Le gare delle World Series sono già di loro un evento, ma la gara di Whistler è stata inserita in un contesto ancora più grande: quello dei Crankworks, il festival dedicato alla moutain bike più grande del mondo. Migliaia di bikers da tutti i continenti si riuniscono per assistere o partecipare ad ogni tipo di gara, dall’XC alla DH, dall’enduro allo slopestyle, creando un ambiente unico.
Inutile insomma dire che le aspettative per questa gara erano altissime e possiamo dire che tutto sommato non ha deluso sotto quasi tutti punti di vista. Alcune cose potevano essere fatte meglio (come ad esempio la segnalazione dei trasferimenti), ma tutto sommato si è trattato di un grandissimo evento.
Cominciamo con il parlare del formato di gara: 5 prove speciali, le prime due che si raggiungevano comodamente con gli impianti, la 3° e la 4° che prevedevano due lunghi e ripidi trasferimenti pedalati (o spinti data la pendenza ed il fondo ghiaioso-sabbioso) ed infine il gran finale, la speciale più lunga della storia dell’enduro: la discesa dal punto più alto di Whistler, il “Top of The World”, fino in paese. 30 minuti di pura discesa, in mezzo ai percorsi storici del bike park con arrivo sotto il maxischermo dei Crankworks, in pieno centro al villaggio.
I percorsi delle prove speciali sono estremamente diversi dai nostri: si tratta di stretti e tortuosi single track, molto scavati, con tratti ripidi, pieni di radici, che non ti danno un secondo per rifiatare. Sono prevalentemente in discesa, ma ogni tanto ci sono degli strappi in salita, e che strappi! Rampe impegnative con pendenze estremamente elevate, al limite del ribaltamento, non i classici rilanci a cui siamo abituati noi in cui pedalare a tutta in piedi sui pedali: qui per arrivare in cima conta anche la tecnica, oltre al fiato.
Le discese erano strette, quasi tutti i passaggi obbligati, il che ha causato un rapido deterioramento dei sentieri che sono diventati estremamente scavati. Le fettucce non permettevano traiettorie alternative, nell’enduro canadese non è consentito interpretare il sentiero, si deve seguire sempre e solo la linea principale.
Riguardo al livello di difficoltà tecnica, alcuni passaggi erano veramente molto impegnativi con un livello di difficoltà nettamente superiore alle gare italiane. Come dicevo nell’ultimo aggiornamento, alcuni passaggi fanno veramente impressione! Skinny su cui stare in equilibrio, tratti esposti, passerelle di legno che passano da un roccione all’altro, ripidi su radici che fanno paura solo a guardarli: qui non si scherza!
BMC ha permesso a tutti i giornalisti di partecipare alla gara con la nuova Trailfox TF01, un’interessante opportunità per provare la nuova bici e testarla su di un vero terreno di gara. Purtroppo però i tempi a disposizione erano ridotti all’osso e non abbiamo avuto modo di provare tutte le speciali. Sono riuscito a fare un rapido giretto della 1, della 2 della lunghissima 5, quelle insomma raggiungibili con gli impianti. Le altre due le ho fatte a vista. Insomma, gara quasi alla cieca, bici nuova: il mio obiettivo era solo di divertirmi, nessuna, neppur piccola, velleità agonistica.
La mia gara inizia alle 8:50, l’ordine di partenza è in base alla categoria di appartenenza, poi in ordine alfabetico o di ranking. La partenza è subito spettacolare: si parte dal tetto delle biglietterie a circa 4 metri di altezza, buttandosi giù su una ripidissima rampa di legno verso la cabinovia. Un’inizio spettacolare, ma insidioso: non sono pochi i riders a cadere.
Superata questa prima insidia, si prende la cabinovia direzione Top of The World. Dalla cima un breve trasferimento su quella che sarà la PS5, conduce alla prima speciale di giornata.
