Valloire, ore 6:45 di Sabato: il suono della sveglia riecheggia nel silenzio del camper. E’ giunta l’ora, è tempo di vestirsi e prepararsi per una gara che si prospetta essere la più dura di tutto il campionato.
Non si pedala… A Valloire non si pedala, si sale con gli impianti. E’ il format francese, un’interpretazione diversa dalla nostra che può piacere o non piacere. Trasferimenti al 95% in seggiovia e solo brevi collegamenti con giusto alcuni alcuni minuti di pedalato per raggiungere le speciali. Niente tempi massimi, c’è sì una tabella e degli orari di partenza prestabiliti, ma se arrivi tardi non succede nulla, parti dopo. Niente penalità se sfori.
Faticosa? Come può essere una gara dove non si pedala faticosa? La risposta viene da sola vedendo il dislivello negativo cumulato tra prove e speciali: 13000m negativi suddivisi in 6000m il sabato e 7000m la domenica. Una media di 10 ore di gara al giorno, discese da 15-20 minuti l’una, su sentieri alpini pieni di insidie e di ostacoli. Ecco come fa Valloire ad essere faticosa, ecco perchè quando finisci la giornata non ti senti più ne le braccia ne le gambe.
La struttura della gara è semplice. 4 diversi sentieri per 6 prove speciali. Due giorni di gara strutturati allo stesso modo: ricognizione della prima discesa, prova cronometrata della stessa. Ricognizione della seconda discesa e poi due prove cronometrate. La domenica uguale, cambiano solo i tracciati.
Nessuna possibilità di provare (almeno sulla carta) se non una singola discesa prima della speciale. Guidi praticamente a vista insomma, anche perchè con una sola ricognizione riesci a malapena a farti un’idea di quella che è una speciale da 20 minuti. Non ti ricordi certo il singolo passaggio.
…e le speciali? Molto diverse dalle nostre. La tracciatura alla francese non è come la nostra. Non si tratta di sentieri preparati e lavorati, ma per lo più di tracce vergini. I tracciatori dispongono alcune fettucce in mezzo all’erba tagliata, sono poi i riders che passando formano il sentiero. Per carità, molte sezioni sono costruite ad hoc, ad esempio con terrapieni e sbancamenti per creare una traccia sul fianco della montagna, ma è comunque tutto “rustico”, la terra è soffice e passaggio dopo passaggio le speciali cambiano in continuazione. Tu provi, ma in gara tutto è diverso.
Forse è quello il bello del format francese: l’improvvisazione. Provi poco, ti ricordi quasi niente ed in speciale tutto cambia. Escono fuori pietre e radici che prima non c’erano, si aprono nuove linee. Ecco che quindi spicca la capacità di interpretazione, il colpo d’occhio che tanto contraddistingue i riders francesi.
Di contro però c’è poco o niente da pedalare. Le ps sono prettamente discesistiche, a parte qualche breve tratto pedalato messo lì apposta per far capire che si tratta di una gara di enduro. Anche a livello tecnico non ci sono particolari difficoltà: a parte qualche tratto più roccioso, i sentieri sono molto semplici. Drittoni in mezzo ai prati, curve fettucciate in mezzo ai pascoli e verso la fine qualche tratto più ripido nel bosco ma senza particolari difficoltà. D’altronde corri praticamente a vista, le speciali sono lunghe: sarebbe impensabile mettere dei passaggi tecnici “all’italiana”, quei passaggi che mettono alla prova anche le abilità tecniche dei riders. Significherebbe mettere a repentaglio la sicurezza dei riders.
Cosa conta quindi? Una sola cosa: la resistenza e la regolarità. Conta relativamente quanto pedali, quello che conta veramente è riuscire ad arrivare lucidi fino alla fine, guidare bene e pulito. Sicuramente anche questo è enduro, un’interpretazione un po’ diversa a quella a cui siamo abituati noi, ma che non si può certo dire non rispecchi quelle che sono le caratteristichedella disciplina.
La gara di Valloire è stata una delle più dure che ho mai affrontato: due giorni di gara intensissimi, tantissime ore in selle e soprattutto tantissimi metri di dislivello. Se enduro significa endurance, non si può certo dire che la gara di Valloire non abbia messo a dura prova la resistenza di tutti gli atleti.
