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Avevo sentito parlare dell’alta via dei monti liguri per la prima volta tre anni fa, dall’amico Emil, che me l’aveva descritta come durissima, con tanti tratti di portage anche molto lunghi, infatti nella settimana che aveva a disposizione era riuscito a farne solo una parte. Poi due anni fa l’amico Paolo di Jesolo ha partecipato all’Alta via stage race in coppia con il figlio, e anche lui me l’ha descritta come molto dura, con tanti tratti di portage e sentieri impegnativi in discesa, tanto che loro avevano partecipato con bici da enduro. L’anno scorso, invece, c’è stata l’edizione zero del Liguria mnt divide, che riprende lo stesso percorso dell’Alta via stage race, solamente non in otto tappe, ma in tappa unica, nel ssenso che i concorrenti si gestiscono autonomamente i tempi di pedalata e di riposo, sulle orme del famoso tour divide americano. L’edizione zero è stata corsa da Jay Petervary, il famoso ultraracer americano, che pur fra molte difficoltà dovute al meteo e al percorso, ha fissato il primo tempo di riferimento in 104 ore. L’idea del Liguri mtn divide è nata dalla mente vulcanica di Mauro Bertolotto, da sempre grande visionario, importatore di novità e conoscitore di tutte le nicchie della mountain bike, nonché amante dell’avventura e dell’esplorazione.
Io da un paio di anni mi sono appassionato a queste avventure in autonomia, dove la sfida non è contro gli altri, ma solo contro se stessi. Anche perché una delle mie “doti”, da quando ho cominciato a pedalare, è sempre stata la resistenza, non sono infatti molto veloce ma ho visto che, facendo delle pause brevi e regolari, riesco a pedalare per tutto il giorno (e per più giorni), senza particolari problemi. In più mi piace esplorare, conoscere, e non parlo di esplorazioni fisiche ma anche mentali. Lunghe avventure di questo genere infatti, conducono alla ricerca dei propri limiti, sia fisici che mentali. Il proprio fisico bisogna naturalmente conoscerlo bene, sia per l’allenamento che per l’alimentazione, ma solo questo non basta. Per portare a termine giri di più giorni, infatti, bisogna usare un altro fattore importantissimo: la “testa”. Se non entra in gioco il cervello, anche avendo un super allenamento, sarà difficile arrivare in fondo. La testa, la concentrazione, aiuterà le gambe e il corpo a passare i momenti critici che inevitabilmente arriveranno e noi scopriremo un po’ alla volta quali sono i nostri limiti e se riusciremo a toccarli, o eventualmente a spostarli in avanti. Insomma andare a scavare dentro noi stessi, per vedere se riusciamo a trovare quelle energie nascoste che ci faranno arrivare fino alla fine. Oltre a questo, naturalmente, ci sono altri ingredienti fondamentali, e cioè il divertimento di pedalare in splendidi posti e insieme a vecchi e nuovi amici. Mauro mi ha allora chiesto se volevo partecipare alla prima edizione del Liguria mtn divide, che è sicuramente il trail più difficile esistente in Italia, visto che oltre ai 560 km e quasi 20000 metri di dislivello, presenta tantissime ore di portage, anche su sentieri molto impegnativi. E io ho accettato molto volentieri, dal momento che questo trail presenta tutte le caratteristiche che mi piacciono: esplorazione, visto che è una zona che non conosco, alzarsi all’alba, cosa che faccio spesso da 15 anni a questa parte, pedalare anche di notte, altra cosa che mi piace molto e il portage, visto che spesso mi metto la bici in spalla anche per 1000 metri di dislivello per andare a cercarmi sentieri sconosciuti. La testa, nel senso inteso sopra, so di averla e l’allenamento c’è, dal momento che questo anno ho già fatto tante uscite lunghe, per poter partecipare al Tuscany trail in maggio, al Liguri mtn divide in giugno e al mio “Alto Adige/Südtirol Xtreme bike trail” in luglio. Tutti trail in autosufficienza molto diversi tra loro, ognuno con le proprie caratteristiche e tutti da scoprire.
A conferma di quanto questo percorso spaventi per la sua durezza, se fatto in autonomia, all’inizio di giugno si parla di una decina di iscritti, che sono poi ufficialmente sette e solo quattro di questi si presentano al via, i forti Giovanni Roveri e Luca Bettinsoli, il francese Pascal Casaux e il sottoscritto.
