“Ha circa 15 anni. Quando arriverà ai 25 diventerà churrite”, dice un cowboy che sembra il Che Guevara, con un sorriso perfido mentre guarda la sua cavalla. La churrite è un tipo di carne. Certamente la vita di un cavallo nella Patagonia cilena non è facile, ma quella di Lito, il cowboy, o meglio il gaucho che gli siede in groppa, non è poi molto meglio. I Gaucho, esattamente come qualunque altra cosa in questo ambiente così rigido, vivono in una continua lotta con gli elementi. Qualunque azione diventa una lotta per la sopravvivenza, compreso l’andare in bici.
Questa lezione la imparo sulla mia stessa pelle qualche giorno prima, messo in ginocchio dalla ferocia del vento. Sto cercando di scalare i 1508 metri del Cerro Paine, con la bici sulle spalle. Il vento mi spinge la bici sulle spalle facendola sembrare pesante il triplo. Le ginocchia tremano e cerco di proteggermi dalle folate coprendomi quanto posso con le braccia. Ho cinque secondi di preavviso: di fronte a me Matt Hunter e Rene Wildhaber sono impegnati nella stessa lotta contro gli elementi. Li vedo colpiti dalla raffica prima di esserne investito io. “In discesa ne vedremo delle belle”, rido.
Ci sono pochi posti sulla terra che sono poco adatti alla MTB come lo è la Patagonia cilena, ma siamo qui lo stesso. L’ambiente del parco nazionale Torres del Paine è una mecca per gli escursionisti a piedi, ma attira anche dozzine di cicloturisti tutti gli anni. Percorrono le strade sterrate che attraversano questa distesa fatta di 2500 km quadrati di natura selvaggia, nel disperato tentativo di poter spuntare anche un’impresa come questa dalla lista delle cose che segnano una vita.
Sono stato anche io uno di essi, pedalando e spingendo la mia bici stracarica di bagagli, e guardando a bocca aperta questi picchi di roccia nera ed il blu dei laghi. Ma quei tempi sono andati, e adesso sono di nuovo qui assieme a Matt, Rene, il filmer Matty Miles ed Euan Wilson di H+I Adventures, tutti attirati qui dalla promessa di percorrere singletracks che solo pochi altri hanno fatto finora.
Il nostro giro su un versante del Cerro Paine è un itinerario di mezza giornata con partenza dalla nostra base alla Hosteria las Torres. I ricordi del clima terribile della Patagonia riemergono mentre noi usciamo dal bosco, privandoci dello scudo che gli alberi rappresentavano per noi. Ogni passo diventa una battaglia per portarti qualche centimetro più in alto, qualche centimetro più in là fino a che non ci troviamo bloccati. Non dal vento però, ma dal paesaggio che ci si presenta. Pinnacoli di granito torreggiano so di noi come i denti di un gigante. Sono le torri che danno metà del suo nome al parco.
Ammiriamo il paesaggio fino a che il vento non ci convince ad affrontare la discesa di 1000 metri. Il fondo smosso ed il vento laterale richiedono la totalità della mia attenzione, alla fine sono ebbro di adrenalina ma esausto. Un’ora dopo, quando arriviamo alla hosteria, sono quasi contento di pagare prezzi spropositati per le birre.
Il nostro piano è di esplorare diversi singletrack del parco, ma ovviamente l’esito dipende in gran parte dal meteo.
Torres del Paine si trova a 50° sud, più o meno tanto quanto Brighton, in Inghilterra o Colonia, in Germania, si trovano a nord dell’Equatore. Il carattere così selvaggio della regione è dovuto alla sua posizione nella parte più meridionale del Sudamerica, tra il Pacifico e l’Atlantico. La differenza di pressione tra questi due oceani è la causa del clima notoriamente instabile che caratterizza Torres del Paine. Proprio come in Scozia, se le condizioni meteo non sono buone, basta aspettare 10 minuti perché cambi tutto.
La sala da pranzo della hosteria è rumorosa e caotica. Contiene almeno 130 persone. Le facce scolpite dal vento portano espressioni scioccate. C’è solo un altro ciclista nella stanza, Sage. È una ragazza che viene da Anchorage, è arrivata qui in bus da Punta Arenas, 280 km più a sud, per girare “nei posti più belli del Cile”, dice. “Non riesco a sopportare il vento”, ci racconta mentre si serve dalla nostra bottiglia di vino. Il suo viaggio è cominciato solo 2 giorni fa.
Avendo percorso la Patagonia da cicloturista so quali sono le ricompense per i sacrifici e la fatica, sia fisica che mentale. C’è un fascino inesplicabile nella lotta contro gli elementi, ma in posti come questi può volerci un giorno intero per coprire pochi km. Ma se il nostro viaggio in cerca di singletracks può essere definito dallo stesso investimento, in termini fisici e psicologici, noi veniamo ripagati in maniera diversa. Come ogni cicloturista abbiamo il privilegio di godere del meraviglioso ambiente, ma a noi è riservata anche l’endorfina delle discese su lunghi, sinuosi sentieri. E se da un lato sarebbe stupido (oltre che vietato) percorrere gli affollati percorsi riservati agli escursionisti a piedi, ce ne sono più che a sufficienza sui quali invece possiamo scendere, fino a riempire i nostri 5 giorni qui.