Alle ore 8 si parte per la prima salita alla PS1. Due funivie e siamo rapidamente ai 2500m della cima di partenza. Giusto il tempo di scaldarci e si parte per la ricognizione della speciale. Si parte con un primo tratto un po’ tecnico, una paio di curve strette tra le rocce, ma non è niente di che, si passa senza problemi. La ps prosegue poi nei prati, si naviga a vista, non c’è niente da ricordare. Alcuni tratti di strada, alcuni tratti di singletrack. C’è un po’ da rilanciare sugli stradoni, ma ben poco da provare. Una ps che non è niente di che, alcune fettucce tra i prati e lunghi stradoni da pedalare o da affrontare a 300 all’ora. La velocità massima rilevata dal garmin a fine PS sarà di quasi 70km/h!
Affronto la ps prestando particolare attenzione al primo tratto tecnico, che affronto senza troppi problemi. Affronto alcuni sorpassi, due riders dietro di me mi passano a vicenda. Con i distacchi da 15 secondi è un continuo sorpassarsi! Le gambe però non girano, mi sento stanco ed affannato. L’influenza ed il raffreddore non aiutano, ho la gola chiusa non riesco a respirare. Ho già un forte dolore alle mani, mi sa che ho qualche problema con il posizionamento dei freni. Un disastro insomma! Arrivo in fondo alla ps, veramente stanco, troppo stanco considerato che la PS era si lunga, ma molto meno delle altre che ci avrebbero aspettato. Se il buon giorno si vede dal mattino, oggi sembra proprio una giornata no.
Seconda speciale, prima ed unica ricognizione. Questa PS è da ripetere due volte, quindi bisogna studiarsela bene. La partenza è subito ostica: si parte attraversando un grosso nevaio, in salita, di neve marcia. Dopo il nevaio un ripido strappo, non lungo ma pendente. Affrontare il nevio in sella significa poi riuscire a pedalare anche lo strappo successivo, quindi recuperare decine di secondi, ma non è facile. Dopo il nevaio ed il relativo strappo c’è un tratto in cima tutto da pedalare, poi un insidiosissimo pascolo di alta montagna con il percorso disseminato di lame di roccia mezze nascoste dall’erba ancora alta. E’ un terno al lotto: le rocce sono lì, nascose nell’erba pronte a squarciarti un copertone o a strapparti via il cambio. Subito dopo ci aspetta un lungo tratto di double track centrale dove rifiatare, poi un divertente tratto nel bosco ricco di ripidi e strette curve a gomito. Arrivi in paese, pensi che le sofferenze siano finite ed ecco la sorpresa: un lunghissimo percorso tutto in saliscendi in mezzo alle case, con tanto di ripidi strappi sull’erba. Una simpatica sorpresina finale che gli organizzatori hanno voluto riservare ai concorrenti! Scherzi a parte, un po’ di pedalato ci voleva per equilibrare la gara, quindi non si può certo biasimare la scelta di inserire un tratto di pelato anche se apparentemente inutile ed evitabile.
Risaliamo ed inizia la PS2. La prima preoccupazione è il nevaio: circa il 50% dei riders nel tentativo di passarlo si sono ribaltati, alcuni con cadute veramente spettacolari, facciate secche nella neve e bici che venivano proiettate in aria. Per fortuna la neve è morbida, quindi non ti fai troppo male, ma comunque se esplodi perdi tempo. Passo il nevaio puntando una canalina, mi pianto a circa metà della neve. Scendo, corro e risalgo in sella. Non male, non sono passato in sella (solo pochi top riders ce l’hanno fatta), ma non sono esploso e questo è sicuramente positivo. Affronto il tratto in cresta, guido discretamente. Passo diversi riders, cerco di non strafare tra le pietre per non spaccare. Le gambe sembrano migliorate, forse ho ingranato la marcia! Arriva il double track, il più è fatto. Ora c’è da pedalare e far scorrere, le braccia e le mani possono riposarsi e recuperare in vista della rush finale nel bosco. Ad un certo punto un guado. Non è profondo, non rallento neanche alleggerendo solo l’anteriore con un piccolo manual.
Passo il guado, alcuni metri dopo c’è un rilancio. Mi alzo in piedi sui pedali, sento la ruota dietro incollata, pesante. Che diavolo è successo? Dai che è solo il terreno pesante a rallentarmi, mica avrò bucato. Invece no, dopo pochi secondi ecco il fatidico rumore di cerchio sul terreno: game over, la gara è andata.
