Megavalanche experience 2011 – Alpe d’Huez

“Alarma… El ritmo fatal… La bomba… Alarma!”
Chiunque abbia partecipata alla Megavalanche dell’Alpe d’Huez, nel sentire queste parole, sente un brivido di adrenalina, un brivido in ricordo delle discese a rotta di collo ai 3300m del ghiacciaio del Pic Blance, in mezzo a 400 persone che contendono con le unghie e con i denti la loro posizione, in mezzo a macigni, ripidi sulle pietraie di alta montagna, gente che cade, neve fino ai mozzi.


Il Pic Blanche (piramide al centro) e la Dome de Rousses (panettone sulla sinistra, sul cui lato sinistro si intravede l’arrivo della funivia che sale da OZ) al nostro arrivo la Domenica sera: una giornata limpidissima, senza una nuvola!



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E’ questa la Megavalanche, la gara forse più conosciuta del panorama gravity mondiale, evento che riesce a riunire 2000 e passa riders provenienti da tutto il mondo.

Per chi non conoscesse la formula di gara, beh è semplice. 400 riders si sfidano su una discesa di 30 e passa km, partendo dai 3300m del Pic Blanche fino ad arrivare ai 720m di Allemont. Il percorso attraversa il ghiacciaio, forse la parte più spettacolare della gara, con i primi riders che raggiungono velocità prossime ai 100km/h, poi si butta sulle pietraie di alta quota, si passa poi per i pascoli, si incontrano alcuni tratti di salita e poi una picchiata finale nel bosco, ricca di tornanti stretti e radici porta i concorrenti verso il traguardo, dopo quasi 1h di gara.

Inutile dire che la Mega oltre che una gara è anche un evento… Riders da tutto il mondo invadono il paese dell’Alpe d’Huez e per l’occasione vengono organizzati numerosi eventi collaterali, a cominciare dall’ Enduro di Vaujany, alla Dh di OZ, per passare poi ai numerosi party presso i locali dell’Alpe.

Quest’anno ci siamo organizzati in 5 e abbiamo affittato un appartamento, per l’intera settimana precedente alla gara. L’Alpe d’Huez è talmente bella che si può tranquillamente girare una settimana intera senza annoiarsi.


La casa dei bikers: quando si è in 5 in un bilocale, la roba si mette un po’ dove capita… D’altronde siamo qui per girare, non per tenere in ordine la casa!

L’obiettivo, per lo meno per quattro di noi, era di qualificarci per la mega e chiuderla in maniera discreta, almento nella prima metà. Eh si, perchè alla Mega il livello è decisamente diverso da quello delle gare italiane… Basta solo vedere i nomi nella griglia di partenza.

La qualifica

Inutile dire che con il tempo a nostra disposizione, abbiamo avuto modo di provare più volte i tracciati di gara e qualifica, anche se ci siamo concentrati di più sulla seconda. Per partecipare alla Megavalanche è necessario piazzarsi tra i primi 34 di ogni batteria, batterie composte da 200 persone. Non sono ammessi errori, insomma.

La qualifica parte dall’arrivo della funivia Dôme des Rousses (2810 m), per concludersi poco sotto l’Alpe al villaggio di Huez (ca 20 minuti per i primi!). La partenza si svolge su strada di alta montagna con numerosi tornanti, dove si combatte con il coltello fra i denti per guadagnare una buona posizione. Spallate, gomitate, gente che esplode in mezzo alla massa: un botta di adrenalina come poche! Per fortuna, nonostante l’esplosione di Nicolas Voilloz a pochi metri da me, che stavo sfruttando come lepre per portarmi avanti nel gruppo ed altre cadute, riesco comunque a tenere un buon piazzamento. E’ molto importante arrivare bene alla fine della strada.
Finiti i tornanti, il percorso procede poi con uno spettacolare passaggio su dei placconi di roccia. Linea libera, si cercano alternative per evitare gli imbottigliamenti. Individuo subito una linea che dopo buttarsi a picco su un piccolo nevaio, supera un drop naturale di ca 1,5m e poi si sposta sulla SX evitando il secondo nevaio grazie ad un ripidone di roccia. Senza quasi volerlo scelgo la linea migliore e riesco a passare un bel po di persone. Superato un pezzo di stradone tutto da rilanciare dove i sorpassi si sprecano, il percorso si butta nel tratto più tecnico. Questo è il punto più critico. E’ estremamente importante arrivare davanti per evitare i tappi, ma grazie a quella linea sul placcone, ora sono ben piazzato e posso andare di conserva.


