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Nel mondo della mountain bike ci sono degli appuntamenti fissi che ogni anno si ripetono, l’ultima tappa delle Enduro World Series a Finale Ligure è tra questi. Una gara così importante a due passi da casa: è possibile mancare? Assolutamente no.
5 del mattino di giovedì: con le palpebre ancora socchiuse guardo la sveglia. Ma chi me l’ha fatto fare? Ho dormito si e no 4 ore, vorrei girarmi nel letto dall’altra parte, ma invece tocca caricare tutta l’attrezzatura in macchina e partire per Finale Ligure. Meno male che sono solo un paio di ore di viaggio.
Il meteo non è dei migliori: le previsioni danno tempesta. Oggi non piove, ma per i prossimi giorni è prevista l’apocalisse. Quando vai a Finale ti aspetti il caldo ed il sole (ed è così il 90% delle volte), ma oggi c’è un gelido vento da nord e fa veramente freddo: si stava meglio a Torino!
L’obiettivo della giornata è semplice: provare quante più speciali possibili, visto che domani c’è il rischio che le prove vengano sospese. Ecco che quindi giriamo dalle 9 alle 19 di sera senza sosta, cercando di fare quanti più giri possibili delle lunghe 6 prove speciali. Eh si perchè il percorso della gara di Finale, a differenza di altri appuntamenti, si sviluppa su di un territorio estremamente vasto e provare le varie speciali richiede tempo e lunghi trasferimenti.
Tra una cosa e l’altra concludiamo la giornata con 9 discese. Abbiamo girato come dei criceti, siamo stremati, ma abbiamo fatto bene: come prevedibile, nel tardo pomeriggio arriva il messaggio “Le prove di domani sono sospese”. Domani quindi tutti a casa. Peccato solo non aver provato la PS 6, la faremo alla cieca.
Il venerdì sera Enrico (Guala, ndr) ci annuncia che la ps1 è annullata: le forti piogge hanno ingrossato il ruscello a fine speciale e sarebbe difficile per i soccorritori raggiungere la speciale in caso di bisogno. Una scelta condivisibile, anche se a tutti i corridori è dispiaciuto parecchio sia per la PS, molto fisica e discesistica, sia per la gara che diventa in questo modo molto meno impegnativa di quanto preventivato.
Ore 9:35: inizia la mia gara. Il primo trasferimento è breve, si sale verso la Caprazoppa per la ps 2, il “Bondi Trail”. Fa fresco, vado su con il solo casco integrale senza fretta: i tempi di trasferimento sono molto larghi.
Inizia quindi la PS2. Il percorso riprende tratti della famosa “Caprazzoppa”, ma al contrario ed è essenzialmente una prova di XC. Si pedala, si pedala e si pedala, di discesa c’è ben poco: qui contano solo il fiato e la gamba. In una ps con circa 6 minuti di pedalato, per di più su tecnici gradoni di roccia viscidi come saponette per la recente pioggia, quello che conta è non strafare. Non puoi partire a tutta, moriresti dopo 2 minuti. Devi dosarti per rimanere lucido, per affrontare in maniera efficiente i vari passaggi e non sprecare inutili energie perdendo grip o scivolando. Parto quindi all’80%, cercando di alternare tratti a tutta con tratti in cui recuperare fiato e lucidità. La speciale sembra non finire mai, pedali, pedali e continui a pedalare. Siamo attorno ai 10 minuti di percorrenza per i rider forti: un bel “riscaldamento”.
Da Borgio Verezzi a Finale il trasferimento è breve, va giusto bene per sciogliere le gambe. Controllo orario, ne approfitto per prendere il casco aperto per affrontare senza morire di sudore la famosa salita del Ponti Romani, un classico della gara di FInale. Tra l’altro questa salita è stata di rcente spianata ed è ora molto meno faticosa che in passato. I tempi sono molo larghi, arriviamo all’inizio di San Michele con abbondante anticipo.
San Michele è la PS3. Uno dei sentieri più famosi del finalese e tra l’altro uno dei miei preferiti. In gara si parte subito con una bella rampa in salita che ti spezza subito le gambe e prosegue poi con un guidatissimo tratto sulla cresta a zig zag tra gli alberi che è una goduria. Arrivato alla chiesetta di San Michele inizia il tratto più tecnico, che culmina con gli ultimi stretti tornanti da girare in nose press. L’obiettivo, per me, è di arrivare non troppo stanco sul finale, per affrontare bene i tornanti e non perdere tempo prezioso con errori o cadute. Rallento un attimo prima per far riposare le gambe, affronto il primo tornante molto bene, con un bel nose, ma sbaglio poco dopo, sul terzo tornante a destra, dove manco la linea interna, la più veloce …eh la cottura! Finisce PS3: abbiamo fatto solo 2 ps, ma le gambe sono belle bollite! La PS2, con tutti quel pedalato è stata devastante!