In questi momenti tutto ti crolla addosso. Sono incazzato nero, da un lato vorrei continuare a scendere sul cerchio, dall’altro penso che avendo sotto la bici una coppia di ruote in carbonio non sia una grande idea. Che senso avrebbe distruggere un cerchio in carbonio per una speciale già compromessa? E poi la discesa è lunga, perderei comunque moltissimi minuti.
Così mi fermo a riparare, ma se la fortuna è cieca la sfiga ci vede benissimo. Non solo per il dolore alle mani non riesco quasi ad impugnare la pompetta, ma non riesco quasi a smontare il copertone. Eh si un conto è cambiare una gomma quando si è freschi e riposati, un’altro dopo 10 minuti di discesa spaccamani. E come se non bastasse, ciliegina sulla torta: gonfiando in maniera scoordinata, preso dalla carogna e dalla fatica, spezzo la valvola. Disastro! Ho solo una camera d’aria con me! La valvola tiene, ma se gonfio ancora il core cade all’interno e sono finito. Tasto la gomma, è mezza sgonfia, ma se faccio attenzione forse arrivo in fondo.
Riparto, tranquillo, peso in avanti per non pizzicare. E’ un terno al lotto, ogni pietra cerco di alleggerire il posteriore. Non ho scelta, la discesa diventa una lunga agonia. Arrivo in fondo, dopo che mi ha superato mezzo mondo con ben 10 minuti di ritardo. Gara finita insomma, ma non mi voglio ritirare. Cambio la camera e riparto, l’obiettivo è arrivare alla fine.
Terza speciale, di nuovo la discesa di prima dove avevo bucato. A questo giro affronto bene il nevaio, prendo una rincorsa folle, passo dall’altra parte, ma mi blocco perchè non avevo scalato abbastanza rapporti. Dannazione! Piccolo tratto di corsa e poi salto di nuovo in sella. Guido piuttosto bene il primo tratto, sono un po’ bollito, ma cerco di evitare le pietre più insidiose. Arriva il guado, il malefico. A questo giro lo affronto pianissimo, frenando molto più del dovuto. Riparto, pedalo il giusto sul tratto scorrevole.
Entro forte nel bosco, tiro le staccate all’ultimo nonostante le mani e le braccia siano a pezzi. Arriviamo in paese, ora c’è da pedalare. Rapporto agile, sella alta e via a pestare sui pedali come se non ci fosse un domani. Pedalo bene, le gambe girano. Faccio ben 3 sorpassi, sento il cuore che sta per esplodere, le gambe che bruciano. Vedo però la cima della salita, 50 metri, poi 20, 10, 5… è finita! Ultimo ripidino ed ecco il traguardo che decreta la fine della ps e della giornata.
Il risveglio di domenica mattina è traumatico: le braccia sono a pezzi, le mani doloranti. Non è una gara banale, soprattutto se non sei abituato ed allenato per questo tipo di format.
Come se poi non bastasse, per arrivare alla seconda seggiovia che porta in cima alle PS della giornata bisogna affrontare un infernale sentiero di collegamento, un ripido sentiero pieno di bumps e di buche che andrà affrontato ben 5 volte. Una discesa infernale, il “genocidio” delle mani come l’abbiamo chiamata. Tutti eravamo distrutti. Arrivi in fondo che sei più provato che a fine PS.
La prima speciale della giornata è la PS3, che si affronta una volta. Il primo tratto è insidioso: ci sono una serie di pietraie per niente banali. La prima in particolare è molto insidiosa: ci arrivi dopo un lungo ripido ed è piena di boccioni smossi, in contropendenza. Non devi sbagliare: se cadi ti devasti, ma anche solo se buchi o pizzichi butti via la gara. Come affrontare questa insidiosa pietraia? Hai poco da fare: tieni gambe e braccia morbide e cerchi di puntare la traiettoria giusta. Entri piano e lasci scorrere. Faccio così, ne esco pulito e bene: la prima insidia è superata. Passati alcuni tratti ripidi per niente banali, dopo un brevissimo tratto di prato per far riposare le mani si entra nel bosco. Il percorso è spettacolare, curve e controcurve nella pineta. Bisogna però fare molta attenzione al terreno, molto soffice e smosso, con tante radici che stanno uscendo sempre più fuori passaggio dopo passaggio: ci vuole molto poco per impuntarsi. Questa triste sorte tocca il rider subito davanti a me che, proprio mentre lo stavo superando, finisce a pelle di leopardo in mezzo al tracciato. Mi blocco anch’io, così come si blocca il trenino di rider che si era formato dietro (superare in quel tratto era impossibile). Perdiamo tutti tempo, ripartiamo, sorpassiamo. Sono bollito, un rider da dietro mi sorpassa. Lo seguo, ha un buon ritmo: mi farà da lepre. Di nuovo un altro sorpasso da effettuare, anche questo non vuole cedere strada nel sentiero ed aspetta uno slargo. Altro tempo perso. Sorpassi a parte, comunque non mi sento in gran forma… Anche qui ho trovato lungo. Finisce la speciale, bella comunque, molto meglio di quelle di ieri. Sicuramente molto più enduro.