Men’s line e chichen line: i veri uomini tagliano sui roccioni!

La reazione di chi, dalla telecabina, vede per la prima volta dove passa il percorso della qualifica, è essenzialmente di sconforto. La pendenza, l’esposizione, la presenza di gradoni, la vista di tutti quei rider fermi che scendono a piedi, la gente che cade, le reti spezzate, i soccorritori pronti a recuperare i morti, mettono angoscia anche al rider più esperto. Pensare di buttarsi da un percorso del genere in una batteria di 200 persone che se cadi ti schiacciano, ti fa subito pensare “perchè non sono rimasto a casa?”
In realtà poi, quando ci si trova li, le cose diventano molto più facili. Sarà l’adrenalina della gara, ma una volta capito dove si deve passare e che con un po di coraggio se ne esce vivi, tutto si fa più semplice.


Riders sul tratto più impegnativo della qualifica: c’è chi studia le linee di quelli più forti, chi prova nuove traiettorie e chi scende a piedi. In prova spesso era difficile passare tanta era la gente ferma sulle strette e soprattutto ripide passerelle.

Superato questo tratto tecnico, il resto è una passeggiata. Curve, controcurve, salti, gobbe, polvere, ghiaia, tagli. Il resto del percorso è abbastanza flow, anche se ricco di buche e traiettorie alternative, necessarie per riuscire a fare qualche sorpasso. Per ora l’obiettivo è chiudere le traiettorie e non cedere alla pressione: sono davanti, devo giocarmela sulla difensiva per non perdere posizioni.


Sponde e polvere fanno da padroni all’alpe d’Huez. Oltre ai percorsi della gara comunque il bike park offre numerose piste, una meglio dell’altra!

Finito il tratto di discesa e superato un guado con un ripido da fare a piedi, inizia il tratto pedalato. Le gambe sono di gelatina: il fondo scassato e il ritmo elevato per evitare di farmi passare si fanno sentire… Non importa comunque, devo alzarmi in piedi e pedalare, altrimenti addio Mega!

Finito il pezzo da pedalare, inizia un tratto ricco di panettoni, doppi, tripli. C’è traffico, quello davanti a me non va avanti. Il sentiero è troppo stretto per superare: si rischia solo di incastrarsi nelle reti. Vabbè, meglio recuperare qualche energia per lo sprint finale.

Quelli dietro però non ne vogliono sapere. Spingono e premono. Approffitando di una fettuccia strappata, in due tagliano una chicane e vanno davanti, altra fettuccia strappata ed altri due furboni tagliano. Sale la carogna: non ci si può far sorpassare così! Aumento il ritmo. Ad un tratto nuova chicane: ripido e poi curva a gomito e 3 scalini da salire. Quello dietro però decide di passare. Arriva, una spallata e mi spinge contro un parapetto. Freno per evitare la caduta, allargo la curva e altri due mi passano all’interno, proprio prima degli scalini. Ormai è bagare… Adesso ci sono gli scalini. Con un bunny hop salgo agevolmente, gli altri due che mi hanno appena passato invece non sanno ollare e si piantano sulle scale. Una risata satanica mi prende. Adesso c’è un tratto pedalato, cerco di passare quello che mi faceva da tappo. Inutile, sembra avere un motorino nelle gambe… E’ sempre così, quelli che non vanno avanti in discesa pedalano come delle furie.


Panoramica sul tratto tecnico della qualifica. Solo guardando attentamente si vede dove passa il sentiero, in mezzo alle rocce sulla sinistra.

