Ortles Ronda (secondo giorno)

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[Continua da qui] Sveglia alle 6.  Uno sguardo dalla nostra finestra e il Cevedale ci accoglie con la sua lingua di ghiaccio. La giornata sembra splendida anche oggi.

Colazione abbondante alle 6.30, anche perché sappiamo che il pranzo oggi salterà, per mancanza di rifugi nella zona del passo dell’Ables. Paghiamo e salutiamo il gestore (sconto soci CAI), infiliamo le nostre scarpe che si sono asciugate durante la notte e partiamo puntualissimi alle 7.30 alla volta del passo Zebrù.

La salita è molto facile e bella, la prima parte pedalata e poi a spalla, neanche 300 m/d e siamo già al passo. In effetti è uno dei 3000 più facili da conquistare in bici.

Ai 3005 metri del passo, si apre uno scenario a dir poco fantastico su tutta la valle dello Zebrù, dominata dalla incredibile piramide del Gran Zebrù.

Infiliamo la giacca, visto che la discesa è tutta all’ombra, e iniziamo a scendere su quello che si può sicuramente definire uno dei più bei sentieri delle alpi.

Tratti molto flow si alternano a tratti con sassi smossi, il tutto contornato da decine di cime rocciose tutte alte più di 3500 metri.

Ogni tanto qualche guado rallenta la discesa e ci costringe a scendere dalla bici. Meglio, c’è più tempo per alzare lo sguardo verso le alte cime.

Il sentiero è lunghissimo, sembra non avere mai fine. Da una parte le rocce, dall’altra ripidi e verdi prati.

E ancora guadi e cascate formate dagli estesi ghiacciai del gruppo dell’Ortles che stiamo circumnavigando.

Dopo 900 metri di dislivello si arriva alla baita del Pastore, riempiamo le borracce, mangiamo una barretta e ripartiamo sulla strada forestale che scende lungo la valle.

Anche nella parte bassa la valle è bellissima, con le tipiche baite in legno che sorgono sul verde dei prati perfettamente tenuti. Sono le 9.30. Da qui in avanti non troveremo più da mangiare fino allo Stelvio, decidiamo perciò di fermarci per una seconda colazione presso un ristoro per montain baik!

Cappuccino e torta fatta in casa meritano veramente e possiamo riprendere la nostra strada, ormai manca poco al primo bivio per il passo dell’Ables.

Ecco il bivio, il sentiero sale subito verticale, vedo sul gps che sono circa 250 metri di dislivello, mettiamo le bici in spalla e partiamo. Il problema si presenta quando bisogna passare un rio, il sentiero non si vede più per una recente frana e perdiamo un quarto d’ora per passare su tratti molto scivolosi ed esposti. Poi ancora salita ripidissima, questo tratto è veramente stancante e tutto al sole.

Mi chiedo se è valsa la pena di fare questa deviazione o se sarebbe stato meglio perdere quota e salire poi pedalando, ma finalmente si entra nel bosco e dopo un po’ il sentiero spiana, salendo in leggerissima pendenza, quasi tutto pedalabile e molto bello.

Arriviamo cosi già in quota, circa sui 2000 metri, ad incrociare la strada militare dell’Ables, con Bormio sullo sfondo.

La strada sale dolcemente su fondo buono, e meno male perché abbiamo ancora mille metri da superare.

Poi si trasforma in sentiero, rimanendo però sempre pedalabile e con belle viste sulla valle del Zebrù e il Cevedale.

Fino a 2650 metri la strada rimane abbastanza pedalabile, bisogna scendere dalla bici solo in qualche tornante franato.

Da qui in poi bici in spalla, su sentiero che sale deciso, con panorami molto belli sulle crode e verso la valle.

Purtroppo abbiamo finito l’acqua, fino ad adesso ce n’era in abbondanza, fontanelle, sorgenti, cascate e speravamo che anche qui fosse la stessa cosa. Invece niente, lungo tutta la strada fino in cima (e anche dopo purtroppo), neanche un piccolo ruscello, tutto secco e franoso. A quota 2850 il sentiero sparisce, mangiato da una estesa frana.