E’ giunta ora della PS4, l’ultima di giornata da ripetere 2 volte. La PS4 è sicuramente la discesa più bella della gara. Un vero sentiero enduro, con molti tratti guidati ed uno stupendo pezzo finale su un sentiero veramente spettacolare. Basta pratoni spaccamani, basta ripidoni della morte sopra i rododendri: finalmente un Sentiero con la S maiuscola.
Prima prova cronometrata. Mi sento in ottima forma. Le gambe girano bene, le braccia si sono sbloccate. Sento che posso spaccare il mondo! Parto, subito aggressivo sulla prima sezione tecnica: la affronto deciso, con un piede staccato per una piccola correzione, ma comunque veloce. Iniziano subito i primi sorpassi, passo senza troppi problemi un paio di riders. La discesa mi piace, entro in curva deciso ed aggressivo. Tutto fila liscio quando ad un tratto sento le pedivelle girare a vuoto: è caduta la catena. Dannazione, non era mai successo fino ad ora! Forse ho raccolto un ramo tra catena e corona (eh i tagli sui rododendri!), forse le zolle di terra unite ad una brusca frenata in contropendenza non hanno aiutato, fattostà che ora devo fermarmi e rimettere su la catena. Sono pochi secondi, è vero, ma sono secondi che contano. Non mi faccio comunque scoraggiare, sempre meglio che una foratura o un problema più grave. E poi ho riposato un attimo le mani, ora posso spingere ancora più forte! Recupero e ripasso due riders che si erano “sdoppiati” poco prima: c’è poco da fare questo sentiero mi entusiasma. Arriva ora il pedalato, il lungo, interminabile tratto pedalato.
So di averne ancora, l’allenamento invernale sta dando i suoi frutti, e pedalo a tutta. Sorpasso prima 1 poi 2 poi 3 riders ed intravedo il 4°. Il cuore è alle stelle, non ho fiato per chiedere strada al 4°. Poco importa, adesso in discesa ha accelerato e non mi rallenta più di tanto. Lo passerò dopo. Siamo quasi alla fine, c’è ora un insidioso avvallamento con una curva a destra. Devi arrivare deciso per avere l’abbrivio per risalire, ma fare attenzione a non andare fuori, cadendo rovinosamente. In prova avevo preso per bene le misure: il passaggio è cieco e devi sapere con precisione a che velocità affrontarlo. Gasato per l’ottima prestazione pedalatoria, arrivo deciso, ma non considero un piccolo dettaglio: con i passaggi e la gente che cade, il terrapieno è diventato largo la metà rispetto a come era in prova. Il ciglio per di più è incredibilmente franoso e smosso. Sono troppo largo, la ruota davanti va sul bordo, il terreno cede. Non mi ribalto, ma sono in equilibrio precario. Allargo la gamba ed il braccio destro, cercando di sbilanciarmi verso il sentiero. La bici non si muove, passa un istante lunghissimo, poi inizia il movimento, prima lento, poi sempre più veloce verso sinistra, verso la scarpata. Mi ribalto, rotolo, mi ingarbuglio con le fettucce. Disastro!
Sento i riders che avevo appena sverniciato sul pedalato sorpassarmi ridendo… Oltre al danno la beffa! Risalgo, mi incastro tra le fettuce, ricado, mi rialzo, recupero la bici e riparto. Ho perso un’eternità e devo di nuovo ripassare quelli che avevo passato prima. Arrivo in fondo cercando di spingere a più non posso, ma la speciale è oramai compromessa.