Ora il percorso si stringe… Io e quello davanti arriviamo affiancati. I manubri si toccano nelle strette curve su asfalto. Ad un certo punto rumore secco, prendo una transenna. Questa oscilla pericolosamente, ma il pronto intervento di un commisario evita che si ribalti contro di me… Comunque sono dietro ed ora non si può più passare fino al traguardo.

Quello davanti è scoppiato… Prende le curve seduto, segue delle traiettorie assurde e non va avanti. Penso a dove sorpassarlo, ma non è che io sia poi così fresco da azzardare un sorpasso tra le sponde in mezzo alla polvere. Mi accodo: tanto sono abbastanza avanti e dovrei essere qualificato.

Ad un certo punto, come una mano dal cielo, la ruota davanti del nostro amico scivola oltre la sponda, lo sterzo si chiude e la caduta è inevitabile. “Finalmente!” penso, ora si pul aumentare il ritmo… Ma quello davanti è lontano, troppo lontano, ormai imprendibile. Vabbè è finita. Quelli dietro non mi possono passare, troppo stretto qui. Andiamo tranquilli, ormai quel che fatto è fatto. O almeno così credevp.

I nostri amici francesi dell’organizzazione hanno pensato di mettere, con una transenna, un simpatico tornante in salita subito dopo l’uscita sull’asfalto, tornante di cui ovviamente ignoravo l’esistenza visto che fino alle 18 del giorno prima non c’era alcuna traccia. Sono cotto, ci arrivo con il 32-11, sella bassa… Impossibile pedalare. Scendo e spingo, ma in 2 mi sorpassano. Ormai comunque è finita. Ultimo giro di boa attorno al campo sportivo e c’è il traguardo. Quelli davanti a me sono pochi: è praticamente sicuro, dovrei essere qualificato per la Mega!


Primi tornanti subito dopo la partenza (fotogramma tratto dal video dell’elicottero). Sembra facile, ma il fondo è pieno di pietre che fanno andare la bici dove vuole lei!

Guardo i risultati: 23°. Non male, ma poteva andare meglio. Degli altri italiani ottimo 7° posto di Gabriele Tarsia Incuria (Hero sul forum) e 8° posto di Alex Lupato. Anche Franco Manera (24° subito dietro di me nella stessa batteria) e Paolo Caramellino si sono qualificati per la Mega. Degli italiani anche Basini Alessandro, Matteo Testa si qualificano in fila L.
Alla fine saremo 7 italiani qualificati, un po pochini rispetto agli oltre 50 iscritti, ma si sa che su 2000 persone da tutto il mondo, arrivare tra i primi 400 non così semplice.
Il nostro amico Andrea Scappini (freerider86), che aveva ottime probabilità di qualificarsi, ha bucato: per lui addio Mega e partenze di gruppo, dovrà partire nell’Affinity. Sottocornola anche ha avuto sfortuna… Un kamikaze l’ha tamponato sullo stradone facendolo volare in un dirupo in mezzo alle rocce. Forcella distrutta, casco sfasciato e gomito aperto, si è dovuto ritirare.

Soddisfatti del piazzamento, io e Gabriele (Hero) insieme a Franco Manera e Alex Lupato proviamo una volta il percorso della gara. Meglio almeno farci un giro, piuttosto che andare alla cieca. Purtroppo non abbiamo potuto provare prima perchè il ghiacciaio era chiuso per vari motivi (lavori, meteo, temporali), ma l’importante è memorizzare i passaggi più importanti e soprattutto trovare traiettorie per sorpassare.

La gara


Chi non ha mai partecipato alla Mega deve sapere che la partenza ha qualcosa di mistico. Paritre in 400, su una ripida pista da sci su un ghiacciaio a 3300 è qualcosa di unico. L’imponenza delle montagne, il freddo che ti entra fin dentro le ossa, il vento. 1 ora e mezza ad aspettare che la funivia del Pic Blanche imbrachi tutti i partecipanti. Ci si ripara come si può, la temperatura è sotto zero. Chiusi nei bagni, con i caloriferi al massimo, si beve il the bollente offerto dall’organizzazione.


