[Race Insider] Superenduro PRO5 – Alpi Bike Resort. Con video

Che la gara di Sauze d’Oulx sarebbe stata dura ed impegnativa si sapeva da tempo, sin da quando sono usciti i percorsi. Una formula un po’ diversa dal solido, con tante novità che hanno fatto della PRO 5 una gara fuori dagli schemi tradizionali del Superenduro.

La formula di gara

Cominciamo con ordine, partendo dal Sabato: 7 prove speciali, con “solo” 2 trasferimenti pedalati, il resto con gli impianti. La sera di sabato arrivo a Sestriere, dove ogni concorrente aveva 30 minuti a disposizione per eventuali riparazioni, trascorsi i quali la bici doveva andare nel parco chiuso, dove nessuno l’avrebbe potuta toccare fino all’indomani.

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La domenica  mattina ripartenza da Sestriere. Prese le bici dal parco chiuso, risalita in cabinovia per l’8° prova speciale. Dopo la PS una lunga pausa, vengono stilate le classifiche e si preparano le batterie di partenza per la cronoscalata di qualificazione della Supermountain (che quest’anno era in gara ed obbligatoria per tutti).

La formula di qualificazione è la seguente: in base alla classifica provvisoria dopo la PS 8, si parte da Sestriere direzione Col Basset, a gruppi di 10 riders ad intervalli di 1 minuto. La posizione in griglia è stabilita in base all’ordine di arrivo in cima: chi primo arriva meglio alloggia e si prende i posti davanti. La salita è piuttosto lunga, circa 450m di dislivello, quindi il minuto di vantaggio è facilmente recuperabile. Bisogna insomma pedalare forte per cercare di recuperare posizioni ed evitare di perderne, ma allo stesso tempo non ci si deve bruciare le gambe per poter dare il massimo nella Supermountain.

Nella Supermountain viene preso il tempo di ogni singolo rider, questo tempo sommato a quello delle singole prove speciali determina la classifica finale. E’ quindi importante essere davanti, perchè finire imbottigliati nelle retrovie significa perdere anche numerosi minuti.

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Franco Monchiero ed Enrico Guala hanno pensato per la 5°  PRO della stazione ad una gara piuttosto diversa dal format abituale.

Una formula molto diversa dal solito, ma secondo me molto azzeccata e piuttosto divertente: la Supermountain finale può rimescolare moltissimo le carte in tavola, aggiungendo quel brivido e quell’incertezza in più che mantiene alta la tensione fino all’ultimo secondo!

Day 1: il Sabato

Una gara lunga ed impegnativa come questa, richiede una preparazione non indifferente. Sono tanti i tracciati da provare, ma fino al giovedì della gara gli impianti sarebbero stati quasi tutti chiusi ed i percorsi non tracciati. Si poteva insomma provare solo giovedì e venerdì, a patto ovviamente di poter prendere ferie. Nel mio caso, purtroppo, avendo due esami proprio in quei giorni, non ho potuto provare, così mi sono fatto 2/3 di gara alla cieca. Correre alla cieca non si rivelerà purtroppo una grande idea…

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Venerdì, per fortuna, riesco comunque a ritagliarmi un’oretta di tempo per fare un giro (sotto la pioggia) della parte alta delle speciali che non avevo provato, almeno per farmi un’idea del tracciato.

Ore 7 di Sabato: sveglia, tutto è pronto per la partenza. Alle 8:30 parte il primo, dopo 20 minuti parto pure io per il primo trasferimento in seggiovia. Arriviamo in cima, il terreno si sta asciugando ma è ancora umido. C’è chi monta ancora le gomme da fango, mentre io, conoscendo il terreno di Sauze, opto per quelle da asciutto: so già che con il sole il fango scomparirà in fretta.

