Mi sembra di essere stato seduto per 20 minuti sopra un martello pneumatico. Una delle mia spalle si sta sbriciolando, a furia di urtare con la carrozzeria ogni volta che la jeep prende una pietra. Mi preparo in anticipo agli impatti, ma serve a poco.
Uscirò di qui contuso ma molto gasato.
Siamo in 9 a bordo di questa jeep (un fuoristrada Mahindra a sei posti), assieme a sei bici. Dobbiamo guadagnarcela la nostra destinazione, una montagna di nome Meesapulimala, o “i baffi del leopardo”, il secondo picco più alto nell’India a sud dell’Himalaya. Il passo di questo fuoristrada non è poi molto più svelto della pedalata, ma proprio non potevo rifiutare un passaggio per questa salita di 1200 metri che ci porterà dove in pochissimi sono passati con una mountain bike. La discesa da questa montagna alta 2640m conclude una settimana in MTB attraverso lo stato di Kerala, nell’India meridionale.
Il veicolo lascia il suo carico di uomini e bici ad una remota stazione dei ranger. Ci mancano 300 metri di salita prima di arrivare alla cima del Meesapulimala. Vediamo dei rari stambecchi Nilgiri scappare mentre ci facciamo strada sul versante aperto ed erboso. Più in basso, la densa foresta del parco nazionale Eravikulum, è regno della nemesi di questo stambecco, la tigre del Bengala. La tigre del Bengala divide la foresta con bisonti, elefanti, orsi giocolieri, leopardi, lupi e cobra: un’interminabile lista di animali selvatici che proprio non vorremmo incrociare sul sentiero.
Mentre porto la bici per gli ultimi metri di salita, cerco di levarmi dalla testa questi pensieri, ma è la vista della discesa che mi distrae. Il versante opposto della montagna dalle curve così morbide assomiglia ad una scogliera, il fondovalle si perde nella foschia diverse centinaia di metri sotto di noi. Il nostro sentiero fa da contorno a questo dirupo – e improvvisamente incontrare una tigre, o scoiattolo gigante dello Sri Lanka che sia, è meno preoccupante.
Andare in mountainbike nell’India meridionale non è banale, ma la ricompensa è grande. Le salite sono duri esercizi di stoicismo e le discese sono tutt’altra cosa rispetto ai lisci sentieri da bikepark con cui si identifica oggi la mountainbike. Aggiungiamo il clima caldo e umido di maggio, il traffico impenetrabile delle città indiane ed ecco che un viaggio in MTB diventa un’avventura anche nelle cose più semplici. La mia guida qui è Mike Mclean, che gestisce l’agenzia Mountain Bike Kerala. Insieme a me ci sono anche i biker Scott Contessa Karen Eller e Ricky Westphal. Per una settimana gireremo tra le foreste ed attraverseremo piantagioni di tè, tutto su sentieri che corrono da secoli tra queste colline.
Usciamo da Kuttikanam e ci tuffiamo in una coltivazione di tè, su un sentiero costruito proprio dai raccoglitori di tè. Il tè è la coltivazione principale qui, da quanto è stato introdotto dagli inglesi per sostituire un mercato del caffè al collasso. Cespugli verde smeraldo rivestono le ripide colline intorno a noi. Raccoglitori carichi di tè ci guardano passare lungo le colline, quando i nostri manubri scuotono i rami delle piante o quando le ruote passano sui rockgarden.
La storia coloniale del Paese si rivela ogni manciata di chilometri. Una pensione con la scritta “Homely cooking”, un camposanto che dichiara di essere stato un cimitero inglese “dal 1869”.
Andiamo veloci, sudiamo. Si susseguono corte salite e discese flow su sentieri sinuosi, fino a che Mike si ferma al primo tea shop dopo neanche un’ora. Questi negozi sono una parte fondamentale delle sue pedalate, e lui li fiuta da chilometri.
Queste pause servono un po’ a rinfrescarci, un po’ a farci incontrare la cultura locale: vediamo preparare le parottas (una specie di pane tipico del posto) in cucina, prima di esserci servite e mandate giù con diverse tazze di tè con latte.
Verso metà mattina ci fermiamo per una seconda pausa in un negozio di tè e poi di nuovo per pranzo, con dosa e samosa piccanti, il tutto sempre accompagnato da altro tè. Avendo vissuto in India per 15 anni, Mike parla Hindi, anche se con un leggero accento di Manchester, e molti dei suoi tratti britannici si stanno trasformando in caratteri tipicamente indiani.