Ultima risalita ed ultima speciale, di nuovo la 4. Le braccia sono devastate, le gambe di gelatina. Le mani insensibili e la stanchezza è sovrana. L’ultima cosa che vorresti fare in queste condizioni è affrontare una speciale di 1000m di dislivello, ma questa è la gara di Valloire e non puoi certo tirarti indietro. Parto con più calma, sbagliare e cadere nel tratto iniziale può essere molto pericoloso, anche perchè non c’è nessuna protezione ed il sentiero è a tratti estremamente esposto. Un rider davanti a me cade in uno dei punti peggiori del tracciato, si sdraia senza conseguenze, ma gioco un mazzo di jolly per evitare di travolgerlo e precipitare giù dal dirupo. Stavolta non mi sento fresco come prima, guido più conservativo. Ad un certo punto un rumore di raggi… Che è successo? Probabilmente si è rotto un raggio, magari è solo il cavo del cambio che tocca (anche se questo non è possibile sul X01, con la scarsa lucidità della gara ho pensato anche a queta eveniente). Mi fermo? No, la ruota gira, la bici funziona: vado avanti. Il rumore è inquitante, spero solo che il raggio o quello che è non si incastri da qualche parte. Per fortuna questo non succede.
Arriva di nuovo il tratto pedalato, so che è il mio pane. Pedalo a più non posso e sorpasso altri 3 riders, poi un quarto: è bagarre! Affronto il tratto dove prima son caduto con scioltezza, molto più cauto di prima. Un rider si blocca davanti a me in salita e mi obbliga ad appoggiare il piede. Perdo tempo, ma poi lo sorpasso. Poi ne passo ancora uno su un veloce tratto di erba, è un italiano. Scatto finale nel tentativo di riprenderne un altro, ma non ce la faccio.
Finisce la speciale e finisce la gara, finalmente. Sono distrutto, la bici è a pezzi e le mie mani non si staccano dai freni.
Guardando le classifiche c’è poco da ridere, sono indietro, in ultima pagina. Sicuramente i 10 minuti persi per la foratura hanno giocato il loro ruolo, ma anche nelle altre PS non ho certo brillato. Ok, da un lato l’influenza mi ha penalizzato, dall’altro però c’è da dire una cosa: noi italiani non siamo assolutamente abituati al format francese.
A Valloire era tutto diverso: dalla tracciatura delle speciali, molto più rustiche e poco lavorate, alla scarsa possibilità di provare. La gara era quasi tutta improntata sulla discesa, con speciali infinite, lunghissime.
Forse è proprio questo che manca a noi italiani, la voglia di confrontarci su format diversi da quello a cui siamo abituati in casa nostra. Abbiamo paura del nuovo, abbiamo paura di gare diverse da quello a cui siamo abituati. …e forse abbiamo paura di prenderci mazzate dagli stranieri. Preferiamo gareggiare in casa, tra di noi. La dimostrazione di questo è subito evidente contando i pochissimi italiani presenti nella starting list. Eppure Valloire è a neanche un’ora dal confine, molto più vicina di altre tappe anche solo del campionato Superenduro. E’ vero che ad andare in Francia ci prendiamo una sonora dose di mazzate, ma è anche vero che solo confrontandosi su format e percorsi di gara diversi si può crescere e migliorare. Una gara come Valloire ti insegna un sacco di cose, ti insegna a guidare a vista ed a migliorare il colpo d’occhio, l’improvvisazione. Ti abitua a guidare su percorsi insidiosi, poco preparati, che cambiano da una discesa all’altra. Ti abitua a confrontarti con riders forti, che vanno molto più forte di te e sicuramente più abituati ad un format diverso. Insomma, una gara come Valloire ti fa crescere come atleta. Eppure, nonostante fosse la gara di EWS più vicina a casa, c’erano pochissimi italiani, soprattutto tra i “big”.
Forse è vero quello che si dice in giro: noi italiani preferiamo andare a vincere la garetta regionale piuttosto che andare a confrontarci a livello internazionale a casa dei francesi. Preferiamo giocarcela tra di noi in casa, sui nostri tracciati e sulle nostre speciali, invece che andare in casa degli stranieri, ma alla fine siamo veramente sicuri che un podio di una gara regionale valga di più di un 100-150° ad una gara come Valloire?
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