Autore: Francesco Mazza
Nella Mountain Bike l’esigenza di proteggersi in caso di cadute è nata e si è sviluppata di pari passo con la storia della Mountain Bike stessa. La tipologia di protezioni, i materiali adottati e la disponibilità di prodotti tra i quali scegliere quelli più adatti al proprio utilizzo, si sono evoluti enormemente, fino ad avere una gamma di protezioni moderne che risultano essere leggere, traspiranti, confortevoli ed efficaci. Si può dire, anche se questa osservazione potrebbe suscitare reazioni contrastanti, che grazie alle attuali protezioni ci si protegga quantitativamente meno ma qualitativamente meglio, per merito della tecnologia moderna e dell’esperienza maturata in oltre 30 anni di storia della MTB.
Agli albori della disciplina, quando le Mountain Bike dovevano ancora definirsi tali e i primi rider risalivano a spinta le colline californiane per buttarsi a capofitto su discese sterrate con le loro Klunkers, bici progenitrici delle MTB, le protezioni erano decisamente rudimentali e molto poco diffuse. Solo qualche rider improvvisava delle ginocchiere recuperate da altri sport come lo skateboard o la pallavolo. Raramente queste ginocchiere venivano accompagnate da gomitiere. Inverosimile il totale inutilizzo del casco, ma d’altra parte in quel periodo non si era ancora arrivati a comprenderne l’importanza dato che non veniva utilizzato nemmeno in moto.
Successivamente, grazie a Gary Fisher e ad altri pionieri, la Mountain Bike ha iniziato a prendere identità e a definirsi come specialità sportiva, smarcandosi dall’approccio esclusivamente ludico delle Klunker Bikes. Contestualmente si è iniziato a usare il casco, mentre le altre protezioni sono state provvisoriamente abbandonate, dato che a differenza delle Klunkers, le Mountain Bike erano mezzi da pedalare, spesso per parecchi chilometri. I primi caschi ovviamente erano ancora grezzi e primordiali, provenienti dal ciclismo su strada, come possiamo vedere dalla foto del team Ritchey del 1983 (Joe Murray, Eric Heiden, Dave McLaughlin, Tom Ritchey, David Zanotti, Dale Stetina e Sterling McBride).
Negli anni successivi la Mountain Bike ha iniziato a prendere due corsi diversi, seppure uniti tra loro, differenziandosi tra Cross Country e Downhill. Se per l’XC si è proseguito fino ai giorni nostri utilizzando solo il casco come protezione, nel caso del DH si è cominciato subito a comprendere l’importanza di proteggersi adeguatamente, viste le velocità decisamente più alte e i percorsi più impegnativi rispetto all’XC. Ancora regnava la Lycra come abbigliamento, i caschetti erano sempre open face, gli stessi usati in Cross Country, ma decisamente evoluti rispetto a quelli dei pionieri, però ora i downhiller iniziavano a usare ginocchiere complete di parastinco e molto spesso gomitiere che coprivano tutto l’avambraccio.
Nei primi anni ’90 comunque non esistevano regolamenti sulle protezioni, quindi molti correvano senza ulteriori protezioni oltre al casco (obbligatorio), mentre altri sentivano la necessità di proteggersi maggiormente. Quindi si iniziavano a vedere articoli importati dal MotoCross come i guanti lunghi con plastiche di protezione sulle dita e le mascherine al posto degli occhiali. Si inziava anche a rendersi conto che il viso scoperto rappresentava un problema, quindi non avendo a disposizione caschi full face compatibili con la disciplina, dato che anche nel MX si iniziavano a vedere i primi caschi integrali ma erano ancora troppo pesanti e poco areati, alcuni rider hanno preso a usare quelle protezioni per il viso collegate alle mascherine, che nel MX e nel Moto Enduro avevano la funzione di proteggere il volto dai sassi alzati dalle ruote degli altri concorrenti, ma che in DH erano effettivamente piuttosto inutili oltre che bizzarre, anche in caso di gare con partenza di massa.
Siamo ancora nella prima metà degli anni ’90 quando si cominciano a vedere protezioni specifiche per la MTB. Sulla base dei caschi da XC le aziende iniziavano a creare dei semi-integrali applicando una mentoniera. Fanno la loro comparsa le prime pettorine complete di paraschiena e protezioni specifiche per petto, spalle, gomiti e avambraccia. Spesso si trattava di una tuta completa con annessi i pantaloni protettivi con placche su fianchi, femori, ginocchia, tibie e malleoli. Il concetto di abbigliamento resta ancora legato alla Lycra, per cui queste tute protettive vengono spesso indossate come unico capo di abbigliamento, come vediamo nella foto che ritrae Philippe Perakis a Vail nel 1993.
