Non è un segreto che questi siano tempi duri per il settore ciclo. La bolla Covid ha portato a galla tutti i problemi di una catena produttiva e distributiva lunghissima che ora si trova con magazzini pieni, mancanza di clienti e liquidità ferma da quasi un anno. E, se la liquidità manca, tutto si blocca, a cominciare dalle parti ritenute superflue.
Uno dei gran problemi del nostro settore è sempre stata la mancanza di analisi dei numeri, cosa che ora è alla luce del giorno dopo che si è creduto che i fatturati del Covid potessero andare avanti all’infinito. So che sembra assurdo, ma vi posso assicurare che fino alla fine del 2022 c’erano fior fiore di aziende con previsioni che definire rosee è un eufemismo. I numeri non venivano analizzati neanche quando si parlava di investimenti in promozioni e marketing. Se provavate a chiedere quale fosse il ritorno sull’investimento in una squadra pro di MTB, la risposta più comune era un’alzata di spalle. “Così fan tutti, dunque lo facciamo anche noi“.
Quando la passione viene mischiata con gli affari, è difficile che le cose vadano bene, e il nostro settore è pieno di appassionati che però di fronte ad un foglio excel vanno nel panico. E panico è la parola dell’anno che sta per iniziare, il 2024. Lo vediamo oltremodo bene dalle squadre che chiudono e dagli atleti rimasti a piedi, a cominciare dal due volte campione del mondo DH Danny Hart, tutt’ora senza un team. Improvvisamente ci si è resi conto che il modo migliore per risparmiare è non avere una squadra di DH (o enduro) che costa centinaia di migliaia di Euro all’anno fra stipendi, spese di viaggio, iscrizioni alle gare, senza sapere però se questi costi siano giustificati o meno.
Non solo, nascondendo le competizioni dietro al paywall di Discovery le gare hanno meno visibilità, rafforzando la tesi di chi sostiene che un racing team sia una spesa difficile da giustificare. Anche perché dall’altro lato abbiamo tonnellate di visilibità a basso costo date da siti, canali Youtube ed influencer. Considerando anche che le aziende spingono sempre di più le bici elettriche, di per sé dei mezzi destinati ad un pubblico attempato e poco interessato alle competizioni, si fa fatica a vedere un’alba per il racing.
Dispiace per gli atleti, ma personalmente trovo che fosse solo una questione di tempo. La crisi attuale del settore ciclo ha dato un’accelerata a quello che è un processo iniziato con l’elettrificazione del ciclismo. Uno può anche provare a spostare le gare sull’elettrico, ma né XC né DH sono discipline che hanno un senso con un motore. L’enduro ci tenta con i power stage, che alla prova dei fatti sono dei sentieri tecnici fatti al massimo della potenza e che quasi nessun ebiker tenterà mai di percorrere nella sua vita. Non per niente le gare di enduro con più partenti sono quelle con risalite semplici, rese insignificanti per la competizione grazie a motori e batteria.
Il lato positivo di tutto ciò è che la mountain bike è più viva e vegeta che mai, anche senza gare. Tantissimi biker hanno scoperto che si può fare il giro epico la domenica con gli amici, senza numero di partenza sul manubrio, con o senza motore. E alla fine è il motivo per cui la maggior parte di noi ama andare in bici.
Per dire: conoscete qualcuno che faccia ginnastica artistica per svago? No, è un'attività agonistica codificata, che richiede sacrifici enormi e ritorni incerti.
Fin quando la commistione fra le due cose era grande, l'agonismo era una valvola che trainava l'attività ludica.
Ora, un po' l'elettrico un po' il mondo social hanno portato l'attività ludica "in un'altra stanza proprio"...
E l'agonismo è rimasto un affare di pochi pro mal pagati e altrettanto pochi appassionati non professionisti.
Una cosa irrilevante, come gli appassionati di giochi di ruolo.