Poiché sono a Whistler vorrei scrivervi qualche informazione su un fondamentale che qui conoscono molto bene e che tutti prima o poi si trovano ad affrontare, anzi spesso è uno dei più ostici da apprendere. I salti.
Whistler è infatti la patria dei salti… L’ultimo video che ho postato con Nick Pescetto lo dimostra, la famosa A-line ne conta più di 50 (una sola pista…), inoltre da Dirter oltre che Freerider è un argomento davvero importante per me e che sento mio.
Oggi vediamo la tecnica che dobbiamo utilizzare in presenza di salti con rampa più o meno accentuata, ma che comunque abbia una certa “curva” e che cioè spari in alto. Non si parla insomma di drop per intenderci, quelli li vedremo poi.
Per prima cosa andiamo a conoscere i salti e vediamo come con una veloce occhiata possiamo capire subito quale sarà il comportamento della nostra bici sulla rampa.
Il “kick” nel gergo internazionale identifica la rampa da cui si salta, sia che questa sia di legno, ferro, terra, altri materiali vari ed eventuali. Il kick è identificato da due misure fondamentali: altezza e “curva”. Con altezza di intende l’altezza (grazie direte voi…), mentre con la Curva o raggio di curvatura identifichiamo appunto quella misura che troviamo in questo modo. In due punti qualunque di un kick andiamo a tracciare le perpendicolari alle tangenti (le diametrali appunto), queste si incontreranno in un determinato punto che è il centro della circonferenza su cui sta la zona del kick che percorriamo con le ruote. Il raggio di tale circonferenza è proprio la curva.
Ok detto così sembra una cosa stramba e pare che per poter affrontare un salto ci si debba portare dietro metro, righello, carta, penna e ci si debba mettere a calcolare traiettorie e velocità.
In realtà ciò che voglio trasmettervi è che più importante di molti altri parametri del salto come lunghezza, altezza, buco o non buco ecc, c’è proprio questo valore, il raggio di curvatura.
Un kick “morbido”, cioè con raggio di curvatura ampio, potrà essere affrontato a velocità maggiore di un salto con una transizione (sì, è sempre la stessa cosa.. è per abituarvi ad un po’ di termini che potrete sentire in giro) più “corta”.
Se noi infatti andiamo ad affrontare un salto con un raggio di curvatura piccolo ad una velocità troppo elevata, il risultato sarà che la nostra bici cercherà di scalciarci in avanti. Questo perchè la spinta che riceve verso l’alto è troppo elevata e viene elargita in troppo poco tempo. La ruota legge quindi il nostro kick come un ostacolo, e non come una rampa. Per questo motivo tende a frenarci. Il problema è che se abbiamo già la ruota anteriore per aria, e troviamo un ostacolo che ci blocca la ruota posteriore non possiamo fare altro che ribaltarci in avanti.
Queste parole dovrebbero già darvi un’idea sul fatto che per fare salti, più o meno grossi, una componente fondamentale su cui dobbiamo operare con estrema attenzione sarà la velocità di approccio al salto. Inoltre questo vi dice anche come riconoscere un salto fatto bene da un salto fatto male.
Ogni rampa ha infatti una velocità massima di ingresso prima di iniziare a scalciare. Di conseguenza ha anche una portata massima (es 4 metri).
Se noi andiamo ad usare/costruire una rampa che va bene per salti da 4 metri, e decidiamo di mettere l’atterraggio a 8 metri, creiamo un pericolo per noi e per gli altri, perchè per chiudere il salto dovremo forzare la velocità di ingresso e 99% ci troveremo a dover contrastare un bell’impuntone.
Ho voluto fare questa precisazione perchè spesso ho visto in giro salti con misure poco ortodosse, e ancor più spesso ho notato (soprattutto nei campetti privati) come all’aumentare della bravura dei rider aumentassero le misure dei salti in lunghezza… mantenendo però le rampe dei salti precedenti (con misure molto inferiori), innescando quindi nei rider la necessità di trovare nuove tecniche per “assorbire” i salti per non farsi disarcionare e per chiuderli.
Ok mi son dilungato fin troppo sulla teoria delle rampe… vediamo ora come affrontare un salto sfruttandolo per andare in alto e provare quella fantastica emozione che è stare in aria.