Da questo momento e fino ai giorni nostri per i caschi integrali l’evoluzione è stata incredibile, con riduzione di peso, areazione ottimizzata, comfort eccellente e massima protezione, con materiali e tecnologie all’avanguardia, come per esempio il MIPS. Anche per le protezioni che riguardano il resto del corpo si è aperta la strada. Questo genere di tute infatti ha segnato il must delle protezioni per oltre 10 anni. Su questo genere si sono evolute le protezioni che nell’arco di un decennio hanno ottimizzato il peso, la traspirabilità, il livello protettivo e il comfort. Nel frattempo la DH ha dato l’addio alla Lycra e alle skinsuit, tranne in rare eccezioni, in favore di un abbigliamento più coprente, comodo e robusto, quindi le protezioni venivano indossate al di sotto dell’abbigliamento. In ogni caso che fossero pettorine o tute complete, queste hanno rappresentato le protezioni fino ai primi anni 2000.
A inizio millenio infatti il mondo della Mountain Bike ha compiuto uno step evolutivo notevole. Le bici sono diventate tecnicamente molto più performanti, di conseguenza anche i tracciati delle gare, soprattutto in Coppa del Mondo, si sono adeguati all’evoluzione dei mezzi e dei piloti. Le protezioni che fino a poco prima erano ritenute essenziali, ora diventano ingombranti e limitano la performance atletica e la libertà di movimento durante la guida. La tuta sparisce lasciando il posto alle normali pettorine.
Queste pettorine vengono abbinate a ginocchiere con parastinco e più raramente a pantaloncini con protezioni sui fianchi. I paramalleoli diventano sempre più rari e vengono quasi completamente abbandonati.
Negli anni successivi anche la pettorina veniva abbandonata, preferendo dei semplici paraschiena, sempre per il motivo per cui è stata abbandonata la tuta completa: maggior mobilità e migliore dissipazione del calore e quindi minore sudorazione. In quegli anni la configurazione più utilizzata prevedeva un paraschiena rigido al quale in alcuni casi venivano abbinate delle gomitiere. Le ginocchiere diventano più lunghe e protettive. Il problema con le ginocchiere di quel periodo era che si spostavano pedalando e quindi rischiavano di essere posizionate male e di conseguenza di rivelarsi inefficaci in caso di caduta. Per porre rimedio a questo problema si sono diffuse delle bande elastiche da mettere sopra la ginocchiera, che la tenesse ferma in posizione. Diventò un sistema molto diffuso, proposto da tutti i marchi di protezioni.
Di lì a poco iniziò l’era di Sam Hill, il giovane australiano che vinceva ogni gara rifilando manciate di secondi agli inseguitori, volando su traiettorie impensabili con una naturalezza che non si vedeva dai tempi di Vouilloz. In sella alla sua Sunday con pedali flat, Hill era solito indossare come protezioni solo il casco e le ginocchiere. Inutile dire che la combinazione di questi elementi, pedali flat compresi, diventò presto la moda seguita dalla maggior parte degli altri piloti di coppa e anche dagli amatori. Hill usava ginocchiere corte, senza parastinchi, inizialmente nate per essere indossate sotto i jeans dai dirt rider, ma che presto si affermarono come il nuovo must delle ginocchiere da DH.
Improvvisamente le protezioni venivano considerate limitanti o addirittura inutili. Una tendenza avventata che tuttavia cambiò definitivamente l’uso delle protezioni in MTB anche per il futuro. Infatti le aziende leader nella produzione di protezioni hanno dovuto necessariamente rinnovarsi per riconquistare il pubblico che ormai riteneva superflue alcune protezioni mentre ne riteneva eccessivamente scomode altre. Intanto lo sviluppo dell’Enduro come disciplina sottolineava la necessità di avere protezioni adeguatamente protettive che permettessero anche di pedalare con la massima libertà di movimento.
Nasce così il concetto moderno di protezioni, fatte di materiali all’avanguardia, che seguono la forma del corpo senza ingombrare e senza limitarne i movimenti, anche mentre si pedala, realizzate con tessuti leggeri e traspiranti ma al contempo resistenti, che restano in posizione anche durante gli urti senza spostarsi e proteggendo i punti più critici in maniera ottimale. Materiali innovativi come il D3O oppure il SasTech, morbidi e flessibili ma capaci di dissipare impatti di grossa entità. Calotte rigide talmente anatomiche da non creare il minimo fastidio a chi le indossa e sistemi di fissaggio senza fasce elastiche e grosse cuciture, a totale vantaggio del comfort.
Grazie a questi nuovi materiali sono nati anche dei sistemi ibridi di protezione, come per esempio gli zaini con paraschiena integrato. Negli ultimi anni inoltre la tecnologia ha offerto sistemi di protezione di nuova concezione come i collari che limitano i danni a carico della colonna cervicale.
Se pensiamo ai tempi dei pionieri della MTB, con le loro protezioni improvvisate, possiamo dire di essere già nel futuro. In questo campo l’evoluzione è stata indubbiamente straordinaria, soprattutto negli ultimi anni. Basta scegliere il prodotto più indicato per il nostro utilizzo nella vastissima gamma a disposizione sul mercato per goderci in sicurezza la nostra Mountain Bike.
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