Breve risalita da Noli al Bric dei Crovi, con tempi di trasferimento sempre abbondanti, ed inizia la più temuta speciale: la DH Uomini.
La DH Uomini (PS4) è insidiosa. Si parte con un tratto facile, da fare a fuoco, per poi immettersi in una sezione pedalata. Pedali, pedali, ma non devi strafare perchè poi inizia il tratto ripido con i famosi muri di ghiaia. Quest’anno per fortuna la pioggia ha stabilizzato un po’ il terreno, migliorando il grip. Per i riders è un vero e proprio bagno di folla: tutti gli spettatori si sono accalcati sul muro finale del sentiero, creando una vera e propria trincea umana. Scendere in mezzo a tutto quel tifo ti da una carica incredibile!
Finita la DH Uomini, le gambe sono a pezzi. Sul lungo trasferimento sull’Aurelia verso finale sono molti i riders fermi per i crampi: e pensare che hanno pure annullato la prima PS!
Sabato notte ha fatto tempesta, con pioggia battente ed un vento di bufera che ha scoperchiato metà dei gazebo presenti nell’area paddock. Ora c’è il sole, ma su in quota le speciali saranno belle fangose.
Il primo trasferimento della giornata, da Finale Ligure alla Base Nato, è lungo: 20km di salita per circa 1000m di dislivello. Ci sono 2 ore e 30, ma la dura giornata di ieri si sente nelle gambe. Arriviamo in cima in un ambiente surreale: la nebbia ogni tanto lascia filtrare dei raggi di luce nel bosco che creano un gioco di luci ed ombre fiabesco.
Il tempo per ammirare il panorama è però poco, ci spostiamo in fretta verso l’inizio della PS5, la più lunga dell’intera gara. 3-2-1 via! La partenza è l’essenza del flow: curve e controcurve in mezzo alla faggeta con il sentiero che si snoda su gobbe e cunette naturali. Chi ha costruito questo sentiero è un mago del trailbuilding! Nonostante il flow, il terreno è però piuttosto morbido e bisogna stare attenti a non scivolare, cercare la frenata sui bordi del sentiero e non strafare sulle contropendenze. Arriviamo alla strada, sto scendendo bene. A parte un paio di rischi, tutto sta andando alla perfezione. Inizia ora la sezione più pedalata, un lungo mezzacosta reso ancora più fisico dal fango che incolla le gomme al terreno, rendendo la pedalata pesante e faticosa. Alzo la sella, inutile scattare in piedi, perderesti solo grip. Spingo quindi sui pedali da seduto. Pedalo, pedalo, cerco di uscire veloce dalle curve per non perdere velocità. Arriva un guado, meglio abbassare la sella. Schiaccio il pulsante del reggisella telescopico: mi rimane in mano.
Ma che …..zzo! Sto schifoso proprio adesso deve rompersi? Un anno che non ha mai dato problemi e proprio qui, a neanche un quarto della speciale più lunga della gara di Finale deve spaccarsi? Mentre pedalo cerco di analizzare la situazione, ma non c’è niente da fare. Il cavo si è spezzato nei pressi del morsetto che attiva il meccanismo di attuazione. La guaina penzola, non si può neanche abbassare a mano. Devo per forza scendere a sella alta, non ho neanche lo sgancio rapido per abbassare la sella (e comunque non potrei perchè con il resggisella da 155mm sono al limite sul telaio).
Frugo nelle tasche, metto da parte tutti i jolly che riesco a trovare nel mazzo e mi preparo alla sopravvivenza. Scendere in mezzo a fango, pietre viscide e gradoni di roccia con la sella alta è da suicidio. Devo limitare i danni, devo spingere, ma non devo neanche ammazzarmi. La speciale è lunga, devo andare a tutta sul pedalato per compensare quello che perdo in discesa. Per fortuna la prima parte non è tecnicissima, le curve sono insidiose perchè con il baricentro alto è facile impuntarsi nelle canale di fango, ma il problema sono i gradoni finali, che saranno viscidi come sapone. Già sono impegnativi a sella bassa con l’asciutto, figuriamoci in queste condizioni…
Il primo pezzo va abbastanza bene, mi chiedo come diavolo facciano in coppa del mondo di XC a fare quelle discese con la sella alta. La DVO mi salva da numerosi impunti, le erigerò un pilone votivo, se non muoio prima della fine di questa discesa. Gioco un po’ di jolly, ma gli altri li devo conservare per i gradoni finali, che sono sempre più vicini. Mi raggiunge e sorpassa il rider dietro di me, ci sta data la situazione. Pensavo peggio, mi ha raggiunto solo adesso che siamo quasi in fondo. Ma quando finisce ‘sta agonia? Curvone su strada forestale dove quasi mi sdraio travolgendo un marshall ed ecco l’inizio del tecnico. Vedo la vita passarmi davanti in diverse occasioni, il pubblico urla ad ogni jolly, ma la mia tattica è semplice: impugnatura a 10 dita, rosario alla mano, santino sul manubrio e lascia correre. Finchè non freni non ti impunti, dicono. Il tutto funziona, recupero addirittura il rider che poco prima mi aveva passato e finisce la speciale: sono vivo!
