Il profumo

0.7° segna il Garmin. Tardo imbrunire, le luci delle auto che transitano sulla strada del lago si riflettono sull’asfalto bagnato e mi abbagliano non una ma due volte. Il vento viene da nord e mi butta in faccia le gocce di questa pioggia gelata. Intravedo le persone nelle loro auto, al caldo, al riparo dagli elementi. In un primo momento sono invidioso, mi domando cosa staranno pensando di quel pazzo in bicicletta durante questa giornataccia del 17 gennaio 2015. Poi mi accorgo che la pioggia ha reso l’aria pulitissima e che il mio olfatto sente distintamente il puzzo degli scarichi di ogni auto, cosa che normalmente non mi capita.

Sono partito da casa un’ora e mezza fa, alle 15:45. Le nuvole nere avevano anticipato l’imbrunire, così ho deciso di montare le nuove luci che Specialized Italia mi ha dato da provare: le Flux. In un primo momento volevo prendere solo quella posteriore, per farmi vedere sulla strada del rientro dalle macchine, ma poi ho pensato che la luce anteriore mi sarebbe venuta comoda nel bosco, dove viene buio prima. E così è stato.

Piovigginava quando ero partito, ma mi ero equipaggiato al meglio con le scarpe Shimano invernali, un bibshort lungo della Assos, a cui avevo messo sopra dei pantaloni impermeabili leggerissimi della Mavic, gli Stratos H2o, una maglia a maniche lunghe reduce di un press camp con Cannondale e uno smanicato sempre di Cannondale. In tasca un altro gadget supercompatto, la giacca Endura MTR Emergency Shell.

Solito giro di 90 minuti che percorre la penisola di Morcote, sul lago di Lugano, pensavo fra me e me mentre le gambe si riscaldavano sulla prima rampa. Giunto al lungo singletrack giochicchiavo con le luci e il loro fighissimo comando remoto, quando noto una luce provenire da dietro di me. Impossibile, mi dico, nessuno è in giro a quest’ora con questo meteo. Infatti. Non era la luce di un biker ma quella di un lampo, a cui segue un bel tuono e dopo pochi secondi una grandinata innocua ma decisamente umida. Mi metto su la giacca d’emergenza, anche se so che mi farà sudare, ma da qui in poi è quasi tutta discesa. E si aprono le cataratte del cielo. Altro lampo, altro tuono. Il mio naso sente che c’è qualcosa di bruciato. Non sono i freni, i nuovissimi Shimano XTR 2015, che fischiano allegramente nella pioggia ma fanno il loro lavoro come si deve.

Non ci sono case nelle vicinanze, quindi non può essere un camino. Mi viene in mente il libro di Kammerlander dove il suo compagno Mutschlechner viene colpito da un fulmine di un temporale a 6.000 metri di quota sul Manaslu causato dagli incendi dei pozzi di petrolio in Kuwait e mi cago sotto. Però sono nel bosco e non sotto un albero isolato, quindi la probabilità di essere colpiti è bassissima, tento di convincermi. Poi mi vengono in mente diversi post nel forum dove qualcuno diceva che le bici in carbonio attirano i fulmini. Rido tra me e me, e noto solo di striscio che mi trovo in una parte del sentiero dove gli alberi sono radi. E la pioggia viene giù sempre più forte. L’odore però è sparito. Sarà forse perché vado giù a tutta e ho lasciato il temporale dietro di me? La luce fa bene il suo lavoro, anche se io qua conosco ogni pietra. Non dare un colpo di pedale perché qua c’è una roccia sporgente, occhio a non andare lungo in quella curva perché ruzzoli giù nel bosco. Passo da un’immagine all’altra del sentiero, fino ad arrivare alle prime case. La salvezza.

180°, pedalo verso nord e devo attraversare tutto il temporale per arrivare a casa. La strada è insolitamente trafficata, probabilmente di gente che é andata in Italia a sfruttare il cambio osceno fra Franco svizzero ed Euro. La puzza degli scarichi mi colpisce, non l’avevo mai notata così chiaramente. E solo adesso mi rendo conto che il freddo e l’acqua che entra in ogni dove mi ricordano perché amo la mountain bike.

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