Rimangono solo i segnali biancorossi che ogni tanto individuiamo sulle rocce ad indicarci il sentiero. Il problema è che la pendenza è estrema e il terreno scivolosissimo, facciamo un passo avanti e due indietro. Riusciamo alla fine a passare questo tratto, si rivede un po’ di sentiero e speriamo che adesso vada meglio. Invece va molto peggio, il sentiero sparisce di nuovo, vediamo un segnale 20 metri più in alto, qui sarebbe già difficile passare a piedi e noi abbiamo anche le bici! Ci mettiamo quasi mezz’ora per fare questi 20 metri, il terreno è scivolosissimo e si rischia di finire 300 metri più in basso. Ancora un altro paio di passaggi esposti, siamo quasi a 2950 metri e ci sembra impossibile passare, ormai non riusciamo ad andare ne avanti ne indietro e siamo giù di morale, quando scorgiamo una galleria che sembra la nostra salvezza.

Finalmente riusciamo a fare qualche passo normalmente e uscendo dalla galleria vediamo la in fondo quello che ci sembra il passo. Lontano ancora ma finalmente raggiungibile, anche perché da questa parte il sentiero è in condizioni migliori. Ancora una mezz’ora e un paio di passaggi difficili e finalmente raggiungiamo la forcella, in ritardo sulla tabella di marcia, ma almeno la tensione si stempera sui nostri visi, anche perché da quassù il panorama è fantastico!

In effetti scopriamo di essere arrivati alla forcella sotto il bivacco Provolino, recuperato da una vecchia baracca militare della prima guerra mondiale, e scendendo una trentina di metri arriviamo al passo dell’Ables.

Siamo sulla parte nord, qui ci sono tanti nevai e ghiacciai e speriamo perciò di trovare acqua al più presto, visto che ormai da due ore siamo a secco e la barretta che ho mangiato mi è rimasta attaccata al palato! La prima parte del sentiero è completamente scomparsa, ma è lo stesso divertente buttarsi a grandi passi nel ghiaione facendo rotolare migliaia di sassi, in pochi secondi si perdono decine di metri di quota. Beh diciamo divertente per chi ci è abituato e si fida, Filippo invece se la prende un po’ più con calma ma alla fine arriva giù anche lui. Da qui si può ricominciare a stare in sella, anche se il sentiero ogni tanto ancora scompare e ci obbliga a scendere dalla bici. Segnalazioni nessuna tranne degli omini di pietra. Qui la traccia gps è obbligatoria! Il passo ormai è lassù in alto.

La vista sul ghiacciaio del Cristallo è molto bella, anche se ormai è di dimensioni veramente ridotte. Però non bisogna distrarsi troppo, visto che dopo 100 anni sono ancora chiaramente visibili i segni della guerra combattuta anche fra queste cime: migliaia di metri di filo spinato a monito, speriamo, per le generazioni future!

Continuiamo a scendere in un paesaggio lunare e più si scende, più la traccia è definita e pedalabile.

Finalmente il sentiero passa vicino al rio che scende dal nevaio. Con la bocca ormai completamente secca, prendo la borraccia e mi abbevero avidamente dell’acqua fresca ma non certo trasparente, anzi del color marroncino tipico dell’acqua di scioglimento dei nevai di fine estate. Ne offro a Filippo, ma lui mi guarda dubbioso e, pur assetato, declina decisamente l’offerta e preferisce aspettare situazioni migliori. Io invece ci sono abituato e so che non mi fa niente. Continuiamo a scendere sul ghiaione infinito. Dopo circa tre quarti d’ora di discesa, scorgiamo li in fondo i tornanti della strada che sale da Bormio al passo Stelvio, ma sono ancora lontani.

I primi ciuffi d’erba sbucano timidamente dagli infiniti sassi, e il panorama è superbo con il rifugio Pirovano e la funivia dello Stelvio che si affacciano sulla valle.

Di altra acqua nemmeno l’ombra, cosi Filippo si decide finalmente a forzare il suo istinto chiedendomi un po’ d’acqua della mia borraccia. E si accorge che è fresca ma anche buona. Adesso il sentiero è sempre più liscio e possiamo scendere più veloci.

Finalmente (per Filippo) dopo più di un’ora si esce dall’infinito ghiaione, a me invece i ghiaioni piacciono, anche perché con le gommone la bici galleggia sui sassi smossi facilitando la guida e aumentando il divertimento. Riempio di nuovo la borraccia di acqua glaciale, solito colore, e questa volta Filippo beve anche lui. Nelle situazioni critiche si impara in fretta!