Devo dire che, a parte il pessimo risultato, questa discesa mi ha dato una bella botta di adrenalina. Forse mi sono divertito di più che a farla a sella bassa, devo tenerlo presente per il futuro 😉
Ultimo trasferimento verso l’ignoto. La PS6 è per me sconosciuta, gara alla francese. Sono abbastanza stanco, ma siamo verso la fine. Le gambe girano ancora, ma la mia preoccupazione è il reggisella: riuscirò a ripararlo? Sosta ad una fontana per lavare la trasmissione della bici, tolgo le ginocchiere e le appoggio su di una panchina. Riparto, raggiungo il ristoro, mangio, sistemo il reggisella rinfilando il cavo nel morsetto (si era solo sfilato) e inizio l’ultimo pezzo di sterrato. Ad un certo punto il flash: le ginocchiere! Dove sono? Non dirmi che sono rimaste sulla panchina… Eh si, non ci sono. Guardo il Garmin: 30 minuti allo start. Da qui a su sono circa 15 minuti, ne ho 15 per scendere e risalire. Parto a fuoco in contromano, raggiungo la fontana. 25 minuti rimanenti: inizia la cronoscalata. Pedalo a tutta, guardando il Garmin. E’ una corsa contro il tempo, le gambe sono stanche, ma non devo mollare. Piuttosto arrivo morto in cima, scendo seduto, ma non devo assolutamente prendere penalità, sarebbe peggio. Arrivo in cima che manca 1 minuto alla partenza…
Inutile dire come fossero le gambe in questa pedalatissima speciale. Nel primo pezzo bene o male me la cavo, sono ancora caldo e non c’è troppo da spingere. Poi però inizia il pedalato. Le gambe bruciano, ma quanto è lungo? Passano dei momenti interminabili, si pedala sempre, la fine non arriva più. Sono morto, adesso collasso. Stringo i denti, non può mancare molto. Arriva una curva, dai che siamo vicini! Magari… Davanti a me un infinito mezzacosta tutto pedalato, con infami strappetti in salita. L’inferno. Pedalo seduto, controllo zero, rischio di cadere di sotto 2 o 3 volte, punto solo ad arrivare in fondo. Ecco il finish, sono devastato.
Non ho più forze, percorro a fatica l’ultimo trasferimento verso la fine: ormai ce l’ho fatta, devo solo arrivare in fondo e chiudere la gara. Poi spiaggia e bagno! Se ci arrivo al mare e non collasso sulla sabbia…
A gara finita che dire di questa EWS di Finale? Bisogna ammettere che Finale è sempre Finale ed anno dopo anno si rivela sempre più una delle location migliori per l’enduro. La gara è stata bella, davvero tanto e si vede che gli organizzatori sanno il fatto loro, tuttavia anche tanto, tanto, troppo pedalata. La PS2 a mio avviso non è una ps da enduro. Diciamo che in una gara molto discesistica ci può anche stare, ma qui anche le PS6 e 7 erano molto molto fisiche. La lancetta era insomma molto sbilanciata verso il pedalato. Ad ogni modo anche questo fa parte dello spirito dell’enduro: a Samoens pedali poco, a Finale trovi la speciale XC, a Whistler i muri di roccia ed sentieri tecnici. Alla fine viene devi guardare tutto il circuito, non la singola gara e non si può certo dire che quest’anno le EWS non siano state nel complesso più che equilibrate.
Dopo finale possiamo veramente dire che, anno dopo anno, l’enduro sta crescendo in tutto il mondo. Il livello di questa gara è stato altissimo, basta vedere i distacchi dei top riders. …e qui in Italia cosa sta succedendo? E’ possibile che in una delle nazioni culla del movimento enduro, non riusciamo ad avere un campionato italiano degno di tale nome, che possa dare ai riders la possibilità di crescere su percorsi impegnativi, propedeutici per quella che è oramai una coppa del mondo a tutti gli effetti? Che possa dare agli sponsor, ai team ed agli atleti la giusta visibilità che permetta loro di avere il giusto supporto economico per concentrarsi sulla preparazione e sull’allenamento?
Speriamo che la prossima stagione le acque si smuovano, proprio da noi che avevamo un circuito che tutti ci invidiavano e ci ritroviamo oggi a non sapere che cosa sarà dell’enduro italiano.
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