Sono passati ormai più di 50 anni da quando ho visto per l’ultima volta il lago di Tovel. E sono stato uno dei pochi fortunati, fra quelli che leggono, ad averlo visto del colore per il quale è famoso. All’inizio degli anni ’60, passavo sempre qualche giorno di ferie a Cles in val di Non, a casa di mio zio Gino, carabiniere, e mia zia Teresa, sorella di mio padre. Un giorno mio zio mi disse: oggi ti porto a vedere uno dei posti più belli del mondo.
Nella mente di un bambino di 5 anni il mondo è ancora piuttosto ristretto e non potevo certo immaginare quale potesse essere questa bellezza. Usciamo dall’auto in mezzo al bosco, facciamo qualche passo a piedi ed ecco la meraviglia: un lago con l’acqua completamente rossa, come se fosse il fondo di un vulcano con il magma bollente!
Dopo di allora non ho avuto più l’occasione di tornare al lago di Tovel, sia perchè mio zio si era trasferito per il suo lavoro, e sia perchè da quel momento, come per mistero, l’acqua del lago non si è più tinta di rosso.
Oggi si sa che la sparizione del fenomeno dell’arrossamento sia dovuta alla mancanza del carico organico (azoto e fosforo) proveniente dalle modalità di transumanza delle mandrie di bovini che pascolavano nei pressi del lago. Queste sostanze, confluendo nel lago, contribuivano in maniera determinante alla fioritura dell’alga Tovellia sanguinea. Dagli anni ’60 il cambiamento della gestione degli animali in malga e la quasi totale scomparsa delle greggi che soggiornavano nei pascoli alti, spiegano la diminuzione dell’apporto di questo carico organico e quindi la cessazione del fenomeno di fioritura dell’alga.
Sulle dolomiti di Brenta, invece, ci sono stato solo d’inverno. Mi ricordo di quando mio padre, uno dei primi sciatori dell’ Alto Adige (ha iniziato ancora prima che costruissero gli impianti da sci, salendo con gli sci in spalla), ci portava a Madonna di Campiglio per la settimana bianca. Bellissimo il Brenta d’inverno, con le sue piste infinite e le alte creste ammantate di bianco. Poi ci sono tornato anni dopo, dalla parte opposta, ad Andalo, a fare il maestro di sci per qualche stagione.
E’ qualche anno che spero di vedere finalmente il Brenta in estate girandolo in bicicletta e passando dal lago di Tovel, ma finora non ne ho mai avuto la possibilità.
L’occasione mi si presenta quest’anno, quando l’amico Pietro Novelli (il mitico nonnobanshee), pubblica delle foto di alcuni sentieri che sta esplorando sul Brenta. Mi dice che sta pensando ad un itinerario molto impegnativo ma bellissimo, da fare in due giorni proprio attraverso il gruppo del Brenta. Gli dico che sono interessato anche io e di farmi sapere quando deciderà di andare.
Passano i mesi e alla fine, dribblando problemi vari, Pietro decide di andare ad inizio settembre. Purtroppo in quella data so già che sarò impegnato, gli chiedo quanto ha calcolato di dislivello totale, e quando mi dice che saranno circa 4000 metri mi viene la mia solita balzana idea: e se lo facessi in un giorno solo? Ho già fatto tanti giri da 5000 metri in un giorno, dovrei riuscire a fare anche questo! Il problema sta però nel fatto che qui sono previste tante ore di portage, visto che per passare proprio in mezzo al Brenta bisognerà fare almeno 1500 metri di dislivello con la bici in spalla! Io sono abituato a girare con la bici in spalla, ogni tanto faccio anche un migliaio di metri di dislivello per andare a cercarmi un bel sentiero, ma cosi tanti in un giorno non ne ho mai fatti! Non conosco quei sentieri, calcolo però che dovrei farcela, scelgo perciò un giorno di alta pressione, carico la traccia che mi sono creato nel gps, metto nello zaino un faretto per il ritorno che non si sa mai, acqua, panini e banane a volontà e sono pronto a partire.