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Qualche settimana prima del via, Mauro mi provoca e mi chiede: non dirmi che partecipi con la fat full? E io: naturalmente! Mi sono informato bene sulle caratteristiche del percorso, e secondo me la bucksaw, la prima fat bike biammortizzata, sarà perfetta per il Liguria mtn divide. Divertente e sicura nelle discese molto tecniche, ripide e scassate e sufficientemente leggera, con i suoi 13.5 kg, da mettere in spalla nelle lunghe ore di portage. Per il bagaglio invece, ho optato non per il classico assetto da bikepacking che ho usato in Toscana, ma per il più “normale” zaino. E alla fine dei conti si è rivelata la scelta perfetta: la bici caricata in bikepacking peserebbe più di 20 kg e sarebbe per me impossibile da portare in spalla per tante ore, mentre è molto più semplice portare uno zaino da 7 kg e una bici leggera in spalla. Inoltre, con questo assetto con bici scarica, mi sono potuto divertire tantissimo sia nelle discese tecniche e smosse fatte tutte in sella, sia nei molti sentieri superenduro incontrati, fatti in velocità, compresi i salti, e con grande soddisfazione.
Qualche giorno prima della partenza mi sento con Luca e decidiamo di fare il viaggio fino in Liguria insieme, anche perché tutti e due pensiamo di Arrivare ad Airole, e poi Ventimiglia, in non più di 5 giorni.
Intanto mi studio per bene il percorso: planimetria, altimetria, tratti di portage, posti dove poter dormire la notte in caso di pioggia, scarico la traccia e individuo sul open bike maps tutte le fontanelle lungo il percorso e i paesi dove poter fare colazione e rifornirsi di alimenti per la giornata. Mi segno gli orari dei treni con trasporto bici per il ritorno da Ventimiglia a La Spezia e preparo il mio solito zaino per giri da più giorni, circa 7 kg in tutto più qualche scorta di cibo. La lista è ormai collaudata, soliti attrezzi e ricambi per la bici, luci, un completo per la pioggia, un ricambio di tutto il vestiario, materassino gonfiabile e sacco a pelo. Se sarà asciutto dormirò sulla solita panchina all’aperto, in caso di pioggia cercherò un posto coperto o una camera.
Venerdi pomeriggio passo a prendere Luca e prima di sera siamo a Bolano, alla base di partenza, dove ci attendono Mauro, Francesco e il loro staff
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e i due “colleghi” Pascal e Giovanni, che giusto per riscaldarsi un po’ è arrivato direttamente da Torino in bici! Cena insieme a tutti i concorrenti di Alta via stage race, quattro chiacchiere e notte in tenda fornita dall’organizzazione.
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Arriva finalmente il giorno della partenza, prepariamo le bici e attendiamo lo start ufficiale dello stage race, previsto per le 10. Oggi si parte un po’ tardi, perciò prevediamo di fare circa 110 km e 3400 m/d prima di notte. Lasciamo partire i concorrenti, e alla fine ecco i 4 moschettieri pronti alla grande sfida!
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La prima tappa è la più semplice, se cosi si può dire, tutta pedalabile. Dopo un po’ ognuno tiene il suo ritmo di pedalata e io me la prendo con “calma”, fermandomi due minuti ogni ora a mangiare qualcosa. Ci sono da fare 20000 metri di dislivello e non voglio certo bruciarmi il primo giorno. Dopo qualche ora c’è un graditissimo ristoro organizzato da stage race e visto che sarà l’unico che troveremo in questi giorni, ne approfittiamo alla grande. Torte salate, crostate, dolci di tutti i tipi e specialità liguri a volontà.
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Complimenti alle cuoche! Mentre arrivo al ristoro i miei compagni ripartono, cosi ne approfitto per pedalare e scambiare qualche parola con il simpatico Massimo Alfero conosciuto la sera prima. Ogni tanto incrociamo il defender di Mauro che si ferma nei punti strategici con Francesco e il resto dello staff per fotografare e filmare.
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Arrivo a Sesta Godano, sede di arrivo della prima tappa della Stage race, e trovo i miei compagni, arrivati da poco, che si stanno rifocillando al ristoro di arrivo e mi aspettano per ripartire. Salutiamo Massimo e gli organizzatori della Stage race, facciamo loro i complimenti per l’ottima organizzazione e ripartiamo con una piccola tappa di trasferimento su asfalto verso Varese ligure. E’ solo il primo pomeriggio e siamo carichi per pedalare fino a sera. Dopo un’oretta Giovanni e Luca aumentano il ritmo, Pascal cerca di stargli dietro, io invece comincio a soffrire il gran caldo lungo la salita e mi fermo spesso per alimentarmi e riposare qualche minuto. Sono in leggera crisi, so che devo mangiare un po’ più spesso del normale, ma non mi spavento.