La partenza è un po’ diversa da come siamo abituati di solito: si deve tenere un piede a terra, e non lo si può sollevare prima dello start. Chi lo alza prima, riceve 5 secondi di penalità, e qui non scherzano, sono molto severi! Inizia quindi la mia gara, ma fatico a prendere il ritmo, per me partire a freddo è sempre molto difficile. Non trovo il giusto feeling con il sentiero e vengo sorpassato da diversi riders. Scendo anche a piedi sui tratti da pedalare: decisamente una pessima speciale per me…
Rapido trasferimento su una strada bianca in discesa piena di brake bumps: le mani bruciano, non resco quasi a tenere il manubrio. Forse ho sbagliato il setup, la forcella è troppo dura, decido di sgonfiarla. Inizia quindi la seconda speciale, dove comincio ad ingranare meglio le marce. Supero in sella il ripido tratto di salita a metà, ma mi blocco su uno strappetto insulso poco dopo, scendendo e spingendo. In quell’istante vengo superato. La speciale continua, sembra non finire mai. L’ho provata una volta, ma non mi ricordo assolutamente nulla! Finalmente il finish, sono distrutto, mani e braccia a pezzi.
Inizia ora il primo trasferimento, solo in parte pedalato a causa dell’elevata pendenza della strada e del sentiero. Trovo un ristoro, è fornitissimo: faccio incetta di barrette e gel energetici, ho il sospetto che possano tornare utili!
Il trasferimento, anche se ripido, in realtà non è così lungo: circa 300-400m di dislivello. Il tempo a disposizione è tantissimo, quindi non ci sono problemi a spingere la bici e salire con estrema calma. Arrivato in cima con moltissimo anticipo, mi aspetta la 3° speciale. Non so a cosa andrò incontro, so solo che devo prendermela con molta calma e cercare di non ammazzarmi: questa è la mia tattica di gara! Per fortuna la speciale non presenta particolari insidie. Non è semplice, ma si riesce a capire abbastanza bene dove passare, anche perchè non ci sono molte scelte. Dopo soli 6 minuti la speciale finisce, non è stata particolarmente lunga visto che è stata accorciata rispetto al percorso originario, a causa di disguidi con i proprietari dei terreni (tutto il mondo è paese!).
Inizia ora il lunghissimo trasferimento per la 4° speciale. Non fa caldissimo ma è estremamente umido senza contare che è pieno di zanzare e mosche che ti assalgono appena ti fermi! La salita è molto ripida, si fa quasi tutta a spinta. Alcuni tratti li pedalo lo stesso, sono abbastanza stufo di camminare, lo trovo piuttosto noioso. Arrivo in cima con circa 40 minuti di anticipo, pur facendo 3/4 della salita a piedi: alla faccia dei tempi larghi!
Inizia la 4° speciale, anche questa volta scendo alla cieca. Mi è stato detto che c’è una lunghissima salita da pedalare, altro non so. Parto, il primo tratto è piuttosto veloce, molto simile ai percorsi delle nostre gare. Prendo abbastanza bene il ritmo, mi piace il sentiero. Arriva quindi tratto il fatidico tratto da pedalare, ma in realtà non è così cattivo come me l’hanno descrtitto: è solo lungo, ma poco ripido. Continua la speciale, ora diventa più ripida ed impegnativa. Scendo a vista, cercando di azzeccare le linee giuste evitando le numerose insidie del percorso. Ad un certo punto vedo che le fettucce si aprono e ci sono due possibilità: andare a destra o a sinistra. Una sarà la linea facile, l’altra quella difficile, ma dove andare? Scelgo a caso e vado a sinistra: scelta sbagliata! Mi trovo davanti a me un lunghissimo muro, praticamente verticale, tappezzato di sabbia e radici. Mi fermo un secondo in surplace e lo guardo: che faccio? Se vado di qui probabilmente esplodo, ma è pieno di gente! Non posso tornare indietro e prendere la linea facile, dovrei scendere dalla bici e risalire un pezzo a piedi: sarebbe troppo umiliante… Il pubblico mi incita, decido di spegnere tutto e mi butto sperando nella buona sorte. “Non toccare il freno davanti! Non toccare il freno davanti!” fa il mio cervello in continuazione. Prendo velocità, tanta velocità: è veramente lunghissimo il ripido. L’adrenalina è a mille, resto nel canale e poi sfruttando un’appoggio affronto la curva subito sotto e finalmente il piano: sono salvo! Ho rischiato grosso, ma si sa che in gara il cervello rimane sempre prima del cancelletto e poi ti raggiunge una volta superato il traguardo… In un altro contesto non avrei preso un simile rischio. Ultimo tratto di speciale, sponde tra gli alberi. Bello divertente, arriva il finish: questa speciale mi è veramente piaciuta, nonostante abbia perso 10 anni di vita su quel ripido…
Rapido trasferimento su ciclabile in paese, prendo una Coca Cola e passo in hotel a mangiare uno spuntino (è consentito visto che il mio hotel è nel “village”, nel centro pedonale del paese). Salgo in funivia poi prendo la seggiovia, adesso è ora della resa dei conti: l’ultima speciale, il Top of the World.
