[Rettifica del 31.12.2014, ore 13:45] Il CAI di Auronzo e Mountain Wilderness prendono posizione contro le Fat Bike. In un articolo del Corriere delle Alpi Massimo Casagrande, del CAI di Auronzo, dice che “la montagna non è un Luna Park” e rincara la dose affermando che “le conseguenze per la fauna, dal passaggio in ambienti protetti, risulterebbero deleterie“, se le bici con le ruote grosse si avventurassero nella natura invernale.
Le Fat Bike darebbero fastidio sulle piste da fondo, dove queste verrebbero tracciate dalle ruote grasse, e anche in fuoripista per il disturbo arrecato alla natura.
Peccato che Casagrande si dimentichi che in fuoripista ci si vada da sempre con sci e snowboard, e che le zone protette sono vietate, d’inverno, a chiunque. Inoltre il Luna Park è stato messo in piedi decenni orsono grazie ad impianti di risalita, rifugi che portano i clienti impellicciati con i gatti delle nevi fuori dagli orari dell’apertura delle piste e, sarebbe stupido dimenticarsene, dalle orde di turisti che ogni estate invadono proprio le sue Tre Cime di Lavaredo, inquinando come in centro città a Milano, ma pagando un salatissimo pedaggio che, purtroppo, non si mangia l’anidride carbonica di auto e autobus che arrivano al rifugio Auronzo.
Forse basterebbe ricordare che le biciclette non hanno bisogno né di impianti di risalita né di benzina. O forse è meglio non rilasciare interviste se non si sa di cosa si parla.
Livigno mostra, ancora una volta, che le bici sono una risorsa e non una minaccia.
La rettifica delle 13:32 riguarda il fatto che il CAI ha rilasciato alle ore 13:00 del 31.12.2014, questo post su FB:
Da chiedersi chi lo legga, visto che hanno solo 1300 fans.
La rettifica delle 13:45 riguarda invece il fatto che il CAI di Auronzo ha negato quanto detto nell’articolo, stando a quanto pubblicato sulla paginetta FB della sezione stessa (449 fans):
Più che una rettifica sembra un dietro front, visto le critiche piovute addosso a Casagrande. Anche perché, se si volesse andare contro il giornale, si ha tutto il diritto di vedere pubblicato un’articolo che chiarifichi la falsità dell’intervista, e non si posterebbe a casaccio su un social network.
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