Quando annullare una gara è l’unica cosa giusta da fare

Ieri sera alle 22:00 l’organizzazione della Alta Valtellina Bike Marathon ha deciso di annullare la gara di oggi. Oltre 2.000 partenti si sono così ritrovati questo laconico messaggio sul telefono mentre erano già in branda:

Considerato l’allarme meteo comunicato dalla Prefettura per la giornata di domani 27 luglio (ore 12.00 forti temporali) e gli ingenti danni sul tracciato causati dal maltempo oggi pomeriggio, rilevati a seguito del sopralluogo sul percorso effettuato in serata, il Comitato Organizzatore, in accordo con l’Amministrazione Comunale, vista l’impossibilità di garantire le minime condizioni di sicurezza per lo svolgimento della gara, ha deciso di ANNULLARE la manifestazione.

Per chi non ha ancora ritirato il pacco gara lo può fare domani mattina, il pasta party si svolge regolarmente a partire dalle ore 12.00.

I commenti sulla pagina FB della manifestazione vanno dalla comprensione per la difficile decisione all’incazzatura per i soldi spesi e che non verranno rimborsati, in quando l’annullamento per cause di forza maggiore è previsto nelle clausole dell’iscrizione. In parole povere, il costo dell’iscrizione non verrà rimborsato e non varrà per l’edizione 2020 salvo ripensamenti del comitato organizzatore.

Secondo noi hanno fatto benissimo ad annullare la gara. Basta guardare al passato, più o meno recente, per capire che la maggior parte dei partecipanti necessita di una decisione dall’alto per salvaguardare la propria incolumità. Un esempio qui di seguito, senza dimenticare la prima gara di Superenduro 2019, annullata durante la competizione quando gli organizzatori hanno visto che c’era gente in giro nella neve senza neanche una giacca.

Nel 2004, alla Dolomiti Superbike, arrivò il maltempo con neve e freddo durante la gara. Noi riportammo la notizia, che trovate qui. Ecco il resoconto di uno dei partecipanti:

L’obiettivo era quello di fare il percorso lungo (111km.): il tempo massimo era di 10 ore per cui, sebbene il mio allenamento non fosse all’altezza, avrei avuto tutto il tempo per arrivare al traguardo con calma, gustandomi i paesaggi e, soprattutto, i ristori. Ma l’ansia di fare la mia prima “marathon” mi ha portato a sperare nella pioggia, unico alibi a mia disposizione per fare il percorso medio, molto più abbordabile e conosciuto quasi tutto a memoria. Visto come è andata a finire, mi sa tanto che ho portato sfiga…

Il tempo da quelle parti non era dei migliori i giorni precedenti la gara, quindi le probabilità di fare il percorso medio aumentavano, ma al sabato pomeriggio a Villabassa splendeva un caldo sole che mi ha riportato la voglia di fare i 111km., distanza a me sconosciuta in mountain bike.

La domenica però si presenta in modo diverso: cupi nuvoloni e pioggia incombono su Villabassa alle partenza con la temperatura a 12°. Mi tocca fare il percorso medio.

La partenza è ad andatura blanda, ma ci sono sempre quelli che vogliono superare a tutti i costi: uno di questi, tentando di recuperare posizioni, mi urta e i nostri manubri si agganciano: lui cade, io fortunatamente no, ma nel tentativo di non perdere l’equilibrio mi ferisco leggermene la mano con la leva del cambio; la ferita si richiuderà comunque in breve tempo. Riparto e poco dopo altra sosta per togliere la mantellina: inizio a scaldarmi e il tessuto impermeabile mi fa sentire in una sauna.

La salita, inizialmente su asfalto, prosegue su una strada boschiva ben oltre i 5km. previsti dall’altimetria, e intanto inizia a piovere. Finalmente la salita lascia il posto a qualche tratto in falsopiano, ma l’aumentare della velocità fa sì che gli schizzi delle ruote contribuiscano a sporcare gli occhiali, attraverso i quali vedo ben poco a causa della pioggia e dell’appannamento, dato che oltre quota 1600 ci sono solo 5°.
Decido di rimettermi la mantellina all’inizio di un tratto con radici reso particolarmente insidioso da fango e pioggia. Ma gli occhiali, anche se puliti, non mi danno sicurezza a fronte del mio handicap visivo: decido allora di scendere per alcuni tratti a piedi, mentre sempre più bikers continuano a sfilarmi. Numerosissimi sono i tedeschi, che con i loro “achtung!” e “bitte!” mi invitano a lasciare strada.