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Parto per la prima PS, la Goudron. L’inizio è subito hard: ripidi tornanti in contropendenza su prato bagnato ed ancora fangoso, un sentiero giusto per scaldarsi! Bisogna guidare puliti, non farsi spaventare dalla pendenza e frenare solo dove serve. Guido bene, sono ancora un po’ rigido, ma non commetto errori. Inizia ora il tratto nel prato: vado veloce, cercando di stare fuori traccia per trovare l’erba, lontano dal fango del tracciato. Ad un certo punto anticipo, staccata sull’erba,  taglio un tornante a filo del paletto con la fettuccia e sorpresa! Cosa trovo? Una serie di rami accatastati ad inizio curva e sparsi quà e là dai rider che mi hanno preceduto… Chi diavolo gli ha messi? Chi è stato il sabotatore? Domande a cui nessuno può dare risposta, fattostà che uno di questi rami si infila sotto la ruota posteriore, la fa sbandare e mi sdraio come un sacco di patate in mezzo al prato. Una caduta banale comunque, mi rialzo subito, ma appena riparto mi accorgo che il cambio non funziona: si è spezzato il cavo…

Finisce la PS, scendo come posso non potendo rilanciare come vorrei, ed analizzo la situazione: non ho il cavo con me, ma ce l’ha un amico che dovrebbe salire a breve con la seggiovia… Il problema è che ora c’è il trasferimento pedalato: il tempo non è molto, come posso fare? Stringo la vite di fine corsa, in modo da recuperare un paio di rapporti… Sono sul terzultimo pignone, con la monocorona è impossibile pedalare. C’è poco da fare, devo salire a piedi, in cima poi potrò recuperare il cavo. Salgo di buon passo, con un’occhio sull’orologio. Il tempo scorre inesorabile. Ce la farò? Ho il fiatone, cammino e corro quando ce la faccio. Mancano 10 minuti, la partenza è proprio sopra di me… La strada però fa un giro lungo, troppo lungo da fare a piedi: decido per salire bici a spalla per la massima pendenza della montagna. In fondo non c’è nessuna fettuccia che obblighi a fare il giro!

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Arrivo in cima stremato, la gente mi guarda incuriosita: non possono sapere il motivo di una scelta apparentemente folle: perchè uccidersi sulla massima pendenza, quando c’è un’ampia strada che permette di salire agevolmente? Il tempo passa, ora mancano 4 minuti alla partenza! Cambio il cavo frettolosamente, le mani tremano per la fatica e la tensione, ma 4 minuti sono pochi, troppo pochi per riparare il danno. 1 minuto allo start, chiedo al cronometrista di contare il tempo come se fossi li davanti. Fisso e regolo frettolosamente il cambio, ma il cavo è messo male… Il cronometrista conta gli ultimi secondi, allaccio il casco e parto al volo per la PS2, ancora con il fiatone. Primo strappo in salita, il cambio, seppur a singhiozzo, funziona! Evviva! Pedalo senza sforzare, la catena un po’ rumoreggia ma almeno sono in gradi di pedalare e rilanciare! Sono comunque ancora in affanno per la salita alla “Forrest Gump”, quindi guido male, sono stanco e sento le gambe di gelatina. Finisce la speciale, non ho fatto un tempone ma tutto sommato non ho perso troppo: va bene così!

In fondo, con un po’ più di calma, sistemo il cambio. Il colmo è che a pochi metri ho il meccanico del team a disposizione, ma da regolamento devo essere autonomo e quindi provvedo da solo a riparare il danno. Nell’enduro certe volte devi anche essere un buon meccanico, oltre che un buon rider!

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Salita per la terza speciale in seggiovia ed arriva anche il turno della Supersauze, la Speciale con la S maiuscola. 15 minuti di puro enduro, in mezzo a rododendri e pinete da cartolina. Parto, cercando di ricordare la PS dalle edizioni precedenti. Bene o male qualche vago ricordo ce l’ho, ma non ho avuto modo di provare i numerosissimi tagli, più o meno regolari, disseminati lungo il percoso: è allucinante quante tracce ci siano, alcune linee passano a metri di distanza dal sentiero originario… Puoi arrivare in fondo senza quasi toccare il sentiero originale. Purtroppo, non avendo potuto provare, mi limito alla linea principale, prendendo quei pochi tagli particolarmente visibili. Tutto fila liscio fino in fondo, dove su una variante appena aperta, cado, ribaltandomi. Perdo tempo, mi passano il rider dietro di me e quello ancora dietro (scoprirò poi essere tra i top 5): sono abbastanza demoralizzato…

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Tempo del controllo orario, tempo di riparazioni… Ho un raggio rotto, il forcellino piegato e la ruota posteriore che sembra la salita dello Stelvio tanto è storta! Per fortuna Jack, uno dei nostri meccanici, riesce a sistemare tutto e posso ripartire con la bici abbastanza in ordine.

