Erano circa 12 mesi che Muldox, dapprima sporadicamente, poi in modo sempre più pressante, chiedeva di accompagnarlo in una spedizione, che, a detta sua, sarebbe entrata a far parte della storia: la conquista del Piz Umbrail (3.033 m), vetta di confine fra Italia e Svizzera non distante dal Passo dello Stelvio.
Se per i primi 300 giorni io, Niccolò e Zergio abbiamo risposto in modo elusivo, rimandando la nostra partecipazione all’avventura a non ben definiti “tempi migliori” , nell’ultimo periodo le scuse erano sempre più difficili da inventare. Non erano più sufficienti le giustificazioni lavorative, gli impegni familiari inderogabili, le reazioni allergiche improvvise: Muldox aveva addirittura montato una tenda a un metro e mezzo dal mio portone e bisognava intervenire immediatamente.
Aveva vinto!
Con un rapido giro di mail la data era quindi stata scelta: il 14 agosto (così da non precludere ai partecipanti la possibilità di un tour di esito positivo almeno per il giorno seguente, ossia Ferragosto).
Già, perché non nascondevamo nemmeno più di tanto il dubbio che ci attanagliava: quello della ravanata pazzesca.
Perché fino ad ora il mondo della MTB aveva tralasciato il Piz Umbrail dalle sue carte? Perché non si trovava traccia di alcuna precedente esplorazione?
Il possibile esito catastrofico della vicenda, inutile dirlo, preoccupava tutti tranne Lo Sheriffo, che la mattina dell’appuntamento era sul luogo di ritrovo con ampio anticipo, la sua miglior divisa e un sorriso da grandi occasioni.
Zergio l’aveva presa un po’ peggio e la sera precedente aveva ben pensato di annientare l’ansia a suon di grappini, arrivando quindi in ritardo, palliduccio e chiedendo disperatamente un’aspirina, secondo lui panacea di tutti i mali.
Niccolò invece aveva dovuto mettere a dura prova i propri rapporti familiari per essere presente, e mostrava evidenti segni di percosse.
E poi c’ero io, che ancora non ero ben sveglia (come al solito) e nutrivo solo la vana speranza di non soffrire davvero troppo…
Smontati e rimontati i pezzi di 4 persone e 4 biciclette da una sola macchina, non restava che lasciare che il destino seguisse il suo corso…
L’aria fina delle alte quote, ad ogni modo, era di aiuto per schiarire i pensieri di tutti, e un briciolo di ottimismo iniziava a serpeggiare nel gruppo. Gli scenari grandiosi dell’Ortles erano solo a un passo, come pure i più famosi itinerari dell’Alta Rezia: lì di fronte la Bocchetta Forcola si stava giusto giusto animando con un numero crescente di bikers mattutini.
Ai cenni di stupore degli escursionisti a piedi che vedevano il gruppo indirizzarsi deciso verso le alte quote, a tratti a pedali, a tratti bici in spalla, si faceva finta di non badare, anche perché in fondo non era la prima volta che si affrontava la scalata ad una vetta, mettendo in conto più di 500 m di dislivello grossomodo a piedi…
Il sentiero del resto saliva scoprendo solo una parte del tragitto, lasciando quindi ancora parecchie incognite sul futuro, e soprattutto sul versante che avrebbe ospitato la discesa, quello Nord.
Tutto sommato, a parte un passaggio un poco impegnativo avendo la bici al seguito, il gruppo procedeva serenamente, e addirittura Zergio e Niccolò iniziavano ad apparire entusiasti della scelta: scenari del genere non si vedono poi così spesso!
E gli scenari che si godono dalla vetta lasciavano senza parole e senza fiato anche il ciarliero Lo Sheriffo, che felice più che mai, si fregava le mani pregustando, bava alla bocca, la lunga discesa che si profilava, e che argutamente aveva intuito leggendo e rileggendo le mappe della zona.
Per provare ulteriormente la sua vittoria, lo si è addirittura visto naso a terra per valutare se sul luogo vi fossero tracce di pneumatici pregresse!
Un’ultima aggiustata alla pressione delle gomme, quattro gesti scaramantici e via! L’avventura, quella vera, poteva avere inizio.
Sin dai primi metri è sembrata la discesa ideale, quella fatta a posta per le ruote grasse, anche se nata per tutt’altri scopi.
Proiettandosi verso valle, come sospesi nel tempo, un appagante gusto di felicità pervadeva il quartetto, lasciando solo il tempo a Zergio di esclamare dopo un rutto: “Merda, che sentiero!”.
Ogni metro, ogni curva una nuova scoperta, una prospettiva inaspettata, una luce particolare che rapiva. Il single-track continuava a scorrere impeccabile, sempre diverso da se stesso, ma sempre entusiasmante e coinvolgente.
Il Lago di Rims visto dall’alto, con le luci di un tardo pomeriggio, ve lo lascio solo immaginare!
Nel gruppo c’era chi risfoderava un fondo di grappino della sera prima, chi scriveva poesie all’amata, chi scendeva fregandosi le mani, noncurante dei rischi che ciò poteva comportare. Della bava alla bocca non parlerei per motivi di decoro pubblico.
Un ultimo tuffo verso la Val Mora nascondeva ancora curve e curvette, saltelli, saltini e saltoni. Per chi li sapeva fare.
In tutto il percorso varie mucche, ma nessun bipede all’orizzonte. Incredibile: con un sentiero del genere era lecito attendersi sul più bello un bigliettaio a riscuotere il suo obolo. E invece niente, solo noi nei paraggi!
Il punto di compattamento di 4 persone e 4 bici in auto era ancora lontano: una lunga pedalata e vari altri scampoli di bella discesa ci attendevano; era quindi il caso di cacciare nello zaino un principio di stanchezza e soprattutto cercare qualcosa per placare il crescente languore de Lo Sheriffo. Al ristoro di Cancano si ricorderanno a lungo del biker che mangiò ben 7 brioches (confezionate) di seguito, peraltro alle 7 di sera.
Con una giornata così, si trascura senza fatica anche il “ve l’avevo detto io” di Muldox, ma soprattutto le sue nuove proposte (che stranamente suonavano meno minacciose del solito) di esplorare altre vette alpine, ancora, almeno apparentemente, da violare.
Testo e Foto: Marzia Fioroni (salvo dove specificato diversamente)
Testo didascalie foto: Muldox
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