Ad esempio non usa le posate. “Per me, se mangi un uovo fritto con le mani sei un eroe”, ride mentre raccoglie un po’ di tuorlo con della parotta e lo mette in bocca con le dita. Il primo viaggio di Mike in India è stata una traversata del Kerala in bici. Anche se ho visto brillargli gli occhi sull’Himalaya, quando assieme a lui ho fatto un viaggio sul ghiacciaio Pindari cinque anni fa, il Kerala ha un posto particolare nel suo cuore. Ormai ne conosce tutti i sentieri. E proprio quel pomeriggio, quando nuvoloni carichi di pioggia cominciano a coprire il cielo, questa sua conoscenza dei sentieri torna utilissima e ci permette di tornare al riparo su comode scorciatoie. Di solito marzo non è un pese piovoso, ma questo temporale improvviso ci mette le ali ai piedi. Fradici come pulcini, ci ripariamo in un altro tea shop aspettando che smetta di piovere.
“Ho i piedi bianchi come stracci” dice Karen due giorni dopo, mentre ci sediamo per colazione. Sono giorni ormai che le nostre scarpe non si asciugano, a causa dei continui acquazzoni pomeridiani. Abbiamo i piedi bianchi e raggrinziti. Le piogge del pomeriggio rendono viscidi i sentieri ma d’altro canto ripuliscono l’aria dall’umidità, e a 10 gradi dall’equatore anche la pioggia è calda, proprio come piace alle piante di tè.
Pedaliamo per 30 km di curve attraverso piantagioni di cardamomo e di pepe, senza sentire i 700m di dislivello. A fine giro, le birre sono una goduria, gruppi di scimmie ci guardano mentre beviamo. E di come le birre scorrevano bene mi torna alla mente alle 5 del mattino quando l’adhan, la chiamata musulmana alla preghiera, risuona tra e vie di Kumily.
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Kerala è un misto di religione indù, cristiana e musulmana. Dal momento che giocava un ruolo importante nel mercato delle spezie, commercianti arabi ci sono gradualmente insediati. I negozi di spezie danno vita alle vie di Kumily, assieme alle agenzie che offrono safari nel vicino parco nazionale di Periyar.
Nei nostri sette giorni qui, faremo 185 km e oltre 7000 metri di discesa. Veramente niente male, soprattutto se si considera che tutti questi chilometri sono su vecchi sentieri coloniali pieni di sorprese e di sfide.
Con 3000 metri di dislivello accumulati alla fine del quarto giorno, proprio non mi dispiace terminare la settimana con un paio di risalite furgonate.
La jeep ci lascia ad un altro tea shop, a 1900 metri di quota, dove ci fermiamo a fare colazionne sopra un mare di nuvole. Un altro viaggio in fuoristrada ci porta lungo una strada che solo 40 anni fa era percorsa da buoi carichi di tè e che ci porta all’inizio di un sentiero circondato da spettacolari picchi che sembrano corna.
“Ogni anno muoiono circa 2.000 persone a causa di morsi di serpenti velenosi, in India”, racconta Mike quando gli chiedo dei cobra durante un nostro giro. “Ma succede soprattutto nei campi di riso, ed ogni piantagione di té ha il suo siero anti-veleno”, mi rassicura prima di aggiungere: “Il problema è che deve essere tenuto in frigorifero, ed in questa zona la corrente salta spesso”.
La possibilità di venire morsi da un cobra è molto remota, come quella di vedere una tigre. In cima al Meesapulimala, guardo in basso le piantagioni di té che formano come un tappeto verde, 2.000 metri sotto di noi. La discesa sarà piena di punti divertenti e anche difficili, ma una cosa è certa: fra poco ci fermeremo presso l’ennesimo tea shop, gestito da un signore di nome Sahajam. Faremo una pausa per tergerci il sudore e parlare del sentiero che abbiamo appena disceso e confrontare i graffi collezionati in questo posto incredibile.
Girare in MTB nelle montagne del Kerala’s Ghat è un’esperienza unica, per l’organizzazione ci siamo appoggiati a www.mountainbikekerala.com, che si prende cura della logistica, cibo e spostamenti in loco. Quello che dovete fare è arrivare all’aeroporto di Kochi (chiamato anche Cochin). L’itinerario guidato viene proposto da dicembre ad aprile e costa £1025 a persona.
Qui si trova la gallery completa del viaggio.
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