una determinata soglia. La figura tipica che si ottiene è quella che vedete sulla schermata dello strumento, con il limite massimo ammesso (in questo caso 250 G) definito dalla linea rossa.
Nella sequenza qua sopra vedete un casco sottoposto ad un crash test. Il botto è abbastanza impressionante, come si può dedurre dal fatto che Cesare si tappa le orecchie (prima che qualcuno lo chieda: di norma indossa apposite cuffie). Un singolo casco viene sottoposto ad una serie di cadute di questo tipo; nel caso del casco in foto siamo arrivati fino a cinque ed il casco era ancora integro. Tutto questo potrebbe apparire eccessivo, ma la vista di un Parachute rientrato da un crash reale avuto da un ragazzo francese ci ha lasciati abbastanza impressionati…
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Per ogni giornalista è stata messa a disposizione una Sunn Kern LT, il modello da enduro della casa francese, e protezioni e guanti Bluegrass. Ovviamente tutti indossavamo il Roam, seppur non definitivo in alcuni piccoli dettagli.
Ospite d’onore in questa due giorni di riding è stata Isabeau Courdurier, la francesina volante che sta facendo molto bene in EWS.
Ad organizzare il servizio shuttle ed a farci da guida sono invece i ragazzi di 360valtellinabike. Loro anche il compito di organizzare il pernottamento nel rifugio di montagna dove trascorreremo la notte, ma soprattutto di trovare qualche bel sentiero che sia stato risparmiato dalle impreviste nevicate della notte precedente e da quelle in arrivo in serata.
Superando qualche piccola difficoltà, tipo un ingorgo su una stretta stradina di montagna con un camion stracarico di legna, raggiungiamo la partenza del primo trail.
Il fondo fradicio non è di quelli che trasmettono la migliore confidenza, e sulle sezioni di radici in contropendenza il rischio di un collaudo involontario del Roam è abbastanza concreto. Purtroppo anche il migliore dei caschi non protegge le caviglie, ed a farne le spese è il simpatico collega spagnolo che ne rompe una alla prima discesa. Gli toccherà spendere buona parte della giornata fra il disastrato Pronto Soccorso di Morbegno e quello di Sondrio.
Personalmente ho sempre avuto un ottimo feeling con i caschi MET, che trovo estremamente comodi. Il Roam conferma la regola, e dopo un attimo ci si dimentica di averlo in testa. Nonostante alcune regolazioni richiedessero un po’ di attenzione nel manovrarle in quanto pre-serie non definitive, l’aggiustabilità è ottima e la calzata molto fasciante. La ventilazione mi è parsa molto buona, tanto è vero che, a dispetto dell’elevata umidità, gli occhiali non si appannano più di tanto.
Chi è meno tradizionalista ed indossa la maschera apprezza invece la possibilità di sollevarla sul casco durante le frequenti pause a cui eventi di questo genere costringono. La visiera è uno di quei dettagli dei quali ci si dimentica totalmente quando svolge bene il suo lavoro. Se invece è mal dimensionata o non sta al suo posto diventa un discreto fastidio. Quella del Roam ha la giusta lunghezza per non interferire con la vista e mantiene alla perfezione la posizione. Molto comodo non dover agire su registri di blocco, per una reale regolazione “on the fly”.
Comoda anche la possibilità di regolare il tensionamento del cinghietto sotto il mento a casco indossato, possibilità che spesso sfrutto per allentare un filo in salita e serrare maggiormente in discesa.
A fine giornata il Roam è promosso, e se è vero che il buongiorno si vede dal mattino direi che ci siamo.
La nostra avventura non finisce però qui, ed è sotto l’inizio di una bella nevicata che raggiungiamo il Rifugio Bar Bianco in Valgerola, dove trascorreremo la notte. Notare le sdraio pronte per le giornate di sole della stagione estiva alle porte (!)
Da buona atleta professionista Isabeau sembra piuttosto impressionata dalla quantità di alcolici che i local riescono ad ingollare fra una chiacchiera e l’altra.
Dimostrando una positività ed uno spirito fuori dal comune, anche l’amico spagnolo ci ha nel frattempo raggiunti. Sotto una nevicata che non mostra cenni di cedimento ci si avvia finalmente verso le brande. Un inizio di maggio decisamente particolare, dopo un inverno fra i più aridi degli ultimi anni.
Al mattino realizzo che forse l’idea di portare la maschera non sarebbe stata delle più peregrine.
Il programma originale prevedeva di salire ad una quota maggiore, allungando così la già lunga discesa. La foto qua sopra, scattata nei primi metri di discesa sotto il rifugio, credo però parli chiaro sulle possibilità di spingersi più in alto.
Fortunatamente la neve cede velocemente il posto ad un fondo fradicio ma che non ci impedisce di divertirci su un sentiero che alterna un bel flow (cosa non comune da queste parti) a qualche passaggio un po’ più insidioso sulle rocce. Il Roam conferma le ottime impressioni avute il giorno prima: comodo, ben realizzato, stabile e ben areato. Speriamo di poterne avere in futuro uno per un test più approfondito sul lungo termine.
Solitamente una bella discesa termina di fronte ad una fresca birra. In questo caso tutti hanno preferito un caldo cappuccino…
Grazie al team MET per questa divertente due giorni, alle guide di 360valtellinabike ed ai cortesi gestori del Rifugio Bar Bianco!
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