Bici allineate pronte per la partenza. I tempi di posizionamento in griglia dei quasi 400 rider della Mega sono lunghi e si può quindi lasciare la bici in griglia e fare una ricognizione a piedi del tratto dopo la partenza. I pro ne approfittano per pulirsi le linee e riscaldarsi.

Tra una parola e l’altra arrivano le 8: è ora di mettersi in griglia. La partenza è prevista per le 9. Ci si posiziona, per fortuna la zona di partenza è un po’ riparata dal vento. Il cielo non promette nulla di buono, gli organizzatori fremono per cercare di capire se è in arrivo un temporale o meno. A quella quota i fulmini sono molto pericolosi…

Ormai sono le 9 meno un quarto. La tensione sulla griglia di partenza si può tagliare con un coltello. C’è chi scherza e chi ride, ma si vede che l’adrenalina scorre a fiumi tra i partecipanti. Ora del briefing: lo speaker, prima in francese e poi in inglese comunica “La pioggia della notte ha creato delle lastre di ghiaccio vivo sul ghiacciaio. Fate attenzione. La gara è lunga, non andate ad uccidervi sul ghiacciaio”. A cosa andremo incontro?


Alarmaaa… L’elicottero a pochi metri dai rider, la musica che aumenta di vuolume: tutto è pronto per la partenza!

Ormai è ora della partenza. Una discreta folla si è radunata attorno alla partenza della gara. L’elicottero si avvicina, la musica pompa i corridori. La gente spinge, cercando di recuperare metri preziosi. Si alzano le fettucce, si parte.

Il primo tratto dopo la partenza è veramente allucinante. Ciottoli enormi, gente che corre a piedi ovunque. Quelli che hanno puntato alla discesa sulla neve hanno un’amara sorpresa: è gelata. Le cadute si sprecano, c’è gente che cade a piedi, gente che si ribalta nella neve, massi che rotolano e ti prendono le caviglie: è veramente difficile anche solo correre a piedi nella morena. Cado, scivolo, mi passano in diversi. Una vera bolgia infernale, ma che ti da una carica di adrenalina incredibile.

La discesa procede ora più tranquilla. Il gruppo si è un po sgranato, il percorso scende ripido sullo sfasciume ed attraversa alcuni nevai. E’ importante seguire le traiettorie pulite, altrimenti rischi di spaccare qualcosa sulle pietre. E rompere anche solo il cambio significa buttare la gara.


Il tratto di ghiacciaio: il percorso di gara scendeva proprio sul ghiaccio vivo. Un vero jolly!

Si arriva quindi al ghiacciaio. Il percorso infatti procede prima a mezzacosta sul ghiaccio vivo, per poi buttarsi sulla massima pendenza seguendo la lingua del ghiacciaio. Se nei giorni precedenti il ghiaccio misto a sabbia garantiva un discreto grip, la pioggia della notte ha giocato uno simpatico scherzetto, come ci era stato annunciato durante il briefing. L’acqua, caduta nella notte, a contatto con il ghiaccio si è gelata istantaneamente, formando delle placche di ghiaccio vivo su cui è impossibile stare in piedi.
La gente cade all’improvviso, non apena le ruote toccano le lastre. Non c’è una logica, ogni tanto quello davanti a te si sdraia e tu sai benissimo che se non trovi una traiettoria alternativa sei destinato a fare lo stessa fine. Si punta allo sporco, ma le canaline dello scioglimento del ghiaccio ti fanno andare dove vogliono loro. Per fortuna il ghiacciaio finisce, ma ho perso molto tempo e posizioni, anche perchè sono finito fuori traccia, finendo troppo in basso.


Stipati come sardine, destinazione Pic Blanche!