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Inizia il secondo giro, identico al primo. Come prima si ripete la Goudron, la PS in cui ero caduto rompendo il cavo del cambio. Stavolta evito i rami come la peste: meglio allargare la traiettoria che rischiare di spaccare di nuovo. Ad un certo punto vedo un taglio in mezzo al prato sulla destra: sembra vantaggioso, lo prendo. Scendo velocissimo, d’altronde è tutto dritto, ma ad un certo punto, dietro una gobba di terra, la sorpresa: una profonodissima canalina piena d’acqua. Impossibile evitarla, troppo tardi per saltarla, alzo l’anteriore ed impatto violentemente con il posteriore sul ciglio. Una botta fortissima, per fortuna non mi ribalto, ma il piede destro per il colpo si sgancia dal pedale e scivola in avanti. Il piede si punta nella terra, la bici spinge la gamba con forza in avanti e la caviglia si gira… Una fitta di dolore tremenda, il piede finisce anche sotto la ruota posteriore che gli da il colpo di grazia… Non so come faccio, ma non cado, tuttavia la caviglia ha preso una brutta distorsione. Non riesco più a stare in piedi, scendo il resto della PS seduto… Dentro di me la profonda amarezza che la gara, la Supermountain e probabilmente parte della stagione estiva sono andate.

Finisce la speciale, mi butto nel prato e tolgo la scarpa per analizzare i danni. La caviglia è già bella gonfia, ma non è rotta. Il dolore piano piano diminuisce, “Proviamo a pedalare il trasferimento in salita e vediamo cosa succede poi in PS”. A pedalare nessun problema, salgo tranquillizzandomi un po’: la distorsione c’è ma non è così grave, forse riesco a proseguire anche se zoppo!

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Arriva la PS 5, la lunghissima Caramel. 15 minuti di radici e pietre spacca braccia, con due profondissimi guadi da fare a piedi (in realtà sapendo come prenderli si potevano fare in sella). Parto molto conservativo, devo vedere come va la caviglia: fa male, ogni buca è una fitta ma stringo i denti. Arrivano i guadi, mi pianto e devo scendere a piedi. Brutta cosa con la caviglia in queste condizioni, devo stare molto attento a come appoggio i piedi e quindi vado con cautela. Finisco comunque la speciale con un tempo dignitoso, non sono certo andato bene ma a questo punto cerco solo di arrivare in fondo.

Penultima risalita in seggiovia: è ora della Supersauze. Stavolta ho adocchiato alcuni tagli, saranno miei! La caviglia è ancora migliorata, finchè è calda tiene. Vedremo domani… Parto, iniziano le prime curve e scendo piuttosto veloce fidandomi delle contropendenze ormai asciutte. Tutto fila perfettamente quando ad un certo punto, in un bel curvone veloce sento la gomma dietro stallonare ed inesorabilmente sgonfiarsi… “Maledetto Tubeless!” Provo a far risalire la gomma, ma è impossibile senza compressore… Smonto la ruota, rimuovo la valvola e stallono metà del copertone. Infilo la mano nello zaino per prendere la camera d’aria, ma sorpresa: non la trovo. “Ci deve essere, non è possibile” ed invece no, per qualche strana ragione non c’è, è sparita. Dove sia finita non lo so, probabilmente è caduta da qualche parte… Forse in casa, forse in macchina, chi può dirlo? La disperazione… Mi aspettano 12km di discesa con la gomma bucata, non ci sono alternative. Sarà lungo, molto lungo… Mi avvio, finchè c’è prato scendo in sella, ma dove ci sono le pietre scendo a piedi per non danneggiare il cerchio. Arrivo al fondo dopo 35 minuti di prova speciale: ultimo degli ultimi.