Decollo
I concetti base non si differenziano molto da quelli espressi per il bunny hop. La differenza sta nel fatto che qui abbiamo una rampa che ci aiuta nel movimento, permettendoci quindi altre altezze rispetto ai basici hop in piano. Inoltre vediamo dalla sequenza come sia molto meno esasperato il movimento con cui si alza l’anteriore. Non ci servirà infatti guadagnare altezza, sarà la rampa stessa a spingerci verso l’alto. Sarà fondamentale in questa fase spingere sia con le gambe che con le braccia. La carenza di una parte o dell’altra porterà uno squilibrio e un conseguente sbilanciamento in avanti (troppa poca spinta con le braccia) o in dietro (troppa poca spinta con le gambe).
Nel mentre è fondamentale che il nostro corpo, o meglio il tronco, rimanga in una posizione/inclinazione costante. Questo eviterà spostamenti di carico che potrebbero variare il nostro assetto. Per questo motivo, visto che la bici cercherà di venire contro di voi e “impennarsi” per via della rampa sarà fondamentale assecondare questo movimento per mantenere l’assetto giusto. Vi sembrerà perciò di avanzare. Considerate che se voi state troppo indietro sulla rampa, se non assecondate cioè la spinta che arriva dalla bici, ci sarà un effetto fionda che tende a farvi impuntare. E più state indietro, e più questo effetto è presente.
Mentre siete sulla rampa (anche prima se il salto lo permette) lo sguardo dovrà andare a ricercare il punto in cui volete atterrare, quindi come dicono gli inglesi “spot the landing”.
La sequenza di movimenti da seguire sulla rampa è quindi:
approccio al salto con gambe e braccia flesse pronte a stendersi per sfruttare la rampa e spingerci più in alto
distensione di braccia e gambe (in sequenza)
estensione massima delle braccia quando la ruota anteriore sta uscendo dalla rampa
estensione massima delle gambe quando la ruota posteriore sta uscendo
tronco che mantiene sempre la stessa inclinazione e sguardo lontano a cercare l’atterraggio.
Volo
Ora che le ruote non toccano più terra bisogna sperare di aver fatto tutto bene in quanto a distribuzione dei pesi… in aria infatti non si può pretendere di variare tanto la nostra traiettoria e soprattutto il nostro assetto. Se ci troviamo in aria ad essere centrali, ad assumere una posizione identica a quella che abbiamo mentre andiamo su un terreno liscio, quella che definivamo nei precedenti articoli come posizione “base”, allora sapremo di aver fatto un buon lavoro.
Se invece ci troviamo storti lateralmente mi dispiace, ma non c’è tanto da fare. Possiamo provare a inclinare la bici per raddrizzarci e spostare leggermente le spalle verso la parte opposta rispetto a quella in cui ci sentiamo inclinati. Ma non sempre questo stratagemma può colmare le lacune di uno stacco sbagliato.
Più gestibile (fino ad un certo punto) è l’equilibrio avanti-dietro. Se sentiamo che la nostra bici sta scendendo di punta possiamo provare ad arretrare il più possibile per evitare questo movimento. Arretrando però, è ovvio che la punta della nostra bici tenderà a scendere ulteriormente, la bicicletta infatti si muove in opposizione a quello che è il movimento del corpo. Dovremo quindi ricordarci in fase di atterraggio di tornare alla posizione normale, e non di restare arretrati.
In caso invece di avantreno alto, potremo portare leggermente avanti le spalle (che come detto provocherà l’alzarsi ulteriore dell’avantreno sul momento, ma un assetto migliore in vista dell’atterraggio), anche oltre il manubrio. Anche qui ricordiamoci di tornare in posizione prima dell’atterraggio.
Atterraggio
Per prima cosa se qualcuno vi ha mai detto che bisogna atterrare con la ruota posteriore: dimenticatelo!!! Dimenticate sia l’insegnamento, sia l’amico che ve l’ha detto e cancellate il suo nome dalla rubrica!!
A parte gli scherzi. Ho letto anche un interessante articolo nel tech corner sulle sollecitazioni presenti sui telai in fase di atterraggio, e anche da lì si evinceva come il miglior atterraggio fosse quello con la ruota anteriore.
