“Non andare mai in montagna da solo senza dire a qualcuno dove vai!“. Non è un proverbio ma poco ci manca. È una saggezza popolare, se così vogliamo definirla, del tutto attuale malgrado cellulari e antenne un po’ ovunque. Non sempre, infatti, c’è campo, o può succedere che la batteria si scarichi o che il telefono si rompa.
Eppure.
Il modus vivendi moderno è un delirio di interazioni sociali, anche a causa di quello smartphone che ci portiamo sempre appresso, e staccare da tutto e tutti non è solo bello, ma diventa anche una necessità per non impazzire. Almeno, io sono fatto così e ho bisogno di qualche ora di silenzio radio totale per continuare a funzionare regolarmente. Parlo proprio di silenzio, quindi lungi da me infilarmi nelle orecchie le cuffiette da 150€ al paio. Mi devo fare la mia dose quotidiana di endorfine senza influssi esterni, cioé niente amici che parlano, niente garette a chi ce l’ha più lungo, niente telefoni che squillano o che mandano notifiche e, sorry amici ebikers, niente motori ronzanti.
La mia uscita relax ideale prevede una lunga salita di almeno un’ora, perché in quel modo so che il mio corpo comincia a produrre endorfine, i pensieri se ne vanno e la mente si libera. Non è che io smetta di pensare, anzi penso di più, ma con più lucidità. Spesso e volentieri è proprio così che mi sono venute diverse idee, anche di lavoro. Mi stanco, senza esagerare, la pedalata diventa automatica e le gambe vanno da sole, quasi senza fatica. Diventa un ritmo ancestrale: aria dentro, aria fuori dai polmoni, sento il cuore che pompa il sangue allegramente, il sudore comincia a scendere copioso dalla fronte.
L’apice è quando incrocio qualche animale, sorpreso dalla mia presenza perché sono sottovento, oltre che silenzioso. Mi fermo a guardarlo mentre scappa nel bosco, mi dico di ricordarmi di raccontarlo a famiglia e amici, e regolarmente me ne dimentico, con una sorta di riflesso non voluto che nasconde una specie di tesoretto di incontri faunistici.
Arriva la discesa, il momento più pericoloso di tutto il giro in solitaria, ma non mi salta neanche in testa di forzarmi ad aver paura. È un riflesso incondizionato: se sono da solo, non mi prendo rischi, il che non vuol dire che scenda a 2 km/h, ma semplicemente che non supero la linea della mia “comfort zone”. Linea che sarà per forza diversa da persona a persona, e che è impossibile giudicare quando si gira in compagnia, per la maledetta dinamica di gruppo (detto anche il complesso del pisello), quella che spesso e volentieri causa incidenti.
Giri così non solo mi rendono felice, ma mi danno sicurezza. Così tanta, che il momento in cui mi sento meno a mio agio è quando sono in mezzo alla gente, in città. Non da solo nel bosco, magari col buio.
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