13 del pomeriggio: sole e nuvole si alternano sul lungomare di Sestri Levante. La voce di Enrico (Guala, speaker e coinventore dell’enduro italiano) riecheggia tra i carrugi e le spiagge della bellissima Baia del Silenzio mentre le ragazze, prime a partire, stanno lasciando la zona Start per avviarsi alla prima speciale di giornata.
Nell’area team, sotto il gazebo, ognuno si prepara all’imminente partenza. C’è chi controlla che la bici stia ancora insieme, chi urla e non riesce a stare fermo già in preda alla trance agonistica, chi controlla meticolosamente ogni singolo dettaglio della bici cercando un improbabile problema o difetto passato inosservato alle migliaia di analisi ed ispezioni già effettuate in maniera ossessiva nelle ore precedenti.
Tutti nel team sono super affaccendati, ma io sono tranquillo. Me ne sto seduto su una sedia a prendere il sole, aspetto il mio turno di partire e cerco di rimanere rilassato e concentrato. Inutile agitarsi.
Ore 14:30: finalmente arriva il mio turno di partire. Avendo il 216 mi tocca aspettare un bel po’, ma non è certo un grosso problema. Ci viene, come consuetudine, consegnata la tabella oraria, quindi partiamo diretti alla prima speciale.
Il primo trasferimento non è per niente lungo, il tempo è decisamente abbondante, quindi si sale con calma. Cerco di scambiare due parole con il rider prima di me, ma non è molto loquace e quindi saliamo in silenzio. Poco male, anch’io in fondo non ho tanta voglia di chiacchierare, almeno così sto concentrato sulla gara.
Arriviamo in cima con abbondante anticipo, la salita era veramente breve, ma la vera fatica ci aspetta nella pedalatissima PS1.
Partenza, via. L’inizio della PS è subito in salita. Pedalo stando seduto, cercando mulinellare ed alternando brevi tratti in piedi, giusto dove ci sono tratti più ripidi da superare. La tattica paga, arrivo allo scollinamento lucido e con le giuste energie per il resto della discesa. Brusca curva a destra, inizia ora il pezzo più tecnico. Guido bene, il ritmo è giusto ed intravedo il rider davanti a me.
Lo recupero, gli sono attaccato. Chiedo strada: niente. Poco male, adesso inizia lo stradone, lo spazio per passare non manca. Chiedo di nuovo strada: niente. “Passo a destra”, lui si sposta a destra. “Passo a sinistra” lui si sposta a sinistra. Ho capito, non vuole far passare. Raggiungiamo il rider davanti a noi, brillante idea: tento il doppio sorpasso. Lui passa a destra, io provo a sinistra a passare tutti e due: non funziona, il rider davanti a noi si sposta a sinistra per cedere strada, quindi mi trovo chiuso contro i cespugli.
Rallento, sorpasso a destra e mi accodo di nuovo. Non c’è proprio modo di passare! Boh, lo sbatto fuori: colpo secco sulla ruota e vola per terra. A mali estremi estremi rimedi! Continuo ad urlare chiedendo strada, o è sordo o lo fa apposta. Mi accingo a speronarlo, quando intravedo uno spiraglio: l’istinto mi dice di sbatterlo fuori comunque, ma la testa mi dice di approfittare e passare davanti. Seguo la testa.
Il pedalato continua, ora è tempo di darci dentro per recuperare il tempo perso. Scatto a più non posso, entro nei tornanti come un disperato, dopo due ulteriori sorpassi di rider sportivi che cedono subito strada, arriva il sentiero finale. Guido tranquillo, il fondo è leggermente viscido non voglio rischiare. Sorpasso ancora il 210, che si blocca in un tornante: lo vedo che è stremato, non ha colpe. Arriva la fine della ps e finisce la “megavalanche” di Sestri.
Sono piuttosto incazzato: aspetto che arrivi il rider che mi ha intralciato, gliene dico quattro. Questo non è un atteggiamento sportivo, la prossima volta lo sbatto fuori. Ancora incarognito mi avvio per la seconda speciale di giornata: il prologo.
Devo essere sincero: in tanti anni di gare enduro sorpassi ne ho fatti molti, ma ho sempre trovato riders sportivi che cedevano strada. Che qualcosa stia cambiando nell’enduro?