Sveglia nel cuore della notte e dopo un’ora di auto, alle 5.30, con le primissime luci dell’alba, parto da Tuenno in val di Non e mi avvio sulla strada che porta al lago di Tovel. Dopo una prima parte in asfalto, comincia un bellissimo sentiero, non lontano dalla strada, che porta verso il lago. Inizialmente facile, presenta poi alcuni brevi tratti da fare a spinta, ma è molto vario e con bellissimi panorami.
Anche piuttosto lungo, sono infatti partito da 500 metri di quota e il lago di Tovel si trova quasi a 1200 metri. Dopo un ultimo tratto ripido nel bosco eccomi, più di 50 anni dopo, al lago di Tovel. Non è più rosso, ma è sempre bellissimo, proprio come me lo ricordavo con gli occhi da bambino.
Dopo aver costeggiato la sponda orografica sinistra del lago e aver mangiato la prima banana, la strada forestale sale decisamente in direzione malga Pozzol, dove si arriva con duri strappi e un finale pianeggiante. Qui finisce la strada e il sentiero si inerpica nel bosco. Ecco i primi 150 metri di dislivello con la bici in spalla, poi il sentiero si addolcisce e si riesce ad arrivare a malga Flavona, a 1860 metri, pedalando. Sono le 8.30. Sono tre ore che pedalo duramente e ho bisogno di un caffè.
Chiedo al pastore se è possibile averne uno. Mi dice di entrare. Mette la moka sul fuoco e comincia a parlare un dialetto del quale non capisco neanche una parola con altri due pastori. Gli chiedo di dove sono e mi risponde che lui, suo fratello e suo padre sono venuti dalla Romania 12 anni fa e fanno i pastori alla malga. Mi chiedono incuriositi della mia fat bike, e gli spiego perchè ormai da tanti anni la preferisco alle altre bici. Bevo il caffè, scambiamo ancora due parole e gli chiedo quanto gli devo. “Niente, te lo offriamo volentieri”. Da qui non si pedala più, metto la bici in spalla, mi giro per fare una foto alla malga ancora all’ombra, riparto e medito sui simpatici pastori.
Inaspettatamente, dopo il primo tratto duro, quando esce dal bosco il sentiero spiana e riesco a pedalare.
Poi ancora bici in spalla e poi pedalo e avanti cosi. E’ un po’ stressante continuare a salire e scendere dalla bicicletta, però rilassa le spalle!
Più mi alzo di quota e più il panorama diventa emozionante, i prati lasciano il posto alle rocce e il cielo perfettamente azzurro fa il resto!
Ancora qualche tratto pedalato e tanta bici in spalla, per fortuna la mia è una full fat bike che si può definire leggera con i suoi 13 kg, e arrivo finalmente al primo passo di giornata, il Grostè a 2442 metri.
Non faccio quasi in tempo ad essere contento di aver superato i primi 2000 metri di dislivello (i più “facili” scoprirò più avanti), che dopo la curva mi si para davanti una signora cicciona in ciabatte! E questa da dove viene, mi chiedo? Sono più di 5 ore che non vedo anima viva, tranne i pastori, come avrà fatto ad arrivare fin qui? Qualche secondo dopo ecco la risposta, il rifugio Stoppani, dove si arriva direttamente da Madonna di Campiglio con la cabinovia del Grostè, e mi trovo immerso nel lungomare di Riccione, fra merenderos in ciabatte e sandali alla moda e bambini piangenti.
Rifuggo da questa orrenda visione, non mi fermo neanche un secondo per cambiarmi e mangiare qualcosa e mi tuffo sul sentiero verso valle, mentre penso a quale sia il vero senso della montagna. Domanda epocale alla quale non so dare una risposta, anche perchè devo concentrarmi sul sentiero, molto tecnico e divertente.
Arrivo al rifugio Graffer, qui la situazione sembra essere più “umana” e mi fermo a prendere un litro d’acqua perchè ho finito la mia scorta. Già che ci sono, visto che ormai mezzogiorno è passato, mi mangio anche una bella fetta di strudel, perchè so che la giornata sarà lunga e la scorta di panini si sta assottigliando. Riposato e rinfrancato, riparto verso malga Vallesinella di Sopra. Mi aspetta un bellissimo single track in discesa da 700 metri di dislivello dove (finalmente) non incontro nessuno.
Qualche tratto esposto ma non più di tanto, quasi sempre piuttosto scorrevole, insomma molto divertente e in mezzo a panorami spettacolari!