Inizia poi un tratto in discesa, e inizio ad amare i freni a disco: i miei v-brake sono completamente inadatti alla situazione e il freno posteriore diventa ben presto inutilizzabile, costringendomi a scendere con cautela usando solo quello anteriore. Per fortuna davanti a me un altro biker ha i miei stessi problemi, e allora decido di seguire le traiettorie della macchia gialla cheho davanti; macchia gialla perché è la sola cosa che riesco a vedere, in quanto gli occhiali si sono appannati nuovamente. Si alternano ora ripide salite e veloci discese, ma io sono intento a dosare le forze e a salvaguardare il mezzo per evitare problemi meccanici, sempre più probabili visto che la pioggia non accenna a diminuire. Arriva il bivio 111-59km. e giro a sinistra come la maggior parte dei concorrenti, ma alcuni coraggiosi optano per il lungo.

Inizia la discesa verso Dobbiaco, e avverto il primo freddo: si susseguono tratti facili a passaggi tecnici. Ma uscendo dal bosco, all’inizio della discesa “vera” mi rendo conto di cosa sta succedendo: tutto attorno il cielo è scuro, la pioggia è diventata diluvio, e la competizione si sta trasformando in una gara di sopravvivenza: strade e sentieri sono ormai torrenti in piena, bikers che cadono uno dopo l’altro, alcuni si rifugiano sotto le tettoie delle case per ripararsi dalla pioggia, altri cercano come possono di scaldarsi le mani e le gambe agitandole e strofinandole. Anch’io vsento che le dita delle mani si stanno congelando, e mi è sempre più difficile gestire la bici in discesa.

Fortunatamente la discesa termina, ma la temperatura è sempre sui 5°, e le vmie mani sono sempre più gelate. Lungo le vie dDobbiaco pochissima gentev osserva gli eroi nella bufera, alcuni concorrenti si rifugiano nei bar e nei vnegozi alla ricerca di qualcosa di caldo, e al rilevamento elettronico nonc’è neanche l’addetto al cronometraggio, forse rifugiato anche lui inqualche locale.

Finalmente arriva il primo ristoro, ben fornito, ma incredibilmente sprovvisto di bevande cade; prendo allora solo un integratore e un bicchiere vdi Coca Cola. Subito dopo c’è il gazebo dell’assistenza meccanica: ne approfitto non solo per farmi stringere il freno posteriore e mettere dell’olio sulle parti meccaniche, ma anche per pulirmi gli occhiali e ripararmi per qualche minuto dalla pioggia.

Riparto sotto la pioggia scrosciante e il Lago di Dobbiaco mi dà il benvenuto con un bel tratto fangoso dove le ruote affondano fino al mozzo, ma dopo il ponte della pista da fondo ritorna finalmente uno sterrato percorribile.

Il lungo falsopiano risalendo la Valle di Landro fa sentire meno il freddo, ma le mie mani sono sempre fredde e senza sensibilità: per cambiare sono costretto a spingere le leve col palmo della mano visto che le dita sono attaccate al manubrio. Quando il percorso fiancheggia la strada statale noto molti bikers tornare indietro, evidentemente stremati dalle condizioni meteo. Dopo la zona delle Sorgenti inizia la parte “mangia e bevi” nel fango che già conoscevo come dura, ma in queste condizioni non oso immaginare come sia.

Fortunatamente le tracce di chi mi ha preceduto si inoltrano tra gli alberi evitando così il sentiero principale completamente sommerso dall’acqua.

Terminato il tratto fangoso riecco la strada forestale, resa un torrente in piena dalla pioggia. Faccio due guadi, di cui uno molto profondo, poi vedo in fondo a un rettilineo due Carabinieri e una decina di bikers fermi: si deve attraversare la strada statale, quindi stanno attendendo che le auto terminino di transitare.

Però, giunto all’intersezione con la strada, mi viene detto di tornare indietro.

La gara è sospesa. Per neve.

Controllo nel ciclocomputer: a 1400m. ci sono solo 3°! Il percorso sale fino ai 2000m. di Prato Piazza, e se qui piove a dirotto, in quota nevica di sicuro. Ecco perché i bikers tornavano indietro!

Costretto a tornare a Villabassa, mi dirigo in discesa lungo l’asfalto con altri sfortunati ciclisti. Siamo decine e decine di anime in pena, fantasmi nella nebbia e nella pioggia. La lunga discesa non veloce, ma dalla pendenza tale da raggiungere i 40km/h, fa congelare ancora di più gli arti e le parti esposte. Ognuno si arrangia come può: chi si mette le mani in bocca, chi fa l’autostop. I bar lungo la discesa sono colmi di biciclette all’ingresso, e gli automobilisti ci osservano increduli. Facciamo pena, tutti infreddoliti e tremanti in processione verso la meta. Ormai la corsa è allo sbando. A Dobbiaco incrocio altri bikers provenienti dal percorso lungo da San Candido e Sesto: la situazione è identica anche su quel versante.

Manca poco a Villabassa, e le gambe e i piedi rispondono sempre meno: i pantaloni lunghi e i copriscarpe invernali, inzuppati d’acqua, hanno fattov diventare i miei arti inferiori due pezzi di ghiaccio. Non sento più le orecchie e il naso. Con le dita congelate non riesco a frenare. E’ un’odissea.