Boh, megio lasciarci tutto alle spalle e pensare alla gara. Cerchiamo di convertire l’arrabbiatura in grinta agonistica: ora è tempo della PS2, il prologo.
Mentre mi accodo nel piazzale per la partenza, un piccolo dettaglio mi torna in mente: mi sono dimenticato di provare! Con un numero così alto non ho la possibilità di fare nessuna ricognizione prima di partire perchè la gara è già iniziata. Poco male comunque, tanto il prologo è sempre uguale e dopo tutti questi anni non sarà un grosso problema.
Parto, cerco di pedalare a più non posso. Arriva la prima curva, tutto vs bene, sono veloce e deciso. Ora è tempo dell’attraversamento della spiaggia. Ci dovrebbe essere una pietra sulla destra che permette di saltare la sabbia ed atterrare sui tappeti. La cerco, ma non la trovo.
Entro un po’ male sulla sabbia, mi scompongo, do una zampata per terra. Finisce la spiaggia, curva a sinistra e poi a destra. Mi allargo, ma ci sono due pedoni di fianco al muro, proprio dove sarei voluto passare io! Poco importa, gli faccio una rasetta, ma mi trovo troppo interno. Allargo troppo la curva, mi avvicino troppo alle transenne e devo frenare per non schiantarmi… Rilancio sui pedali, cercando di recuperare l’errore, ma è inutile.
Finita la speciale è tempo dell’area manutenzione, una novità del circuito PRO 2014. Ogni rider ha 30 minuti di tempo per sistemare la bici, trascorsi i quali questa andrà consegnata al parco chiuso dove sarà custodita, senza possibilità di accesso, fino a 10 minuti prima della partenza il giorno successivo.
Marco Bugnone, il nostro fidato meccanico del team, dopo essersi occupato della bici di Vittorio (Gambirasio), si dedica alla mia. Tutto è in ordine per fortuna, ci limitiamo al controllo dei serraggi ed ad una pulizia e lubrificazione della catena e delle sospensioni.
Consegno la bici ad una ragazza dell’organizzazione che la posiziona sulle apposite rastrelliere.
C’è da dire una cosa, da vedere e da vivere il parco chiuso è uno spettacolo! Illuminato a giorno per tutta la notte, le bici rimanevano a riposare sulla spiaggia in attesa della durissima giornata di gara che le avrebbe aspettate il giorno seguente.
Nessuna paranoia, nessun check up di mezzanotte o cambio gomme dell’ultimo minuto: fa strano non doversi occupare della bici prima della gara. …forse, come dice Carletto Germanetto, l’unico modo per far felici i bikers è togliergli le bici!
Ore 10:30: è ora di ritirare la bici. 10 minuti per controllare che non ci siano sorprese dell’ultimo minuto e via, si parte per le tre speciali della domenica!
La prima salita passa abbastanza in fretta, le gambe girano bene e saliamo con buon ritmo, pur sempre senza strafare. Arrivo in cima dove ci attende un chiassoso ristoro con tanto di dj set e musica a manetta, ma l’attenzione è incentrata sulla temibile Ca Gianca, la PS più insidiosa della gara di Sestri.
Perchè Ca Gianca incute tanto timore agli enduristi? La risposta è semplice: è infida ed insidiosa. Tutte rocce, pietre, radici tornantini al limite della percorribilità ed una serie di insidie nascoste le une dietro le altre. C’è poco da fare: se la prendi sotto gamba, Ca Gianca non perdona!
Parto concentrato, per di più oggi è pure bagnato! Nessun problema nel primo tratto da pedalare, il fondo è ottimo, ma mano a mano che si scende nel bosco il viscido comincia a diventare più intenso. Non è il fango il problema, il problema sono le pietre scivolose come saponette. Bisogna stare all’occhio perchè appena entri nell’ombra devi stare attento a dove metti le ruote.
Cautela insomma, ma anche freddezza e decisione. Guido bene, senza strafare, raggiungo quattro riders e li supero senza problemi. Per fortuna il mio acerrimo rivale che parte prima di me se la cava in discesa, quindi lo raggiungo solo a fine PS, quando sorpassarlo sarebbe inutile.
Seconda risalita di giornata ed è ora delle Mimose, la 4° speciale della gara ed uno dei più bei sentieri di tutto il circuito Superenduro.