Arrivo al bivio a 1650 metri e so che adesso inizia la lunga salita verso le bocche del Brenta. Mi sento piuttosto bene e riparto spedito. Ben a dire il vero spedito mica tanto, fino al rifugio Casinei il dislivello non è molto, ma il sentiero è cosparso di sassi e radici che obbligano ad un continuo su e giù dalla bici e metà del percorso si fa a spinta. Arrivo al rifugio prima delle 14, esco dal bosco e comincia a fare piuttosto caldo, nonostante siamo a 1800 metri. E’ pieno di gente, troppa direi e scappo senza fermarmi. Visto che l’orso del Brenta non l’ho ancora visto, l’orso lo faccio io!
La prossima tappa è il rifugio Brentei a 2180 metri. La prima parte del sentiero è molto bella, stretta ma ciclabile e in leggera discesa. Ogni tanto bisogna scendere dalla bici per passare un canalone e poi si riparte. Però sempre in leggera discesa, ma io devo salire e il tempo passa inesorabile!
Ecco che finalmente si sale, ma adesso sono in pieno sole, esposto a sud, in mezzo ai mughi e comincia a fare tanto, troppo caldo. Mi fermo per riposare un attimo e mangiare un panino all’ombra dell’ultimo albero, più su solo sassi e mughi. Bici in spalla salgo soffrendo il caldo. Adesso il sentiero è ripido ma il panorama è superbo. Finisco anche l’acqua e non c’è neanche un ruscelletto. Continuo a salire, ma il passo è più lento. Ecco lassù in alto il rifugio, raccolgo le forze e finalmente ci arrivo. Ho lo stomaco un po’ in disordine e ordino un bel minestrone caldo oltre alla bottiglia d’acqua da mettere nello zaino. Mi riposo, mangio e un po’ alla volta tornano le forze, il caldo e la la salita ripida per arrivare quassù mi hanno veramente provato!
Riparto, il passo è lassù in cima e il sentiero pedalabile e non troppo ripido mi fa ben sperare.
Mi addentro sempre più nella gola con alcuni passaggi spettacolari.
Alla fine però il sentiero finisce e rimangono gli ultimi 200 metri di dislivello su ghiaione. Incrocio due escursionisti che scendono e mi fanno i complimenti, chiedendomi se ho intenzione di passare anche per la ferratina. Io rispondo di si, ringrazio per l’informazione e proseguo pensando: ferrata? Beh se ci è già passato Pietro ci passerò anche io no? Solo il giorno dopo verrò a sapere che sono stato il primo a passare in bici da quelle parti, questo infatti era l’unico tratto che Pietro non aveva mai provato! Continuo a salire lungo il ghiaione ripidissimo, il sentiero è poco segnato, i sassi si muovono tantissimo e faccio due passi avanti e uno indietro. Ad un certo punto il sentiero scompare completamente, avanzo con tantissima difficoltà, sono allo stremo delle forze dopo un totale di 1500 metri con la bici in spalla e avanzo solo per la forza di volontà. Ogni passo resta una fatica sovrumana. La grande conquista psicologica, certo non facile da raggiungere, è trovare un ritmo in quelle condizioni, liberare la testa e non pensare che si è compiuto solo uno dei centinaia di passi che restano da compiere. Se si parte con l’atteggiamento psicologico che in poco tempo tutta la faccenda è finita, si è spacciati fin dall’inizio. In imprese di questo genere penso sempre al momento. Guardo la luce, tutti i colori intorno a me, il rifugio in basso che si allontana sempre di più. In quelle condizioni la cosa più importante è concentrarsi per cancellare passato e futuro e vivere solo il presente, l’essere in movimento in quell’attimo. Senza la nozione del tempo, come su un altro pianeta. Ritrovo il sentiero, probabilmente ho saltato il tratto di ferrata salendo sul ghiaione, alla fine forse è meglio cosi. Vedo la forcella sopra di me, manca poco. Passo un nevaio completamente grigio che ancora resiste al caldo esagerato di questa estate, con lo zero termico a 5000 metri. Sbaglio un passo, scivolo, la bici in spalla è sempre più pesante e mi sbilancia. Ho fame ma non riesco a mangiare, ho sete ma ho finito l’acqua. Ma arrivo alla Bocca di Brenta, 2552 metri. Ecco, il più è fatto, adesso devo solo tornare al punto di partenza. Che è lontanissimo e sono le 17, e mi voglio godere la meritata discesa.