Il seguito della discesa è un lunghissimo traverso a mezza costa che attraversa chilometri e chilometri di montagna, dapprima sulla morena, poi in mezzo ai pascoli. Non mancano i pezzi pedalati, alcuni strappi sono veramente da cardiopalma, ma devi spingere. Testa bassa, respirazione costante e spingere. L’unico posto dove puoi passare è in salita, il sentiero non da scampo. Gabriele, che avevo superato sul ghiacciaio, mi raggiunge e mi supera. Inutile cercare di resistere, ne ha decisamente più di me, soprattutto in salita non me la posso giocare con lui. Rimango imbottigliato, soprassare è impossibile. Alcuni tratti che in prova ho fatto tranquillamente in sella, ora per il traffico si devono fare a piedi. Ed andare di corsa a quasi 3000m di quota ti spezza il fiato…

Ormai siamo nei pressi dell’alpe. Lungo mezzacosta pedalato, poi ci aspetta una lunga rampa per superare una collina e poi buttarsi giù sul ripido sentiero che porta ad OZ. La salita è piuttosto lunga, il fiato non c’è, la gamba dev’essere rimasta da qualche parte poco prima dell’Alpe. Non importa comunque, bisogna alzarsi in sella e pedalare. E’ una parola… Ci provo, incitato dal pubblico, ma lo scatto in fuorisella dura solo pochi metri. Bene… A questo punto la tattica è una sola: rapporto agile, seduti sulla sella e via a mulinellare!
La tattica funziona. Supero parecchie persone, ormai esauste. So che devo dare tutto, poi sul sentiero non si può più sorpassare. Non male. Ho passato tutti quelli che potevo sorpassare, ora davanti a me c’è il vuoto.


La quiete dopo la tempesta: il lungo traverso subito dopo la salita dell’Alpe d’Huez.

Forse ho dato troppo però… Le gambe bruciano, il sentiero diventa ripido, sempre più ripido ed impegnativo. Quello dietro pressa, vuole passare. Mi accorgo che gli sto facendo da tappo e ne approfitto di una curva presa male per farlo andare avanti. Se ne ha così tanto più di me è giusto che vada avanti. Cercherò di sfruttarlo come lepre.

Il sentiero ora inizia un tratto impegnativo in mezzo a delle grosse radici. Radici, polvere e sabbia che non ti fanno vedere la traiettoria. Per fortuna è il percorso della qualifica dell’anno scorso, quindi vado a memoria. Braccia e gambe non le sento più, un forte male alle mani rende ormai difficoltosa la presa sul manubrio. Per fortuna siamo ad OZ, adesso ci aspetta un lungo traverso su una strada bianca liscia come il biliardo.

Iniziamo la strada bianca, sella alta e 32-11. Troppo poco il 32-11, in un batter d’occhio comincio a mulinellare. Mi passano in diversi, pedalando… Eh si, forse sarebbe stata meglio una corona da 36. Inutile ogni tenativo di aumentare il ritmo, speriamo che la strada finisca in fretta, per limitare i danni. Inizia di nuovo il bosco, poi di nuovo strada bianca.

Di nuovo sentiero nel bosco, poi il percorso sbuca su asfalto. Velocissima discesa asfaltata, chicane, strappo in salita asfaltato. Ci arrivo più forte che posso, facendo una rasetta al muro di pietra nella chicane. Mi alzo in piedi sui pedali, 32-11, pedalo come un forsennato. Davanti a me c’è uno che non ne ha più: o lo passo adesso, o mi farà da tappo poi sul sentiero. Spingo, spingo, lo scollinamento sembra non arrivare mai. Ormai però ci sono quasi e son riuscito a passare.

Tornante e poi lungo traverso riposante. Il sentiero poi passa un guado, in cui perdo un pedale. Poco di male, lo riaggancio appena riesco. Niente non ne vuole sapere. Maledetti pedali… Il sentiero diventa ora più ripido. Accidenti, si vuole agganciare o no questo pedale? Niente… Va beh, scendiamo col piede appoggiato. Pessima idea. Ad un certo punto, una curva a sinistra con delle radici in contropendenza. Il piede scivola, lo sterzo si chiude e sbam, facciata nella polvere. Mi rialzo, praticamente subito, ma nel frattempo il trenino di 7-8 riders che avevo superato in salita mi passa… Fatica sprecata.


