Da tanto tempo frequento la valle del Lys. Le cime del Monte Rosa sono mete ambite: in estate per le classiche salite alpinistiche, in primavera per lo sci-alpinismo ad alta quota e in inverno per le molte possibilità di sci fuori pista. C’è poi una fitta rete sentieristica che accontenta anche i palati più fini degli escursionisti. Già, ma per noi bikers?
A parte la valle principale, servita dagli impianti di risalita e dalle relative strade di servizio alle piste da sci (ripidissime), il resto del territorio non si presta granché alla pratica della MTB. Questo perché l’orografia di questa valle non è proprio l’ideale. I fianchi sono molto ripidi a bassa quota e non sono percorsi da strade o mulattiere pedalabili; in compenso i sentieri promettono discese lussuriose, a patto però di accettare di portare in spalla la MTB per salire.
Studiando sulle mappe le varie possibilità, una in particolare mi attirava. Una valle “sospesa”, un altipiano che dalla quota di circa 1850 mt. conduce, con andamento da Ovest a Est, ad un passo a circa 2500 mt. con un percorso lungo 6 o 7 km., quindi con pendenze non troppo severe: la valle di Lòò.
Sulla questa valle una leggenda racconta che nel 1600 circa questo territorio sia stato testimone di feroci dispute tra i walser del versante del Lys ed i montanari della Val Sesia che avevano valicato il colle per portare il loro bestiame ai pascoli più alti. Si narra che dopo una di queste battaglie il Lòòbach diventò rosso per il sangue versato dai contendenti.
In alto dicevo che la conformazione è quella tipica di un altipiano alpino e quindi molto promettente in quanto a pedalabilità, ma per arrivare in quota? Il sentiero che sale dal fondovalle è inconfutabilmente impedalabile già solo vedendolo sulla carta e quindi bisogna accettare la fatica di scammellarsi la MTB sulle spalle per circa 500 mt. di dislivello. Non ho il coraggio di invitare nessuno per andare in espolrazione, il rischio di essere sfanculato è altissimo e quindi andrò da solo.
Il sentiero che parte dalla località di Loomatten è un’opera d’ arte. All’inizio è una mulattiera, dapprima lastricata e poi anche gradinata, che si inerpica con pendenze sempre sostenute, per consentire di raggiungere rapidamente i pascoli e gli alpeggi del vallone. Evidentemente le gambe di coloro che la costruirono nei secoli scorsi erano ben allenate.
Attraversato il torrente su un ponte in legno si prosegue raggiungendo una grande pietraia. Anche qui il lavoro per lastricare questo tratto dev’essere stato tutt’altro che semplice. Salendo alcuni tratti minano le mie certezze sulla fattibilità della discesa in bici, staremo a vedere, mi dico.
Poco dopo aver passato una area di sosta con tavolo in pietra e relative panche la pendenza diminuisce ed in breve sono proprio all’inizio della valle vera e propria. Ancor prima di raggiungere l’alpeggio di Onder Lòò monto finalmente in sella e la mia schiena ringrazia sentitamente, passo il gruppo di baite e seguo la mulattiera principale che si lascia pedalare e con qualche su e giù arrivo a Bodma, un luogo antico, molto suggestivo, impreziosito da bellissimi muri a secco che segnano a tratti il percorso della mulattiera separandola dai pascoli.
Proseguo quasi sempre in sella e raggiungo il bellissimo nucleo di Ober Lòò dove una minuscola chiesina riporta la data del 1682. Sono a circa metà valle e da qui la bici si spinge, il sentiero non è mai molto ripido ma il fondo irregolare non consente di pedalare. Poco male, l’ ambiente è magnifico e mi guardo attorno volentieri. Una curiosa montagnetta, il monte Kick, divide in due la valle, il sentiero lo aggira a destra e poco oltre riesco di nuovo a pedalare per qualche tratto.
Incontro un paio di giapponesi che mi dicono che stanno provando il percorso per l’Ultratrail TOR de Jeant che si correrà tra un mese: 330 km per 24.000 mt. D+! Quest’ anno poi, per la decima edizione ci sarà anche una versione più lunga (!), 450 Km. e 32.000 D+. Mi sento proprio un povero tapino.
Passato un crocevia segnalato da una specie di obelisco, il sentiero non è più così evidente ma in breve sono alla meta: il colle di Lòò. La vista sul gruppo del M.te Bianco e delle Grandes Jorasses è notevole.
Pausa ristoratrice, su le protezioni e via. La parte alta alterna tratti semplici molto flow ad altri più complicati (salendo non l’ avrei detto) nonostante la scarsa pendenza, in certi passaggi ringrazio sentitamente i ruotoni da 29”. Raggiungo l’alpeggio principale ed il pastore mi chiede da dove diavolo arrivo in bici, segno che probabilmente non se ne vedono molte da queste parti, mi fa i complimenti e ci salutiamo (fa una toma buonissima ma non ho troppo spazio nello zaino). Arrivo velocemente, e con il solito sorriso ebete stampato in faccia, all’inizio del tratto finale: 500 mt. di dislivello rocciosi, attorcigliati e scorbutici.
Il sorriso lascia il posto alla concentrazione. Rompo il ghiaccio su una prima rampa con gradoni abbastanza alti. Ci sto a pensare su un pò prima di partire, forse anche perché son da solo, poi mi sciolgo e vado. Da qui in poi è una sfida continua con me stesso per stare in sella anche sui tratti più complicati. Usando il linguaggio dei climber direi che qualche spit l’ho tirato (qualche volta il piede lo appoggio), qualche tornante non riesco a chiuderlo (i nose-press a destra non c’ è verso che riesca a farli, ma succede anche a voi?), ma nel complesso faccio praticamente tutto in sella. Sinceramente salendo non ci avrei scommesso 1€.
Arrivo a Loomatten e puccio il mio “bel” faccione, casco compreso, nella fontana per abbassare la temperatura corporea. Una bella soddisfazione aver scovato questa perla nascosta, qualcuno dirà “una perla per pirla”, sarà, ma come dice un mio caro amico “non a tutti piace il tartufo”.
P.s. Visto che non ero sicuro che mi fosse piaciuta, due giorni dopo ho pensato bene di ritornarci per rifare tutta la parte bassa. Le foto me le ha fatte mia figlia e portate pazienza se il soggetto son sempre io!
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