Arriviamo al tornate della seconda cantoniera della strada dello Stelvio, un po’ mi dispiace perché la discesa è stata impegnativa con molti tratti a piedi nella parte alta, ma divertentissima nella parte bassa e tutta in uno scenario quasi lunare incredibile. Razionalmente invece sono contento, perché siamo in ritardo di un paio di ore sulla tabella di marcia, sono le 17.30 e dopo le 20 comincia a fare buio, e noi siamo ancora a 2100 metri e dobbiamo arrivare allo Stelvio a 2760 metri anzi, all’inizio del sentiero Tibet trail situato sopra al passo a quota 2840. L’ho fatto una volta, è bellissimo e non voglio perdermelo. Perlomeno se ce ne sarà il tempo prima che faccia buio! Calcolo di arrivare al passo per le 19. Dopo mezz’ora sosta presso una cascatella per altro rifornimento di acqua, e questa volta è Filippo a riempire il suo Camel back, mentre io fotografo questo “strano” adesivo posto da chissà chi!

Seconda sosta al passo Umbrail, è da stamattina alle 9.30 che non troviamo un ristoro e abbiamo tirato avanti a forza di barrette e avanzi di panini, perciò direi che 10 minuti per una torta e una coca li possiamo impiegare con molto piacere! Ripartiamo rinfrancati nel corpo e nello spirito, ormai il passo è vicino e poco dopo le 19 siamo in cima. I DID IT recita il podio per chi riesce a scalare il passo dello Stelvio, noi in effetti abbiamo fatto “qualcosina” in più e siamo proprio felici!

Ora tutta discesa fino alla fine, bisogna solo decidere quale. Manca meno di un’ora al buio e Filippo non se la sente di fare altri mille metri su sentiero impegnativo, è stanco e fa bene a prendere la decisione di scendere su asfalto. Gli do le chiavi della macchina, ci troveremo li. Io parto subito, ho ancora un po’ da risalire, prima pedalando fino al rifugio Tibet e poi ancora 50 metri di dislivello in portage fino all’inizio del Tibet trail. Indosso la giacca e parto. Ancora ghiaione, ma molto scorrevole, magnifico, la giusta conclusione di questa due giorni impegnativa ma bellissima. E poi non potevo perdermi l’ultima vista del Re. L’Ortles è proprio li davanti, che mi guarda e veglia su di me con l’ultima luce del tramonto.

Proprio come io l’ho guardato per due giorni interi da tutte le angolazioni e da tutti i punti cardinali. Finalmente, dopo tanti anni, anche il giro dell’Ortles off road è compiuto! E tutto con le mie forze!

Devo fare comunque a Filippo tanti, tanti complimenti, per essere stato l’unico ad avere risposto al mio appello e per avere portato a termine un giro veramente impegnativo, mentalmente sicuramente il più difficile che ho mai fatto. Momenti di grande sconforto e timore sia sul Cevedale e specialmente sull’Ables, superati però grazie all’aiuto reciproco e che hanno saldato ancora di più la nostra amicizia!

Mille metri di dislivello su sentiero impegnativo tutti d’un fiato prima del sopraggiungere del buio, sono stanchissimo, negli ultimi tornanti stretti non tento neppure il nose press, scendo dalla bici, la giro e rimonto, inutile rischiare. Arrivo a Trafoi mentre si accendono le luci del paese, faccio gli ultimi km su strada asfaltata al buio seguendo una macchina e finalmente sono a Gomagoi, dove Filippo mi sta aspettando in auto.

Ci abbracciamo, WE MADE IT!

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Attenzione: il passaggio del ghiacciaio sotto il Cevedale in alcuni periodi è pericoloso e necessita di ramponi e corda di sicurezza, informarsi prima presso il rifugio. L’ultimo tratto della salita al passo dell’Ables è completamente franato, difficile e pericoloso da raggiungere. Come variante si può proseguire fino a sopra il paese di Bormio, salire ai laghi di Cancano, Bocchetta di Penedolo, Boccheta di Forcola, Passo Umbrail e passo Stelvio. Da fare non prima di agosto (meglio fine agosto), dopo che si è sciolta la neve in alto e solo con tempo stabile. 100 km e 5400 d+, di cui 1800 d+ in portage.

 

Il primo giorno: http://www.mtb-mag.com/ortles-ronda-primo-giorno/#comment-90796

 

L’itinerario: http://itinerari.mtb-forum.it/tours/view/16449

 

Il video: https://vimeo.com/182306957

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