C’è un posto che mi ha sempre stregato: Zermatt. Pur non essendoci mai stato, le foto che immortalano il paesino svizzero con l’incombente piramide del Matterhorn sullo sfondo sono in qualche modo diventate il simbolo della montagna perfetta, quella che tutti disegnano: perfettamente triangolare, con della neve sulla cima.
Ho scelto una giornata particolare per, finalmente, andare a Zermatt: il 21 giugno, la giornata più lunga dell’anno. Le previsioni davano meteo perfetto, e così è stato. Ora vi scrivo da un campeggio ai piedi del Weisshorn, dove arrivano gli ultimi raggi di sole mentre il fondovalle è già nell’ombra.
Zermatt ha una particolarità: non é possibile arrivarci in auto, a meno che non si abbia un permesso. I turisti parcheggiano a Täsch, prendono il treno e arrivano in un paese dove circolano solo delle specie di pulmini elettrici che muovono da una parte all’altra un pubblico che con la montagna non c’entra niente.
Già, perché qui più che Schwyzer Dutch si parla inglese, cinese, giapponese, e l’età media è quella di chi si gode la pensione.
Però, se si sale in bici, si evita la tratta in treno con i turisti, che poi però fanno lo struscio fra le strade del paese obbligando a loro volta i biker a fare lo slalom. “Una volta nella vita turo il naso e salgo verso il Gornergrat con le masse”. Pago il biglietto (con il “metà prezzo”, preziosissima carta disponibile in Svizzera), carico la bici e salgo fino al Riffelberg, a quota 2400. La gentile cassiera mi ha infatti detto che al Gornergrat (3100 metri) c’è ancora troppa neve per poter scendere in bici.
Poco male, in fondo mi trovo esattamente dove volevo. Qui:
Mi aspettavo una selva di cartelli “divieto bici” o “discesa obbligata per le bici”. Niente. Scelta libera. Ovviamente mi fiondo sul sentiero che avevo notato durante la risalita in treno, incrociando un gruppo di teenager (!) americani che salgono a piedi e che si spostano subito molto gentilmente. Il tracciato, nella parte alta fino alla Riffelam, é pieno di rocce e alcuni resti di neve che occupano proprio le line migliori in alcuni tornantini. Non so se é più difficile evitare di mettere giù il piede per le difficoltà tecniche o perché mi voglio fermare ad ammirare il panorama, direi unico al mondo.
Dopo 1000 metri di dislivello arrivo a Zermatt, che nel frattempo si è riempita ancora di più di struscioni. Slalomizzo e mi volatilizzo, tornando a trovare la quiete durante la discesa su Täsch. Seguo poi la valle, fra sentieri molto flow e sterrate in riva al torrente, fino ad arrivare a St. Niklaus, dove prendo la seconda risalita meccanizzata del giorno. Non c’è altro modo per salire a Jungen, e per 15 franchi mi godo un viaggio in solitaria su una funivia mozzafiato (non solo per come vengono fissate le bici..).
Le montagne sono molto ripide, con sentieri esposti da paura. Per fortuna che scendo sull’altro versante, penso fra me e me quando arrivo in cima, nei pressi del paesino di Jungen, collegato al resto del mondo solo con la funivia o con un lungo sentiero (800 metri di dislivello).
E da qui inizia il delirio. Prima un po’ pedalando e spingendo, poi con un flow che mi ha lasciato a bocca aperta: un sentiero da mille e una notte si snoda fra pratoni alpini e boschi di larici e abeti, con un fondo liscio come un bigliardo (tranne la parte iniziale, un po’ smossa).
Le uniche parti esposte si trovano in salita, dove é consigliato spingere.
Da qui in poi, cioè in discesa, non vedrete più foto, dato che ero troppo esaltato per fermarmi ad immortalare il sentiero. La scarica di adrenalina finisce presso una rampa assassina, che mi costringe a spingere di nuovo, prima di arrivare ad una sorta di “Decauville”, cioè un sentiero costruito sopra una canalizzazione dell’acqua. Il tracciato scende quasi impercettibilmente, per permettere all’acqua di arrivare alle zone previste. Non so quanti chilometri ho fatto così, non li ho più contati. Il panorama sul gruppo del Rosa rimane fenomenale.
Qui sotto trovate la spiegazione dei canali di irrigazione, che esistono dal 1400. Spero che il vostro tedesco non sia troppo arrugginito.
Il sentiero passa per due gallerie, di cui una lunga e curva, quindi perfettamente buia. Tento di farmi un po’ di luce con la funzione “pila” del cellofono, poi per fortuna passo oltre la curva ed intravedo l’uscita.
Finalmente arrivo ad una strada carrabile, presso la Moosalp, che segna anche la fine delle mie fatiche in salita. Da qui, quota 2000, è tutta discesa fino a Visp (650). Prima sulla Decauville, poi su un sentiero pazzesco: velocissimo, con fondo boschivo, mai troppo ripido. La bici si lascia correre a tutta. Un must. Fra qualche interruzione dovuta ai ridenti paesini del vallese e qualche tratto sulla strada per la conformazione geologica più adatta al paragliding che alla mountain bike, arrivo in fondovalle, ormai sul distrutto andante. Sono solo pochi chilometri in discesa fino a Visp, dove compro il biglietto del Glacier Express per tornare a Täsch. Visto che ho 50 minuti di tempo prima della partenza, ne approfitto per farmi 2 birre, un lauto pasto ed un frappé alla fragola. Sono solo le 16:30, ma in questo caso mi pare ok tedeschizzarmi e mangiare con le galline.
Altro percorso, assolutamente da fare se siete in zona. Il resoconto lo trovate cliccando il link.