C’è poco da dire, le Mimose è una discesa spettacolare! Parti a 2000 all’ora nel toboga, quest’anno un po’ più bucato del solito con diverse brake bumps, poi ti butti a capofitto verso Sestri.
Guido veloce, forse troppo e nel toboga mi gioco un paio di jolly rischiando di investire anche un fotografo. Arrivo nel pezzo centrale piuttosto aggressivo ed infatti comincio a recuperare di nuovo i riders davanti. I primi due sorpassi non sono un problema, ma davanti a me trovo di nuovo il fatidico 215.
Devo passarlo prima del pedalato se no è la fine. In discesa però se la cava, fatico a recuperare terreno. Ultima curva prima del pedalato, devo tentare il tutto per tutto. Taglio all’interno ma non ce la faccio ad infilarmi davanti. Tutto è perduto!Tratto pedalato, si va a passeggio… Il problema non è neppure il mio acerrimo rivale, tanto quanto il suo compagno di squadra davanti a lui. Certa gente proprio non la capisco: ostacolarsi pure tra compagni di squadra?
Finisce il pedalato, sorpasso il mio rivale che sta volta cede correttamente strada. Il problema è l’altro, che non mi fa passare. Siamo ormai quasi alla fine, ma non mi va di accodarmi e perdere ulteriormente tempo. Arriviamo sul salto di lamiera, quello che in genere si evita perchè inutile e mal fatto. Ne approfitto: entro a cannone sul salto e cerco di passarlo in aria. La tattica funziona, il pubblico è in delirio e mi sento gasato come non mai. L’ultimo tratto di speciale è insidioso, ma ho ancora tante energie. Spingo a manetta, prendendo tra l’altro dei rischi non indifferenti e rischiando l’esplosione diverse volte.
Finisce la speciale con un po’ di amaro in bocca: sono stufo di gente che non ti fa passare. Vorrei fare la mia gara senza intralci.
Breve trasferimento al CO, rapido check up ed ingrassata alla bici e si riparte per l’ultima lunga risalita di giornata.
Le gambe stanno bene, anche se la fatica della PS4 si fa sentire. Salgo agile, cercando di sciogliere i muscoli. Meno male che quest’anno posso contare sul 42 posteriore!
Arriviamo comunque in cima con 25 minuti di anticipo, i tempi di trasferimento erano belli tranquilli, ma ci sta: siamo ad inizio stagione.
In cima però c’è poco da rilassarsi: sappiamo tutti che le fatiche non sono finite, la PS5 Sant’Anna è fisicamente devastante.
Parto bene nel bosco, pedalo deciso e guido pulito, cercando di mantenere una guida efficiente. Nel tratto pedalato recupero subito il 215 che stavolta mi fa passare senza problemi. Forse ha finalmente capito che siamo in una Superenduro, non in un’Avalanche?
A metà cerco di rifiatare, supero ancora un paio di persone, ma non appena arriva il doppio mollo i freni, abbasso la sella e mi butto già a cannone sulle pietre assassine di Sant’Anna. E’ un vero genocidio di braccia, mani e gambe: non c’è un secondo di tregua!
Stringi i denti, cerchi di tenere le giuste traiettorie. Le braccia sono stanche, le gambe bruciano ma la discesa è ancora lunga e non puoi certo mollare.
Ultime cascate di roccia, siamo quasi alla fine. Si esce sulla strada romana, dove si dovrebbe rilanciare a più non posso. Si dovrebbe, è vero, ma vallo a spiegare alle gambe? Pedalo al 100%, cercando di dar fondo a tutte le energie rimaste.
Il tratto della strada romana non finisce mai, senti la bici impattare sulle pietre, ma tu sei troppo bollito per guidare attivo, sei un sacco di patate o un comodino lanciato giù da un dirupo, come direbbe qualcuno. Ad un certo punto la fine: il tappeto ed il tavolo dei giudici.
Sono stremato, fatico pure a staccare le mani dal manubrio ma la gara è finita. Controllo punzonature e via a far la doccia!
Aspettiamo con ansia le classifiche definitive: tutti sono attaccati ai cellulari per seguire gli aggiornamenti live sui tempi di gara.
Alla fine concluderò con un 74 posto, non male ma sicuramente tanti sorpassi non hanno certo aiutato.
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