La vista da sopra è spettacolare, il sentiero è letteralmente disegnato e costruito, pietra per pietra, in mezzo alle rocce: veramente unico. Ora che il cielo si è aperto la vista spazia su tutti i ghiacciai circostanti la vetta, il contesto di questa speciale è mozzafiato.
Arriva il mio turno di partire, inizio con calma: la speciale è lunga, anzi lunghissima e non lascia praticamente mai tregua. Si inizia con un lunghissimo zig zag che scende lungo la montagna, tutto pietre e sassi.
Il sentiero è artificiale, costruito con pietre incastrate le une con le altre ed alterna ripidi, radici, placche di roccia. Un vero tormento per le braccia, non c’è modo di riposare!
La speciale prosegue, prima nel bosco, poi inizia un tratto di stradone largo, ma pieno di brake bumps. E’ un tormento, le mani bruciano, dal male ho le lacrime agli occhi: non mi era mai successo di patire così tanto, colpa delle manopole piccole e della forcella troppo gonfia forse. Stringo i denti, sperando le bumps finiscano presto. Quello delle mani è un problema comune, ho sentito di riders che hanno letteralmente perso il manubrio in questi tratti cadendo rovinosamente: non riuscivano più a stringere le dita ed hanno perso la presa.
La speciale è interminabile, cerco di dosare le energie, ma è un continuo lavorare di braccia e gambe: se guidi passivo ti ribalti. I minuti scorrono lentissimi, la fine non arriva mai. Ad un certo punto si incomincia ad intravedere l’arrivo!
Poco prima del traguardo, il percorso devia nella zona salti dove è possibile affrontare un grosso doppio di parecchi metri, con un kick che spara bello alto. Purtroppo, o per fortuna visto il mio livello di cottura, manco l’ingresso per il salto finale e mi ritrovo sulla variante facile: un semplice panettone di alcuni metri, in cui cerco di eseguire una whippata, ed arriva la fine della speciale e della gara.
Incredibile la quantità di gente all’arrivo, sembra di essere ad una gara di coppa del mondo. Ah già, ma lo è! Inserire la gara nel contesto dei Crankworks è stato fantastico: un vero bagno di folla, con tanto di diretta streaming sul web e proiezione degli ultimi metri della gara su maxischermo ed uno speaker fuori di testa che commentava gli arrivi. Credo che da solo un arrivo del genere ti ripaghi di tutte le fatiche della gara e della trasferta!
Gli italiani
Nonostante ci fossero diversi iscritti, alla fine siamo stati solo 3 italiani ad aver preso il via: Alex Lupato, Andrea Bruno ed io. Un vero peccato perchè, a parte il risultato sportivo, questa gara ti può insegnare molto. Correre su percorsi così diversi dal nostro, che richiedono un impegno fisico incredibile ti permette di capire diverse cose, nel mio caso ho capito che se vuoi migliorare nell’enduro devi lavorare tanto sulla resistenza, non basta solo la tecnica.
Alex mi ha detto che era piuttosto in forma. Ha avuto un buon feeling su tutta la gara, ma ha avuto non pochi problemi meccanici che lo hanno rallentato. Se tutto fosse filato liscio avrebbe potuto fare di meglio, ma anche la 33a posizione è un buon risultato. Vi racconterà direttamente lui la sua esperienza di gara!
Andrea ha invece avuto non pochi problemi alla spalla, quella che si era lussato ad inizio stagione. Ha ammesso di sentire l’articolazione muoversi ad ogni buca e questo lo ha penalizzato parecchio nella guida, tanto che la sera di sabato era quasi tentato di lasciar perdere. Ad ogni modo ha stretto i denti ed ha portato a casa una 54a posizione.