Sono arrivato nel cuore delle Dolomiti del Brenta, in un posto dove non avrei mai immaginato di poter arrivare. Tutto intorno a me è magnifico e maestoso. La tensione comincia a stemperarsi e anche la stanchezza. Ma devo rimanere concentrato, do ancora una occhiata al canalone da dove sono salito, uno dei più impegnativi che ho mai fatto bici in spalla, secondo solo al passo dell’Ables, dove il sentiero è stato completamente cancellato dalle frane.
A poca distanza, in posizione invidiabile, ecco il rifugio Pedrotti, ho bisogno di una pausa prima di iniziare la lunga discesa, un tè caldo per rimettermi a posto lo stomaco e un’altra bottiglia d’acqua per il camelback.
Saluto i simpatici gestori e riparto abbastanza in fretta, perchè so che la discesa sarà lunga e anche che le salite non sono finite, alle mie spalle la forcella di Bocca di Brenta comincia ad allontanarsi velocemente.
Sotto di me il bellissimo sentiero che scende verso il Croz dell’Altissimo.
Le guglie del Brenta sono veramente spettacolari.
Anche il rifugio Pedrotti è ormai lontano.
Spettacolo, spettacolo e ancora spettacolo! Sia il sentiero con tratti tecnici, sia il contorno.
Continuo a scendere, come in estasi, il sentiero sembra non finire mai.
Ecco il rifugio Selvata, qui finisce il sentiero sassoso, ma comincia un bellissimo sentiero tutto nel bosco che scende, gira, qualche tratto tecnico e molte parti scorrevoli e veloci, sembra fatto apposta per le bici, fino a 1300 metri di quota. Adesso bisogna ancora salire su una forestale piuttosto ripida per circa 150 metri di dislivello. Gonfio le gomme che hanno raggiunto una pressione veramente bassa con la lunga discesa e salgo fino al rifugio Croz dell’altissimo, proprio sotto l’omonima cima con la sua incredibile verticalità.
Da qui si segue un sentiero bellissimo, lunghissimo e in leggero saliscendi, con passaggi spettacolari fino al rifugio Pradel.
Si scende poi ad Andalo lungo il divertentissimo Bear trail, un sentiero con sponde e cunette disegnato apposta per le bici, fra i migliori che abbia mai provato.
Dopo Andalo ancora discesa su un sentiero veloce, poi una salitina, poi discesa, poi sentiero in saliscendi. Sembra sempre di arrivare ma non si arriva mai, anzi sono ancora lontano. Sono stanco, ho fame ed è quasi buio. Devo per forza fermarmi a riposare un po’ e mangiare qualcosa. Scendo al paese di Sporminore e mi consigliano l’agritur da Sandro, ottimo ristorante tipico a buon prezzo. Cerco di tenermi leggero perchè devo ancora pedalare e quando esco verso le 22 è buio ma fa ancora tanto caldo. Però mi sento abbastanza riposato, accendo il faretto che mi ero prudentemente portato e mi avvio su un bellissimo sentiero per la maggior parte in piano ai limiti del bosco. Non so come sia di giorno, ma pedalarlo di notte mi è piaciuto veramente tanto. Non mancano ancora un paio di brevi strappi in salita che affronto spegnendo il cervello, passo vicino all’ingresso del tunnel che porta in val di Tovel e, dopo una ultima ripida discesa, arrivo all’auto verso le 23.30. 18 ore in bici, 90 km e 4000 metri di dislivello, dei quali almeno 1500 con la bici in spalla su terreni impegnativi. Ho rivisto dopo tanti anni il lago di Tovel, ho finalmente visto le dolomiti di Brenta d’estate, tutto in un giorno e passandoci direttamente in mezzo! Tutto molto molto bello anche se molto stancante! Diciamo che l’ideale sarebbe farlo in due giorni, proprio come l’ha studiato l’amico Pietro Novelli che ringrazio, e anche cosi sarebbe lo stesso molto impegnativo. Ma ne vale sicuramente la pena!