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Basta, è ora di tornare a casa… Mi sono fatto male, la gara è andata: che senso avrebbe continuare? Rinunciare però è una parola che non esiste nel mio dizionario: significa dichiarare la propria sconfitta. …e poi l’indomani c’è la Supermountain, la aspetto da 6 mesi non posso certo abbandonare!

Per fortuna il trasferimento passa dall’area paddock, quindi ho modo di recuperare una camera d’aria senza infrangere il regolamento. La cambio in completa autonomia, come prevedono le regole, con Jack, il nostro meccanico che ascolta il racconto delle mie disavventure scuotendo la testa… Riparto, ma so di essere in ritardo: non ce la farò mai ad arrivare in tempo all’ultima speciale della giornata. Prendo le due seggiovie, da qui un breve tratto pedalato che percorro a tutta, ma è assolutamente inutile: ho comunque 18 minuti di ritardo!

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Parto lanciato, senza fermarmi, per l’ultima PS di giornata. Sono stremato, scendo tranquillo tanto, a questo punto, fa poca differenza. Arrivo in fondo e vedo il tempo della PS: 25 minuti, ottimo! Mi sposto verso il CO di fine giornata, dove scopro di essere anche li in ritardo: altri 5 minuti di penalità. Provo a contrattare con i giudici di gara per avere qualche minuto extra di penalità, in modo da fare cifra tonda. Non ne vogliono però sapere!

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Dopo il CO ci sono 30 minuti per riparare la bici. Il nostro meccanico non è niente di meno di Marco Bugnone, che oltre ad essere un ottimo rider è anche un ottimo meccanico. Non so come, ma riesce a rimettere in sesto la bici in pochissimo tempo: cambio e trasmissione sono perfetti nonostante le vicissitudini, come nuovi! Grazie Marco!

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Lascio la bici al parco chiuso e finalmente si conclude questa lunghissima e sfortunatissima giornata di gara. In qualche modo sono arrivato in fondo, ma sono comunque tra gli ultimi, con un distacco abissale tra penalità e ritardi. Guardo però la lista dei ritirati: circa un’ottantica. Beh, almeno 80 persone le ho messe dietro!

Non so ancora se riuscirò a correre l’indomani, la caviglia è bella gonfia. Ghiaccio ed anti-infiammatori, vedremo la mattina.

Domenica: day 2

La sveglia suona alle 6 del mattino, la levataccia è indispensabile per prendere per tempo i pullman che ci avrebbero portato a Sestriere. La prima cosa che controllo è la caviglia: contrariamente alle aspettative è messa bene, ancora gonfia ma sembra tenere. Preparo un bendaggio che la sostenga, insieme alle scarpe alte dovrebbe funzionare, per lo meno credo di riuscire a correre. Finalmente una buona notizia! Riuscire a correre la Supermountain era uno degli obiettivi del week end.

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“Perchè tanta smania di correre la Supermountain?”, vi chiederete. Le motivazioni sono molte… Innanzitutto quest’anno non sono potuto andare alla Mega dell’Alpe d’Huez e la cosa mi ha fatto rosicare moltissimo… In secondo luogo io e Marco Bologna (Manitou qui sul forum), abbiamo un conto in sospeso: durante un'”avalanche” tra amici, organizzata così per scherzare, gli ho giocato un brutto tiro. Dopo un taglione in mezzo al bosco, sono uscito a velocità fotonica dalla vegetazione, speronandolo e facendolo schiantare contro un albero. Questo mio scherzetto ha innescato una caduta di massa che ha messo fuori gioco gli altri concorrenti, permettendomi di arrivare indisturbato all’arrivo. Da allora mi ha giurato vendetta, e la supermountain di Salice sarebbe stata la prima occasione buona dopo 1 anno e mezzo per aggiustare i conti!

