C’era una volta,
nel bel mezzo dell’Engadina, un Monte con un nome piuttosto curioso, che solo a pronunciarlo la lingua si ingarbugliava (M-U-O-T-T-A-S M-U-R-A-G-L). Sul Monte saliva una cremagliera, ossia un trenino su rotaia per turisti, appositamente pensato per raggiungere un bel pianoro in quota da cui si diramano svariati sentieri.
Tutti i biker che passavano di lì erano tentati di andare fin lassù comodamente, ma, aimè, venivano ogni volta respinti già alla biglietteria: “Non trasportiamo biciclette in quota!”, dicevano infatti con simpatico accento svizzero i lavoranti italiani della stazione.
Ma un giorno, purtroppo un po’ afoso e meno limpido di altri, alcuni ciclisti di provenienza italica decisero di sfidare la sorte, affrontando la temutissima salita per la Tegias da Muottas (2.454 m), senza alcun supporto oltre alle classiche due ruote.
Al principio era una strada, che prendeva quota senza esagerare con le pendenze. La sudorazione era normale e il battito solo leggermente accelerato. Poi diventava un sentiero, impegnativo ma persino piacevole da pedalare. Infine, oltre Sur Gianda Naira, le rampe, dure e cocenti, sotto il sole che, per un giorno in quest’estate avara di calore, faceva davvero il suo mestiere.
Per fortuna la quota ci pensava da sola a fornire un po’ di refrigerio e l’allenamento dei ciclisti era a prova di bomba; nel mentre la vista si rimpallava fra il Maloja e San Moritz, includendo in ogni direzione attraenti sentieri dalle sinuose serpentine.
Lasciandosi alle spalle la Tegia da Muottas, il cammino scelto portava verso il bellissimo Lej Muragl (2.750 m): un lungo traverso inciso nel pendio, ciclabile quanto basta per non mollare. Ma che importa spingere, quando c’è di che distrarsi semplicemente guardandosi intorno?
Polmoni, cuore e muscoli non erano però ancora autorizzati a rilassarsi, e bisognava resistere dal languire al bordo del lago: la prima vera discesa della giornata chiamava a gran voce, e la seconda, ancora lontana, non ammetteva ritardi.
Un tuffo ritemprante era comunque ammesso, ma non in acqua, piuttosto nel mare di pietre (o meglio nel ghiacciaio di pietre o “rock-glacier”) che accompagnava il trail nel suo primo tratto.
In pochi minuti davvero intensi l'”Ova da Muragl” era già storia passata, e, mentre i ciclisti guardavano con compiacimento quel che restava della loro discesa, cresceva l’apprensione verso il sentiero che ancora era da risalire lungo il versante nord-orientale del Munt de la Bês-cha. Già il nome metteva inquietudine, ma del resto quella era la via giusta, se non si voleva ritornare presto a valle. E così, rassegnandosi ad una lunga fatica, si procedeva per lo più bici in spalla.
Procedendo in senso inverso, frotte di escursionisti a piedi si compiacevano nell’instillare panico nel piccolo gruppo: mai come in quel momento (in cui i ciclisti s’affannavano a toccare ferro, o altro, se in dotazione..) il futuro sembrava incerto e pieno di nubi. C’era chi dipingeva i sentieri sull’altro versante come strettissimi, esposti, ripidi e soprattutto estremamente pericolosi. C’era chi sogghignava e rideva delle fatiche che attendevano poco oltre, aggiungendo laconiche frasi, come “E’ ancora mollllto lunga la vostra strada”.
Fortunatamente la pazienza è dote di cui i pedalatori non difettano, e il Munt de la Bês-cha, senza eccessiva fatica, era presto calpestato da svariate paia di scarpe tacchettate. La vista della Capanna Segantini (2.731 m), poi, era in grado di riaccendere l’entusiasmo e, anche se per poco, il morale restava alto.
In breve, infatti, due nuovi funesti eventi avrebbero colpito duro, facendo vacillare anche i più stoici:
1) il prezzo esorbitante della Coca cola al rifugio non permetteva di acquistare alcun altro vettovagliamento, rischiando di mandare in crisi ipoglicemica più di un elemento del gruppo;
2) il rifugista, che comparve scuro in volto, pronunciò poche lapidarie parole: “Lo sapete che qui la bici è vietata? Non avete visto i cartelli? Questi sono sentieri per genti vecchie!”
Frastornati da questi infausti e assolutamente inattesi eventi, non restava che abbandonare quel luogo ormai divenuto inospitale, mentre il sole si nascondeva in una lattiginosa nuvolaglia.
Pur col timore di incontrare genti vecchie lungo la via e il sospetto che queste potessero addirittura gettarsi nel vuoto al solo incrociare lo sguardo di un ciclista, era il caso di procedere. Le risorse di un biker, per fortuna, sono davvero infinite, e sui suoi terreni preferiti sa bene come motivarsi.
Ma dov’erano i sentieri stretti, ripidi ed esposti? Dove poi la “gente vecchia”? E i divieti?
Le domande si perdevano in un filo di polvere, mentre il ritmo cresceva rapidamente lungo trail vellutati e deserti, con una sequenza di tornanti che sembrava non finire mai. Gli scorci sui ghiacciai del gruppo del Bernina si altalenavano con altri sui laghi engadinesi in un continuo tam tam.
Da che parte guardare, in fondo, era solo questione di equilibrio, o al più di gusti…
Nonostante la luce ormai fosse lontana dal render giustizia al paesaggio, un clic ogni tanto cercava di catturare quei momenti di assoluto piacere.
Con rapidi movimenti di bacino, moderate frenate e qualche gioco a nascondino fra mughi e larici la quota calava rapidamente e la giornata volgeva al termine.
Il Monte poi è rimasto lì, e si narra che attenda nuovi bikers e nuove storie, per dimostrare una volta ancora che questo non è un sentiero per vecchi!
Itinerario: http://itinerari.mtb-forum.it/tours/view/13041
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