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Con calma arriverò al passo del Bocco, e domani sarà un’altra giornata. Cominciano i saliscendi caratteristici dell’alta via dei monti liguri. Quando sembra di essere arrivati in cima, c’è ancora una collina da passare, e allora giù e su. Quando invece sembra che debba iniziare una lunga discesa, c’è ancora una cresta da attraversare, e poi un’altra. E allora su e poi giù. E’ qui che entra in gioco la testa, mai porsi un obiettivo o avere una speranza, bisogna accettare quello che viene, che sia salita durissima o discesa impegnativa e continuare a pedalare. Tanto prima o poi si arriva!
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Ad un certo punto scorgo Pascal non tanto lontano e in breve lo raggiungo. Adesso è lui a essere in leggera crisi, gli indico una fontana e finalmente riempiamo le borracce ormai vuote. Quando ripartiamo manca ormai poco al passo, ma lui rimane un po’ indietro. Verso le 20.30 arrivo al rifugio. Giovanni, Luca e lo staff sono arrivati da mezz’ora, Pascal arriva 20 minuti dopo e si decide di dormire nelle comode camere del rifugio, visto che l’indomani la tappa sarà molto, molto impegnativa, con tante ore di portage. Cena con pastasciutta e cinghiale e alle 23 siamo a letto. Oggi abbiamo fatto 110 km e 3400 metri di dislivello come previsto.
Sveglia alle 4.15 e partenza prevista prima dell’alba, alle 5. Purtroppo nella notte il cinghiale ha continuato a galoppare nel mio stomaco e ho dormito poco e male, forse un paio di ore. Mi alzo, vado in bagno e mi libero, ma ho la bocca completamente secca. Ci vorrebbe almeno un tè caldo, ma il bar è naturalmente chiuso e riesco a mangiare a fatica un paio di dolcetti avanzati dal ristoro di ieri. La giornata non inizia sotto i migliori auspici, ma intanto partiamo e poi si vedrà. Si parte subito con la bici in spalla,
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prima 10 minuti, poi 30, poi ancora 40 fino ai 1690 metri del monte Aiona. Lo stomaco non sta benissimo e faccio fatica ad alimentarmi, ma sono nel mio ambiente preferito e un po’ alla volta riprendo le forze.
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Luca ha un gran passo in salita e mi stacca, ma quando inizia la discesa è costretto a fare molti tratti a piedi, mentre io con la fat full e la sella bassa scendo allegramente e lo raggiungo senza problemi. Dal monte Aiona a la Sguazza ci sono più di mille metri di discesa molto bella e varia, specialmente l’ultima parte su sentiero tecnico con sassi e scalini a volontà. Me la godo tutta, è la giusta discesa che ripaga di tante ore a spinta. Ci ritroviamo a Belpiano prima di mezzogiorno e finalmente posso bere un tè caldo. Non c’è però Pascal, che probabilmente ha mancato un bivio in discesa e si è perso da qualche parte. Mentre l’organizzazione cerca invano di contattarlo, ci concediamo un po’ di riposo, mangiamo qualcosa e ripartiamo.
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La prevista pioggia ci ha graziati fino adesso, ma improvvisamente tuoni e fulmini si scatenano. Un ora di pioggia battente e non c’è giacca antipioggia che regga! Sono fradicio e solo e sto portando la bici in spalla su un sentiero quasi verticale, in un territorio sconosciuto verso il rifugio Caucaso. Sul road book sono previsti 5 minuti di portage, invece è mezz’ora che cammino scivolando sulle rocce bagnate. Ecco, questa è la ricerca del limite, questo è quello che sto cercando. Arrivo a Barbagelata, trovo la trattoria della Giassina dove gli altri si sono da poco fermati e ordino una doppia porzione di lasagne. Mi portano anche un piatto di carne, ma la giornata è ancora lunga e non è il caso di esagerare, riempio due panini e li metto nello zaino come scorta. Giovanni è già partito, Pascal non si vede e io riparto con Luca.
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Ci aspetta adesso un tratto molto impegnativo verso il passo del Colletto con tanti tratti di portage. Purtroppo la nebbia ci impedisce di godere del panorama dalle creste. Tratti a spinta si alternano a bei sentieri pedalabili nel bosco, poi un tratto molto tecnico e smosso in discesa. Supero Luca senza problemi e lo aspetto in fondo. Dopo qualche minuto arriva spaventato e claudicante, ha tentato anche lui di fare la discesa in sella ed è finito in una scarpata, fermato per fortuna da un albero. Purtroppo però si è fatto male ad una spalla, ma per il momento riesce a continuare. Gli sto vicino fino a Montaggio, dove arriviamo verso sera ed entriamo in una pizzeria, dopo aver chiesto se nelle nostre condizioni, bagnati e infangati, ci accettavano. Nel frattempo arriva anche Giovanni e lo staff sul defender e decidiamo di cercare un b&b in paese, visto che siamo tutti piuttosto stanchi. Il nostro programma era di fare altri 27 km fino a Isoverde, ma la pioggia ci ha rallentato e una buona doccia ci rimetterà in sesto. In ogni caso abbiamo fatto 100 km di sentieri e portage e 4000 metri di dislivello con la pioggia, perciò siamo soddisfatti. Alle 22 ricompare anche Pascal, ha ripreso la traccia e con calma è riuscito a raggiungerci, bravo!