A parte gli scherzi, la possibilità di confrontarsi direttamente in una gara “corpo a corpo” con gli amici ed i compagni di squadra è un’occasione unica, che non avrei mai voluto perdere. La mia gara a questo punto sarà solo ed esclusivamente la Supermountain, visto che il resto è ormai compromesso dall’enorme ritardo cumulato.

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In quest’ottica, percorro quindi la PS8 ad andatura turistica. Ci impiego 9 minuti (!), ma non ho dato un colpo di pedale, proprio per cercare di conservare tutte le energie disponibili per la Supermountain e la cronoscalata di qualificazione.

Dopo la PS8 ci attende una lunghissima interruzione. Le classifiche vengono stilate, controllate e pubblicate con la lista dei riders e delle batterie in cui sarebbero dovuti partire. Io sono nella 18° ed ultima batteria, partiremo con 17 minuti di ritardo rispetto ai primi.

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Ore 14 del pomeriggio, iniziano gli schieramenti. Nelle prime file la tensione è alta, ma nessuno vuole comunque tirare più del previsto per non sprecare preziose energie. Nelle retrovie sono invece tutti rilassati: siamo tutti stremati dal giorno precedente di gara e l’obiettivo dei più e solo di arrivare in cima.

Per me è invece diverso, la mia gara inizia adesso. La tattica è semplice: peda come se non ci fosse un domani. Devo andare a tutta, cercando di passare quanta più gente possibile e recuperare posizioni. Stop.

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3-2-1: VIA! Si parte. Parto subito con un buon ritmo, quello che mi partiva di fianco, anche lui attardato da problemi meccanici, mi fa “Dai andiamoli a recuperare!” Ci diamo i cambi nel primo tratto pianeggiante di asfalto, siamo controvento ed un po’ di scia torna utile. Inizia quindi la salita, io apro le danze, lui segue. Iniziamo a sorpassare diverse persone, prima quelli del penultimo gruppo, poi alcuni riders rimasti attardati dai gruppi precedenti. Il mio compagno di salita, nonostante fosse bello carico, non riesce però a tenere il ritmo. Lo abbandono e proseguo in solitaria… Cerco di tenere una buona andatura, di spingere il più possibile senza andare fuori soglia. Vedo che i metri di dislivello passano velocemente, ed il fatto di sorpassare tantissimi riders mi da la carica: ogni persona che passo è una persona in meno che avrò davanti in discesa. La rimonta ha inizio!

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Arrivo in cima, intravedo la linea di partenza: la salita non era lunghissima, ma ho comunque consumato parecchie energie. Posiziono la bici in decima fila, dalla 186° posizione ora sono 100 in griglia: ho sorpassato ben 80 persone. Non male, una piccola soddisfazione in una gara nata sotto una cattiva stella.

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Posiziono la bici in griglia come avevo programmato, dopo circa 45 minuti di attesa ci dicono che è ora di partire e ci schieriamo in sella alle bici. I momenti prima della partenza di una freeride marathon sono sempre carichi di tensione: l’adrenalina scorre a fiumi, tutti sono concentrati per dare il massimo alla partenza. Il tempo sembra non passare mai, come se si fermasse…

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1 minuto… 30 secondi… 10-5-4-3-2-1: via! Si alzano le fettuce ed iniziano le danze! Davanti a me avevo già adocchiato un buco, in cui ovviamente mi ci infilo, recuperando in un istante i riders di ben due file in avanti. Scatto lateralmente, pedalo a tutta. Ad un certo punto vedo che davanti a me si stanno schiacciando l’uno contro l’altro due gruppetti piuttosto numerosi, sembra innescarsi una caduta di massa. In una frazione di secondo mi sposto sul fianco della montagna, salgo leggermente per evitare l’ingorgo e quando scendo sono davanti. Da qui in poi trovo strada libera e pedalo a più non posso. La tattica di partenza è stata vincente, tanto che sorpasso il mio amico Marco Bologna, che partiva dalla 4° fila. Davanti a me intravedo i primi, dovrei essere ben piazzato attorno alla 30a posizione.