Andrea cerca di smontare l’Hammershmidt a mani nude (ovviamente non ce la farà): i problemi meccanici non sono mancati durante il we di gara, tra telai piegati, ruote bucate e cambi spaccati nessuno di noi ne è uscito indenne. Per fortuna molte rotture sono avvenute durante le prove, anche se Andrea è riuescito a bucare in qualifica e spaccare due forcellini ed un cambio in gara…

Ormai il danno è fatto: davanti a me ho il tappo, non ci posso fare nulla, fino all’asfalto, che non è così vicino. Dall’asfalto poi manca poco, inutile prendere rischi. Per fortuna quello davanti si riprende e dopo alcune curve in trenino alza un po il ritmo. Meno male.

Ormai siamo all’asfalto. Passo un po di persone. Quello davanti ha messo il turbo, o forse io sono scoppiato. Boh, non sono abbastanza lucido per capirlo. Rimango accodato, ormai si scende solo per inerzia. Sembro un comodino lanciato giuù da un dirupo, per fortuna i 180mm della Canyon lavorano al posto mio. Ultimo ripido, curva sulla stretta passerella che attraversa il fiume e ultimo rettilineo in piano. Ne approfitto per superare qualcuno. Alcuni si fanno passare senza opporre resistenza, altri due iniziano una volata. Eh l’agonismo… Quando sei in gara riesci a trovare la forza di fare uno scatto anche dopo un’ora di discesa ininterrotta.

Ad ogni modo arriviamo all’ultima curva, tutti e tre in piedi sui pedali. Scanniamo, manco stessimo vincendo il Tour de France. Sono in centro, riesco a tenere una traiettoria piuttosto rotonda ed arrivo per primo sul traguardo. Una piccola vittoria, ma che mi fa venire un sorriso a trentadue denti. L’anno scorso ero stato sverniciato proprio sul traguardo e la cosa mi aveva fatto rodere parecchio…

Alla fine chiudo 161, nella prima metà di classifica, secondo degli italiani. Gabriele (hero) è arrivato 2 minuti e mezzo prima di me, chiudendo 119°. Allessandro Basini chiude 188°, Matteo Testa 209°. Franco Manera, Alex Lupato e Paolo Caramellino invece si sono ritirati per rotture meccaniche. Peccato.

La vittoria assoluta va ad un informissima Remy Absalon (0:42:32,460 Commençal, Francia), seguito con quasi un minuto di distacco da Jerome Clementz (Cannondale, Francia) e praticamente a ruota da Rene Wildhaber (Trek Red Bull, Svizzera). Completano la top 10 Nicolas Vouilloz, Karim Amour, Olivier Giordanengo, Francois Bailly Maitre, Theo Galy, Ludovic May e Joe Barnes.


Presentazione della prima linea della Megavalanche: riconoscete qualche volto noto?

Rene era in testa dopo il ghiacciaio, voleva aumentare il distacco da Absalon ma ha esagerato ed è caduto, complice anche l’elicottero sopra di lui. Eh si… L’elicottero, se da un alto ti gasa quando ce l’hai sopra la testa, dall’altro crea un forte vento che ti può disturbare. Absalon ne approfitta e lo supera. Renè riparte e ricade, durante la salita Jerome lo supera e allora Renè deve combattere contro Vuoilloz per il terzo posto.

Insomma, anche quest’anno la Mega è riuscita a dare forti emozioni. Poco da dire, per me è la gara enduro per eccellenza, anche se comunque è abbastanza orientata alla discesa. Una gara dove non contano solo manico ed allenamento, ma anche capacita di improvvisazione, gestione delle eneregie e del mezzo, scelta corretta dei materiali, visto che le rotture sono sempre dietro l’angolo su quei percorsi.

Qui le classifiche complete

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I risultati delle gare del 23-24 luglio 2011

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