Lungo la strada bikers tremanti si riscaldano nelle auto, le loro auto. Iov però sono in compagnia dell’amico Marco, e spero che lui sia già arrivato inv macchina, dove posso finalmente riscaldarmi. Non è così, quindi provo av chiamarlo sul cellulare, ma è spento (scoprirò in seguito che era acceso, ma dove era lui non c’era campo).

Mi rifugio allora sotto il portico di una casa, senza sapere che fare. Avrei vpotuto andare nella piazza del paese al centro di soccorso, ma la miav condizione fisica e psicologica mi fa fare altro: busso alla porta della casa.

Mi apre una signora sui cinquant’anni: le dico che ho freddo e le chiedo un asciugamano. Lei, vedendomi tremante e infreddolito mi fa entrare, corre av prendere un asciugamano e chiede che mi è successo. Le racconto tutto, e incredula chiama il marito affinché mi aiuti anche lui. Mi danno una felpa e mi invitano a cambiarmi nel bagno. Apro l’acqua calda del rubinetto per scaldarmi, ma non sento niente. Torno dalla signora che mi offre un tè e una coperta. Mi siedo sul divano a bere la bevanda calda: non mi sembra vero.
Continuo a tremare e la signora mi dà un’altra tazza di tè bollente. Inizio a riprendermi e chiamo i miei genitori: stanno arrivando a Villabassa e spiego la mia situazione. Intanto smette di piovere.

Dopo pochi minuti arrivano e ringraziano subito i padroni di casa. poi mio papà, con l’esperienza accumulata nei Vigili del Fuoco, riesce incredibilmente ad aprire la Panda di Marco, recuperando così i miei vestiti puliti ed asciutti. In pochi minuti mi sento come nuovo. Ringrazio ancora i coniugi che mi hanno “salvato”, loro dicono che questa è l’ospitalità della Val Pusteria. Che bella gente, non la si trova dappertutto.

Vado nella zona d’arrivo a chiedere notizie del mio amico, ma mi dicono di non preoccuparmi: la situazione è sotto controllo. Confortato, vado a gustarmi il meritatissimo pasta party.

Squilla il telefono: è Marco. Lui è bloccato a Prato Piazza, ma sta bene e lo porteranno giù le forza dell’ordine.

Intanto esce improvvisamente un caldo sole: meglio tardi che mai…

Alla zona d’arrivo capisco cosa è successo: sopra i 1500m. la neve cadeva copiosa (“C’erano cinque centimetri di neve e gli alberi bianchi che sembrava Natale” il commento di Marco), e l’organizzazione ha deciso di sospendere tutto, a parte il percorso corto di 28km.. Chi aveva cominciato la salita arrivava in cima e veniva accolto nei rifugi, chi era a fondo valle veniva fatto tornare indietro. Le biciclette venivano trasportare all’arrivo con camion, i bikers con mezzi militari. Imponente lo spiegamento di forze: Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Guardia di Finanza, Guardia Forestale; le ambulanze sfrecciavano a sirene spiegate per la valle.

Nei rifugi e nelle caserme scene di panico: atleti tremanti e in stato di semi-assideramento, coperte e sacchi a pelo in quantità industriali, tè caldi a volontà. Alcuni incoscienti erano vestiti solo di pantaloncini e maglietta estiva, in una giornata iniziata fin dal mattino con il freddo e la pioggia.

Non sono stati risparmiati neanche i “big”: anche Mauro Bettin, Paola Pezzo, Roel Paulissen e Marco Bui, allo stremo delle forze,sono stati soccorsi dai militari.

All’improvviso squilla il telefono: Marco è finalmente arrivato, e si è già lavato e cambiato. Arriva al ristoro affamato, e mi racconta le scene drammatiche di Prato Piazza.

La competizione era valida per il Prestigio MTB, e spero che l’annullamento della prova non venga considerata come scarto, cosa che mi farebbe perdere la possibilità di conseguirlo.

Alla fine, comunque, è stata una giornata epica da ricordare. Il recupero di centinaia di persone gestito in modo incredibilmente efficiente ha dimostrato l’affiatamento dell’organizzazione e della popolazione dell’intera valle. Cosa sicuramente da evidenziare, oltre ad alcune curiose immagini impresse nella mia mente, tra cui un biker tedesco con dei curiosi
cerchi a razze, uno scoiattolo che mi osserva incuriosito lungo la Val di Landro e, naturalmente, le tirolesi, la cosa più bella che ho visto oggi.

Marco Bui, scendendo da Prato Piazza in jeep con due ciclisti amatori, ha detto: “Ci è andata bene, questa possiamo raccontarla: noi c’eravamo.”

Sì, io c’ero. Ho fatto una Dolomiti Superbike da tregenda.

Foto di copertina di Claudio Caluori.

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