Un argomento che si ripresenta cicli-camente nel forum è quello riguardante l’inadeguatezza del deragliatore posteriore (o “cambio” volgarmente detto) e le alternative che la moderna tecnologia promette come le trasmissioni epicicloidali o ad ingranaggi.
Il punto di partenza di queste discussioni è spesso un presupposto erroneo, ovvero che l’attuale cambio a parallelogramma sia “vecchio” o “obsoleto”. Cosa non vera, visto che nell’evoluzione della bicicletta i sistemi a ingranaggi interni al mozzo o quelli epicicloidali o persino le trasmissioni cardaniche sono venute cronologicamente prima del cambio a parallelogramma che viene utilizzato oggi.
Ovviamente non si possono paragonare le trasmissioni ad ingranaggi o epicicloidali moderne con quelle di 80 anni fa, sia come pesi ed efficienza, sia per quanto riguarda la manutenzione e l’affidabilità.
I vantaggi delle trasmissioni “alternative” sono noti: minor manutenzione, impossibilità di rotture di forcellini e cambio stesso, più qualche vantaggio “accessorio” come la cambiata da fermo.
Gli svantaggi al contempo sono: maggiori costi di acquisto, minor efficienza meccanica (per quanto piccola) e maggior peso.
La maggior parte dei consumatori non lamenta rotture di forcellini e cambi cosi’ frequenti tuttavia. E cmq il costo di un cambio e/o di un forcellino di, diciamo, media gamma fa pendere la bilancia economica a favore del vituperato cambio a parallelogramma.
Tant’è che un cambio ad ingranaggi come il Rohloff è sul mercato da 15 anni giusti giusti e resta un oggetto di nicchia. L’epicicloidale Hammerschmidt di Sram, seppur giovane, non sembra andare oltre qualche montaggio nel settore Am, mentre i vari tentativi di Suntour o Pinion & c. restano belle promesse da anni.
Il tutto per quanto riguarda il settore che va dall’all-mountain alla downhill perdipiù, ma che al momento sembra improponibile per la maggioritaria fetta del mercato rappresentata dal cross-country.
A questo punto si impone la domanda: “a Ser Pé, hai finito di triturarci i maroni con discorsi già sentiti? Hai altro da dirci?”
La risposta è che si, e secondo me c’è una soluzione che potrebbe venire incontro alle esigenze di chi vuole un sistema, efficiente, economico e più sicuro per quanto riguarda la protezione dagli urti.
Questa soluzione “futuristica” pero’ viene dal passato, quindi è solo un’ipotesi che andrebbe ovviamente aggiornata con le moderne tecnologie…ok, ok non sto già mettendo le mani avanti (un po’ si…)
La soluzione/ipotesi si chiama Nivex.
Nel 1938, tre ingegneri: Pierre Gardini (italiano), Geroge Trottier e René Déchanet (francesi) brevettarono, realizzarono e commercializzarono questo cambio che aveva le seguenti caratteristiche:
-costruzione a parallelogramma
-funzionamento desmodromico
-tensione catena costante su tutti i rapporti
-posizionamento sotto e parallelo il fodero basso dx del carro
-possibilità di togliere la ruota posteriore senza toccare la catena
-basso peso
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Oltre al posizionamento protetto che impedisce contatti con sporgenze, chiave di questo meccanismo è l’assenza della molla di ritorno e la presenza di una molla che tensiona la catena incrementandone o diminuendone il rapporto sopra la gabbia del cambio all’avanzare o retrocedere di quest’ultima. Questa mantiene quindi la tensione della catena costante su tutti i rapporti impedendo che questa sbatta sul fodero e fungendo da guidacatena. Senza contare che questo permette di azionarlo sempre con la stessa forza per il tiro del cavo.
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Altra soluzione intelligente di questo cambio è che sui telai adatti ad ospitarlo veniva saldato sul forcellino un anello semicircolare: il cambio era tarato per poter far andare la catena su questo oltre il pignone più piccolo (11) e li fermarsi. Una volta fatto questo, bastava sganciare la ruota e questa “cadeva” via lasciando la catena agganciata al telaio ed in tensione: niente più mani zozze e/o catena sporca di terra, foglie, etc.
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Cuore del sistema il funzionamento desmodromico attuato da due cavi: uno per far salire di rapporto ed uno per scendere:
-tocco più leggero nella cambiata (niente molle da contrastare)
-cambiata più immediata
-stessa forza richiesta nei due sensi
A questo punto direte voi: “e perchè sta meraviglia è finita nel dimenticatoio?”
La risposta è che non lo so. Forse poco marketing 🙂
In ogni caso l’idea non è rimasta priva di seguito. Nel corso degli anni si sono visti altri cambi posteriori attuati con due cavi e/o senza molla di ritorno.
In particolare lo Shimano Lark-W e successori (1967-1970), caduti presto nell’oblio
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(foto da Disreali gears)
e sopratutto lo White Industries LMDS (1997), nato nel pieno dell’era CNC della mountainbike, creato da uno dei più grandi esperti di cambi al mondo, Frank Berto, e considerato da molti un cambio fantastico nel funzionamento, non fosse per il fatto che era costruito poco razionalmente e necessitava di diversi attrezzi anche solo per regolarlo.
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Questi due cambi pero’ tralasciavano alcune delle caratteristiche del Nivex , come il posizionamento (usato pero’ da Suntour con il S1) ed il falso pignone “di riposo”.
L’idea quindi è semplice: basterebbe riprendere alcune caratteristiche di questi modelli del passato, aggiornarli un po’e rivederne i difetti e forse il “cambio del futuro” potrebbe essere una cosa più semplice ed economica che non altre proposte più complicate e costose. 🙂