Il silenzio del Superenduro

È da mesi che il sito del circuito nazionale Superenduro è fermo: dal 26 ottobre, quando fu pubblicato il report dell’ultima gara del 2014 a Santa Margherita Ligure, non viene più aggiornato. Solitamente la fine dell’anno coincide con la pubblicazione del calendario dell’anno successivo, ma per ora l’unica cosa che si nota è un assordante e preoccupante silenzio.

Voci e indiscrezioni circolano nell’ambiente enduro da mesi, in realtà nessuno sa niente, se non i due diretti interessati: Enrico Guala e Franco Monchiero. Due cose sono certe:

1) a breve uscirà un comunicato.

2) La scena italiana ha bisogno del Superenduro.

Sul punto 1 c’è poco da dire, anche se c’è il sospetto che il comunicato non sarà il calendario 2015.

Sul punto 2 invece non c’è dubbio: la perdita del circuito Superenduro sarebbe un pessimo affare. Proprio nel momento in cui l’enduro si è affermato come disciplina internazionale grazie alle Enduro World Series (create con il contributo dello stesso Guala), non avere un circuito nazionale significherebbe privare gli atleti italiani di una “scuola” più necessaria che mai per poter essere competitivi anche fuori dai confini.

Con la parola “privare” non si vuole accusare il Superenduro di voler fare un dispetto, al contrario: si vuole sottolineare come il SE sia l’unica soluzione per alzare il livello competitivo in Italia. I tanti circuiti regionali o locali nati recentemente non riuscirebbero colmare la sua mancanza, perché troppo frammentati e con formule di gara non sufficientemente dure per offrire un livello che si avvicini a quello delle EWS.

Certo, la formula delle due giornate di gara non piace a tutti, e non piace soprattutto agli amatori, costretti a spendere una discreta cifra in vitto e alloggio, ma é l’unica che si rifà al modello EWS (anche lì le gare sono distribuite su due giorni) e i nostri top rider hanno bisogno di correre in quelle condizioni per migliorare. 6 prove speciali richiedono una strategia di gara che non sia solo “sempre giù a tutta”. Richiedono un’ottima forma fisica, del materiale perfetto, e una squadra alla spalle che assicuri loro assistenza tecnica. Insomma, richiedono professionalità.

È proprio questa professionalità il risultato di tanti anni di Superenduro, e non solo da parte dei team. L’organizzazione ha raggiunto un livello elevato, basti ricordare la catastrofale esperienza degli Italiani 2014 a Rocca di Papa, non organizzati dal SE, per notare la differenza, e per capire come non si possa improvvisare. Questo l’hanno capito anche le squadre, che mai come in questo periodo si stanno “armando”, con un vero e proprio “enduromercato”, dove i top rider sono ricercati per portare risultati, per non parlare dei tanti sponsor che si sono affacciati nel mondo enduro ultimamente.

Nel 2014 il Superenduro ha cercato di accontentare gli amatori con la formula Experience: gare di un giorno solo, con prove più facili rispetto alle Pro. Penso che non sia un anatema definirla un flop. A parte l’ultima tappa, il resto è passato in sordina, sia dal punto di vista del numero dei partecipanti che da quello mediale. Subissati dai comunicati dei circuiti regionali, locali e parrocchiali, i media hanno in gran parte ignorato le prove Experience (noi compresi), anche perché l’agguerrita macchina PR del Superenduro non era presente a queste gare e quindi mancava il materiale da pubblicare, come foto e video. Ma soprattutto mancavano i top rider su cui scrivere qualcosa che potesse interessare ai lettori. Proprio come i circuiti regionali: in gran parte passati inosservati, con numeri di partenti per lo più molto bassi.

La frammentazione delle gare enduro ha minato la scena italiana, togliendo risorse al circuito Superenduro. E qui parliamo del vile denaro, necessario per poter investire in un prodotto come un circuito di gare organizzato in modo professionale. Fa ridere quando si legge di “passione”. Se si lavora seriamente, la passione deve portare alla professionalità, altrimenti si finisce come Rocca di Papa. E per lavorare bene, c’è bisogno di soldi. Qualcuno si scandalizza che alle località vengano chiesti dei soldi che non siano la mancia della domenica, ma come si fa a credere che una località turistica come Madesimo (esempio) sopravviva alla concorrenza internazionale dello sci (da cui trae i ricavi maggiori durante l’anno) non investendo in eventi e promozione? Il Superenduro ha reso famosi dei posti come Sestri Levante, che ora vantano visite da parte dei biker italiani e stranieri durante tutto l’anno. Segno che l’investimento ha fruttato.

Altrettanto non si può dire per i circuiti regionali: faranno contenti una parte degli enduristi, che si trovano le gare sotto casa, ma sul medio/lungo periodo non saranno sostenibili per mancanza di sponsor ed introiti per le località.

Per concludere, il Superenduro ha due caratteristiche che ne hanno decretato il successo, e ciascuna di queste porta ad una persona:

1) la cura nella scelta dei percorsi, grazie a Franco Monchiero.

2) La cura nella comunicazione, grazie ad Enrico Guala.

Due ingredienti fondamentali perché il Superenduro possa andare avanti. Se ne togliete uno, il piatto finale non avrà lo stesso sapore e, probabilmente, lo stesso successo.

Noi di MTB MAG ci auguriamo che il Superenduro possa andare avanti anche nel 2015.

>>> Il comunicato ufficiale del Superenduro 2015

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