Alle 4.20 suona la sveglia, ma la giornata non comincia bene. Fuori tuoni, fulmini e pioggia, mentre Luca non sta bene, è dolorante per la caduta di ieri, non ha dormito niente e decide, a malincuore, di ritirarsi. Salutiamo l’amico, diamo un’oliata alle bici e partiamo prima dell’alba. Giovanni è il primo, poi ci muoviamo anche io e Pascal. Al momento ha smesso di piovere, ma le previsioni non sono buone. Cominciano i su e giù e ricomincia anche la pioggia. E anche forte. Ma ormai siamo abituati, peccato solo che ci rallenti l’andatura, visto che sentieri e forestali sono pieni di fango e grandi pozze che è meglio evitare a zig zag per non rimanere impantanati. Anche in questo frangente le grandi gomme della fat danno il meglio. Dopo tre ore arriviamo a Isoverde e possiamo fare finalmente colazione. Al bar troviamo Giovanni che si sta già rifocillando. Tè, caffè, cornetti a volontà, che goduria! Un salto in bagno, pieno di acqua e possiamo ripartire. Esce anche un timido sole. Lunga salita verso colla di Praglia, bella ma dura discesa verso il passo del Veleno e poi lunga salita verso il Faiallo. Pascal va avanti, io ho un attimo di crisi e mi fermo a mangiare un gel.
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Con calma arrivo al rifugio Faiallo, la fame è tanta e mi fermo a mangiare una pasta insieme allo staff, mentre Pascal continua. Quando riprendo il tempo peggiora nuovamente, tuoni e fulmini in lontananza, ma per fortuna sulla cresta del monte Reixa sono sopravvento, tanto vento ma poca pioggia. Cresta lunghissima e infinita, salgo e scendo in un ambiente selvaggio, spingo, ho il vento in faccia e non lontano tuona, sono solo nella nebbia e ho già fatto 3000 m/d, ma me la sto godendo.
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Ancora un po’ di salita, ma già mi sto pregustando la discesa dai 1290 del Beigua fino alla quota zero di Varazze. Eccomi in cima, adesso 25 km di discesa (e qualche risalita, che non guasta mai!) fino al mare. Divertimento assoluto, prima sentiero scassato, poi sulla pista dh, salti, paraboliche, ripidoni e qui la scelta della fat full con zaino si conferma perfetta.
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E a seguire giù sul sentiero FS, l’unico che già conosco, mi ci aveva infatti portato due anni fa il suo creatore, il grande Riccardo Dongo di Varazze. Anche qui divertimento a gogò, e giù in velocità sulle incredibili compressioni del bellissimo sentiero. Alle 19 sono a Varazze, dopo l’ultimo tratto di ciclabile sul mare, e ritrovo Giovanni e Pascal.
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Giovanni è sfortunatissimo, si era già avviato verso il Giovo, ma è dovuto tornare indietro perché ha rotto la ruota libera. Nei negozi il ricambio non si trova, ma l’intervento di Mauro e dello staff riesce a risolvere il delicato problema. Intanto io e Pascal ci mangiamo un paio di panini sul lungomare.
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Sono le 20, Pascal e Giovanni decidono di fermarsi a dormire a Varazze, io invece ho ancora energie e decido di proseguire verso il colle del Giovo, visto che sono in ritardo sulla mia tabella di marcia. Salita dura verso il santuario, anche questa l’avevo già fatta insieme a Riccardo, ma con lo zaino pesante è veramente durissima. Poi arriva il buio, accendo le luci e proseguo sul sentiero per Alpicella. Stretto, tratti esposti e tratti a spinta, fatto col buio è veramente impegnativo. In più i versi dei vicini cinghiali nel buio sono piuttosto inquietanti. Ma anche questa è una bella esperienza. Dopo il paese ancora sentiero al buio con portage, forestali in salita e in discesa e finalmente, dopo le 1.30 di notte, sono al colle del Giovo. Più di 110 km e 4000 m/d, per oggi può bastare. Il tempo è migliorato, tiro fuori il sacco a pelo e mi addormento sotto le stelle, fantastico!
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