Per godere al meglio di questi sentieri ci siamo uniti alla guida cilena Javier Aguilar. Se due dei sentieri che abbiamo intenzione di percorrere attraversano i terreni dal CONAF (Corporación Nacional Forestal) , gli altri (compresa la dura salita al Cerro Paine) sono su terreni privati. Mi stupisce che il CONAF permetta l’uso delle mountainbike in un parco che attira 150 000 visitatori l’anno. Ma immagino che i biker che passano di qua si contino sulle dita di una mano, sicuramente la notizia che qui si possa andare in MTB non ha ancora fatto il giro nel mondo.
L’approccio di Javier alla mountainbike qui è tipico della Patagonia, fatto in parte di cocciutaggine e in parte di fortuna. Ma come sarebbe possibile fare altrimenti in un luogo così remoto? Anche la sua bici racconta la stessa storia. Javier ha tolto il deragliatore ed il comando ma ha tenuto la corona più piccola. Se gli serve un rapporto corto, si ferma e cambia a mano. “Qui le salite sono fatte così”, ci spiega.
Ma ciò che a Javier perde in termini di una bici linda ed all’ultimo grido, lo compensa con il suo gran cuore. Non l’avevo mai incontrato prima quando ci viene a prendere all’aeroporto di Punta Arenas, abbracciandomi e offrendomi una birra artigianale che ci ha portato per darci il benvenuto.
È questo spirito amichevole che ha permesso al local di aprire i sentieri di Torres del Paine ai biker. Ha dovuto trattare con due proprietari terrieri perchè i biker fossero ammessi sul Cerro Paine e nel ranch Lazo, nella parte meridionale del parco. Entrambe le zone hanno singletrack da sogno e vedute spettacolari sulle Torres o sui magnifici Cuernos del Paine.
Il giorno successivo partiamo dalla hosteria dirigendoci a nord lungo il fiume Paine verso Camp Seron. È un sentiero sinuoso che si snoda attraverso boschi ricoperti i licheni fino a farci passare sopra delle cascate. Pedaliamo per 20 km sotto un cielo terso, col sole della Patagonia che colora la nostra pelle pallida per l’inverno europeo.
Tornati al rifugio, la nostra stanza ha cominciato ad assumere il tipico odore da armadietto di una camera con sei occupanti. Fuori dalla finestra, un Caracara, un rapace, guarda con espressione sospettosa le nostre bici. Come molti degli animali che abbiamo visto nel parco, (Guanako, lepri, enormi condor, Rhea…) anche questo falco è sovradimensionato per essere all’altezza dell’ambiente sterminato che lo ospita. Contemporaneamente, dall’altra parte del vetro, il nostro pacco da 6 birre ci aspetta sul davanzale della finestra. Quando le lattine saranno vuote, ci saremo avvicinati di un altro giorno alla conquista del Cerro Paine.
Il sentiero che ci porterà al Cerro Paine, ne siamo tutti d’accordo, non è il singletrack più bello della settimana, ma diventa la nostra nemesi. Il sentiero ha un fondo tecnico e ripidi tornantini. Ma la posizione del picco, esattamente di fronte ai panorami più noti e fotografati del Cile, lo mette tra le prime posizioni nella nostra lista dei posti da conquistare. Partiamo la mattina presto, sotto il cielo azzurro e carichi di ottimismo per un secondo tentativo di ascesa al Cerro Paine. La pedalata lascia presto il passo alla spinta sul ripido fianco della montagna. Anche se siamo solo ad un km da un sentiero noto agli escursionisti a piedi, siamo soli.
Due cose possono far pensare di poter sfidare le condizioni della Patagonia: l’ottimismo o l’ingenuità. Nel momento in cui usciamo dal bosco il meteo è radicalmente cambiato: il cielo è adesso coperto da grossi nuvoloni ed il vento comincia a soffiare forte. Dopo un’ora ci troviamo schiacciati contro una parete per sfuggire ad una grandine che cade praticamente in orizzontale. Siamo a soli 200 metri dalla cima, ma è chiaro che il Cerro Paine ci sfuggirà di nuovo.
Dalla nebbia sotto di noi emergono verdi prati, interrotti da ruscelli argentati. Mi rendo conto che sto guardando una regione in via di cambiamento. Presto il numero dei visitatori sarà limitato, i prezzi per i pernotti e per il cibo hanno raggiunto livelli ormai al di fuori delle tasche del viaggiatore alla ricerca di avventura che ero tempo fa. E questi splendidi picchi, con i sentieri che li circondano, sono adesso vissuti anche dai biker. Il vento del cambiamento soffia forte, ma una cosa è certa. La ricompensa delle Torres del Paine sono e saranno sempre solo per i coraggiosi, che siano cicloturisti, biker o un gaucho.
Come, quando e perché
Le Torres del Paine offrono paesaggi incredibili per la MTB. E questa è una ragione più che sufficiente, se non l’unica, per visitarle. L’alta stagione è in gennaio – febbraio, ma il parco è accessibile da ottobre ad aprile. Le temperature variano tra i 5 ed i 20 °C: preparatevi ad affrontare qualunque condizione climatica in qualunque momento, dal sole alla neve. Javier gestisce un’agenzia di guiding propria (www.patagoniamtbtrails.com), con sede nella città meridionale di Punta Arenas, dove ci sono più sentieri. H+I adventures aggiungerà al suo programma già apprezzatissimo quattro giorni di riding a Torres del Paine, con partenza dai vulcani più a nord. Dettagli su www.mountainbikeworldwide.com