Girando molto spesso da solo, ho tempo di osservare con calma quello che mi accade intorno. Dai panorami ai colori dei boschi passando per un sano approfondimento di antropologia su due ruote, cioé guardare i diversi approcci dei biker. Una delle cose che più mi colpiscono è come diverso sia lo spirito delle persone quando pedalano, a giudicare dai loro sguardi.
Di solito questo è un ciclista vestito in licra. Gira su una bici da cross country rigorosamente senza reggisella telescopico, perché sul reggi ci deve nastrare una bomboletta antiforatura che funziona solo nelle pubblicità che ha visto su una rivista cartacea. Ha un dislivello sella-manubrio che un endurista di solito affronterebbe solo con funivia, e gommine in carta velina. Non per niente lo si incontra quasi solo su asfalto o su sterratoni lisciati. Un ghiaino troppo ruvido, infatti, taglierebbe il copertone.
Il suo sguardo è truce per un semplice motivo: se sorridi vuol dire che non ti stai allenando a sufficienza, cioé che non soffri abbastanza. Spesso ha il polpaccio tatuato, se non entrambi. Assolutamente depilato.
Ci ho impiegato un po’ a capire che non tutti i ciclisti che mi guardano fra le gambe sono omosessuali. La loro attenzione non è per il mio merlo, di solito ben nascosto nei baggie shorts, ma per la marca di bici che sto pedalando. Il nome è leggibile sul tubo obliquo, quindi esattamente in mezzo alle gambe.
Ci rimanevo male, quando salutavo questo tipo di ciclista e lui manco mi degnava di uno sguardo truce, ma poi ho capito e ho cominciato a stuzzicarli procurandomi bici di marchi sconosciuti oppure con loghi quasi invisibili o che richiedevano contorsioni (da parte sua) che lo avrebbero portato a cadere. A quel punto mi fermo e, senza neanche salutarlo o aiutarlo a rimettersi in piedi, gli svelo il nome del marchio. Pur sanguinante, di solito si mette a sorridere. Poi sviene, e a quel punto chiamo l’elicottero.
Occhiali da sole scivolati in basso sul naso. Bocca spalancata alla ricerca di ossigeno. Il biker agonizzante vorrebbe salutarmi, ma proprio non ce la fa. Lo sguardo, che in realtà è sofferente, viene reso antipatico da quell’occhiale a mezzo naso che mi ricorda una mia professoressa del liceo quando mi guardava per dirmi che non avevo capito niente di quello che diceva Cicerone 2000 anni fa.
Non so se compatirlo o trovarlo antipatico, comunque lo saluto, se non altro per fargli vedere che io non agonizzo ancora. Anche perché, di solito, lui è in salita e io in discesa.
Maglietta Troy Lee. Protezioni Poc. Casco Troy Lee A1. Mascherina da sci. Scarpe Fiveten. Bici: Yeti celeste. Impossibile da non riconoscere, il biker fico. È quello che ha capito tutto, che di solito incontri mentre è seduto sulla sua bici, dopo aver abbassato il reggisella telescopico, mentre racconta dove ha trovato la pellicola trasparente per ricoprire l’intera bici e anche se stesso.
Perché, sai, io poi rivendo tutto e non ci smeno un centesimo.
Ti guarda con un misto fra supponenza e compassione, quando ti vede con i pantaloni bucati, le scarpe sbrindellate e il casco senza visiera. Poi però comincia a tentennare, quando si accorge che hai la forcella arancione, tutta graffiata, i cerchi in cartonio, graffiati anche loro, e una bici che non conosce, incrostata di fango. Gli casca il mondo addosso quando lo sorpassi al doppio della sua velocità.
Se le cozze si trovano sugli scogli, il biker-cozza si trova alla stazione a valle delle funivie. Ti si attacca addosso quando non puoi sfuggirgli, cioé durante la coda alla biglietteria. Ti approccia con uno sguardo simpatico, sorridente, per chiederti che giro fai. Tu, ignaro e contento di scambiare due parole, glielo sveli, e lui immancabilmente di dirà che era lo stesso che aveva intenzione di percorrere anche lui.
Da quel momento in poi il biker cozza non si staccherà più.
Durante la salita in funivia capisci perché è in giro da solo: tutti i suoi amici lo hanno scaricato per non dover tornare a casa con il mal di testa, visto che parla ininterrottamente. Sa tutto, e ti racconterà per filo e per segno da dove arriva ogni componente della sua bici, rigorosamente montata da lui. Appena le porte della funivia si aprono, tenti di svicolare, ma lui ti segue. L’unica speranza è che il biker-cozza coincida con il biker-agonizzante. A quel punto la salita sarà la tua alleata, sempre che la funivia non sia arrivata già in cima alla montagna. In questo caso speri che il biker-cozza coincida con il biker-fico, così da seminarlo in discesa dopo due curve.
Maglietta in cotone. Scarpe da ginnastica o sandali. Pedali Shimano da una parte con sgancio rapido, dall’altra con gabbia normale. Bici rigida con colori anni 80. Ruote da 26 pollici. Assolutamente senza casco. Si potrebbe quasi pensare che questo tipo di biker sia semplicemente il principiante al suo primo giro, ma dallo sguardo si capisce che non è così, perché è piuttosto incarognito e ti guarda con aria di sfida che dice:
Povero imbecille vittima del marketing!
Per lui il casco è solo un modo per perdere capelli, e le magliette tecniche una fregatura delle aziende per farti comprare cose inutili. È tutto trafelato, perché deve dimostrare che va più forte di te. Per fortuna che la ciclabile del fondovalle volge al termine, così tu puoi cominciare a salire, mentre lui torna a casa.
Questi siamo noi. Ognuno di noi si crede “normale”: simpatico, intelligente, in forma, bello, bono e con la bici migliore al mondo. Bisogna però ammettere che è facile diventare un Truce, un Fico, un Ossessionato o un Agonizzante. Ci vuole un po’ più di impegno per trasformarsi in una Cozza, mentre il Ribelle è chiaramente l’utente che ci segue dal lontano 2002 e che per protesta contro il Boost 148 è diventato una specie di Robinson Crusoe dei mountain biker. Il suo stadio ultimo di pazzia l’aveva portato ad essere un Ossessionato, ma dopo aver incontrato uno stronzo che lo ha fatto cadere dalla bici perché girava su un marchio con il nome eloicoidale rispetto al tubo obliquo, ha deciso di farla finita.
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