In freeride e discesa è fondamentale atterrare prima con la ruota anteriore e il corpo composto. In questo modo infatti non appena avremo assorbito l’impatto (che se il salto è fatto bene sarà ben poco) saremo subito reattivi per impostare traiettorie, frenare e guidare la nostra bici. In caso di atterraggio con il posteriore invece avremo degli spostamenti di carico che allungheranno, dal punto di vista temporale, la fase di atterraggio, e cioè il raggiungimento della nostra posizione “base”. Ad alta velocità questo significa metri di percorso, metri in cui non possiamo impostare una curva, non possiamo frenare, non possiamo fare niente se non ricercare la posizione.
Da Dirter per me l’atterraggio perfetto è quello che avviene con entrambe le ruote nello stesso punto del terreno. Cioè, la ruota davanti atterra per prima e tocca il terreno nel punto X, la ruota dietro di conseguenza atterrerà nello stesso punto X mentre l’anteriore scorre via e vi fa guadagnare velocità. In dirt, o su tutte le line ritmiche o in cui bisogna mantenere la velocità questo concetto è di fondamentale importanza. Se si atterra bene da un salto, si guadagna velocità e si potrà fare il salto successivo, se si atterra male ci si ferma.
Atterrare con la ruota anteriore per prima è anche meno rischioso se ben lo analizziamo.
Partiamo dal presupposto che abbiamo superato il salto senza difficoltà con la ruota anteriore (altrimenti se si arriva corti su un doppio anche con l’ant. non c’è posizione valida, suota anteriore bassa, ruota anteriore alta; in ogni caso si cade e probabilmente si prende anche una bella botta). Se io ipotizzo di arrivare corto con il posteriore, i casi sono due: ruota anteriore alta (atterraggio prima col posteriore) e ruota anteriore bassa (atterro prima con l’anteriore).
Nel primo caso la prima ruota a toccare terra (e prima del landing) sarà la posteriore. Il carico dato dalla velocità e dalla caduta del mio salto si proietterà quindi in avanti facendo perno proprio sulla ruota posteriore, e generando una coppia che cerca di ribaltarmi in avanti. Per questo motivo quando, in seguito, l’anteriore toccherà terra sul landing, la coppia precedentemente generata, e la spinta data dalla ruota posteriore che cerca di risalire la parete dell’atterraggio su cui è arrivata, genereranno due spinte sul sistema bici-rider, entrambe orientate a ribaltarmi in avanti. Per questo motivo in questo caso il ribaltamento è molto probabile.
Nel caso in cui si arrivi invece con la ruota anteriore per prima sul landing, e col posteriore si arrivi “corti”, avremo una coppia che tende al ribaltamento che è data dalla ruota posteriore che cerca di risalire la parte verticale del landing (e in parte una spinta per l’urto elastico che abbiamo inflitto alla bici), che sarà però annullata dalla coppia opposta generata intorno alla ruota anteriore che ha toccato terra e che farà da perno. Atterrando in questo modo quindi sentirete una “botta” più forte sotto le gambe… però almeno non cappotterete in avanti.
Ingrediente segreto, prima pensare, poi lasciar fare al corpo.
Sembrerà una cavolata ma penso che l’aspetto psicologico sia di fondamentale importanza nei salti. La paura di cadere, la tensione, la confusione nelle tecniche da adottare spesso porta a irrigidirsi e a non affrontare al meglio il salto prescelto.
Per questo motivo io consiglio sempre di seguire una prassi per affrontare questo ostacolo. Prima di affrontare un salto penso quali siano i movimenti da fare, le sensazioni che proverò in aria, la conclusione del salto. Quando sono riuscito a visualizzare nella mia mente tutto questo parto, e smetto di ragionare, lascio agire l’istinto che seguirà le indicazioni date dal ragionamento e dal pensiero appena fatto.
Se infatti noi cerchiamo di dirci “ok arretra, ora spingi con le braccia, ora con le gambe, ora mettiti in posizione ecc ecc” mentre siamo sul salto non solo saremo rigidi e poco efficienti, ma non riusciremo sicuramente a stare al passo con i movimenti da fare, il nostro pensiero andrà troppo lento rispetto al nostro corpo.
Questo è un approccio che richiede molto tempo e molta pratica, non è una cosa istantanea. Però consiglio a tutti di provare ad applicarsi perchè cambia davvero la vita.
Jack
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