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Il pedalato sembra non finire mai, pedalo a più non posso fino quasi allo svenimento. Non ci sono scelte, si deve dare il 110% sul primo tratto di strada, ci si riposa poi sul sentiero dove è più difficile farsi superare. Arriva il sentiero, sono veramente bollito. Ad un certo punto, come da copione, il guado da fare a piedi, con il conseguente imbottigliamento. La mia tattica era chiara: attraversare il fiume più in alto, salendo a piedi ed evitando la coda. Carico la bici in spalla e parto nel bosco, ma ad un certo punto metto male il piede e “crack”: sento la caviglia muoversi, una fitta mostruosa… L’idea era buona, ma la caviglia non mi permette di metterla in pratica, allora mi butto giù dalla riva verso il sentiero, scivolando e trascinando la bici dietro di me. Qualche posizione l’ho recuperata quando mi reimmetto nel sentiero, ma sono molto impacciato a piedi: la caviglia è un grosso problema. Quelli dietro di me non apprezzano questa mia lentezza ed il fatto che perda terreno rispetto a quello davanti fa si che venga letteralmente assalito e sorpassato da molti, con metodi decisamente poco delicati. Ad un certo punto vedo arrivarmi una bici in faccia!

“Amici amici, amici un…” penso tra me e me, ma nelle FR marathon è così.  Riprendo il sentiero, davanti a me vedo il mio amico Alberto: cerco di riprenderlo, ma non ce la faccio… Sono stremato, lui guida ancora bene, io sono bollito. Devo a questo punto lottare per mantenere la posizione, con un ragazzo del team Ready to Race ci prendiamo anche a spallate: quando, arrivando da due traiettorie diverse, ci incrociamo, nessuno dei due vuole cedere strada e lo scontro è inevitabile. Ci stringeremo la mano a fine gara, perchè in queste gare si è nemici in discesa, ma amici dal traguardo in poi.

Ormai vedo la fine, sono stanchissimo. Le gambe bruciano, le mani sono dolenti. Ultimo tratto di strada bianca, curva a destra per entrare nel prato: la sbaglio miseramente, pensando che il percorso, come gli scorsi anni, andasse dritto. Invece è cambiato… Perdo un paio di posizioni, anche qui: sono cotto. Ultime curve, guado, ultimo scatto finale su asfalto: pedalo a più non posso, testa bassa e sguardo sulla ruota davanti. Arrivo a mulinellare il 34-11, quando ad un tratto una Yeti mi sorpassa: lui aveva una corona da 36 denti e mi ha battuto in volata…

Finalmente il traguardo, non ce la facevo più. Dopo questi 15 minuti di adrenalina pura, la gara è finita. Concluderò la Supermountain in 42a posizione, non posso lamentarmi!

Inutile invece guardare la classifica della gara, sono nelle ultime posizioni ma pur sempre 168° su 230° partiti.

Che dire di questa gara? Senza dubbio tante novità, alcune interessanti. Per quanto criticata da molti, credo che la Supermountain sia stato un ottimo modo per concludere in bellezza il week end di gara. Il fatto che fosse obbligatoria per tutti ha assicurato un alto numero di partenti ed ha rimescolato le carte in tavola. L’utilizzo degli impianti ha consentito di percorrere quasi 1 ora e mezza di prove speciali, rendendo la gara dura, anzi durissima, sia per i bikers che per le bici. A compensare il fatto che si pedalasse poco in salita c’è stata poi la cronoscalata, che ha sicuramente riequilibrato la gara evitando che diventasse una DH con discese da un quarto d’ora.

Il parco chiuso è stato divertente, anche se poco razionale è stata la sua collocazione a Sestriere che ha creato moltissimi problemi logistici a tutti i team, meccanici e piloti.

Insomma, andando a vedere il week end di gara possiamo dire con certezza che quella di Alpi Bike Resort è stata una vera Enduro con la “E” maiuscola. Una gara “nuova” sotto molti aspetti, ma decisamente azzeccata sia nel format che nelle modalità!

Risultati

Superenduro Sauze d’Oulx Overall // Special Stages

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