La bici è stata comprata (o ricevuta per Natale), il pump track è stato spalato/costruito approfittando delle giornate di maltempo e della terra morbida… non ci resta che provarlo!

Oggi vedremo come affrontare le gobbe visionando due tecniche diverse da utilizzare in base alla velocità a cui andiamo. Se non ricordate l’articolo sulla Velocità Limite eccolo QUI. Vedremo come questo concetto diventerà fondamentale nella spiegazione.

 

Funzionamento Pump track.

Per prima cosa analizziamo velocemente il funzionamento di un pump track, o meglio di una gobba di un PT, per capire che dinamiche esistono in questo tipo di terreno.

Come sappiamo una gobba è fatta da una piccola salita ed una piccola discesa uguali tra loro. Ciò che dovremo fare è semplicemente alleggerire il carico sulle ruote durante la salita e aumentarlo durante la discesa. Per ipotesi immaginiamo di saltare da una discesa di una gobba alla discesa della gobba successiva, sorvolando le fasi di salita grazie ad esempio da bunny hop (esempio non fatto a caso come vedremo). É ovvio come in questo modo il percorso, a tutti gli effetti, risulti in discesa, poiché le transizioni in salita non vengono toccate. Ecco che abbiamo il nostro incremento di velocità.

Ovviamente non sarà possibile sempre saltare da una discesa all’altra quindi dovremo limitarci a variare la pressione sulle ruote aumentandola nella fase di discesa e diminuendola il più possibile nelle fasi in salita.

Quando parlo di zone di salita e di discesa, o di transizioni, intendo proprio la zona specifica della gobba che così avevamo definito nei precedenti articoli, la zona concava per capirci. L’apice della gobba, convesso, non sarà utile alla creazione di velocità ma sarà solo una piccola zona di transizione.

 

Bassa velocità.

Iniziamo, come la logica impone, dalle tecniche per la bassa velocità; come quando stiamo partendo.Non stiamo andando tanto forte quindi tra una cresta e l’altra abbiamo tanto tempo. Proprio per questo motivo la tecnica sopracitata dei bunny hop da una discesa all’altra può essere utilizzata perché avremo tempo di saltare senza sbattere sulla parte in salita. Sarà importante quindi fare bunny hop al fondo della discesa, quando sta per iniziare la nuova gobba. Sarà altrettanto importante riuscire ad atterrare almeno in cresta, dove inizia la discesa, meglio ancora se riusciamo ad atterrare a discesa già iniziata, cioè nella transizione. Pena lo stop immediato e, aggiungerei, il male ai polsi dato dall’impatto violento.

Se non vogliamo sollevarci da terra non c’è problema, vediamo però come la tecnica, in questa prima fase, ricalchi fedelmente il movimento di un bunny hop e di un atterraggio. Dovremo infatti spingere durante la discesa. Con spinta intendiamo sempre una estensione degli arti sul loro asse. Mi raccomando che le spinte devono essere date “verso il basso”, non serve a nulla spingere la bici in avanti (e quindi a conti fatti arretrare) cercando di farla scorrere come faremmo all’arrivo di una volata. Facendo in quel modo la bici prenderà velocità in quell’istante perdendola poi completamente quando ci riporteremo avanti. Le spinte vanno date verso il basso con movimenti ampi e decisi.

Non c’è necessità di avere un’estensione completa (soprattutto con le braccia che non avendo vincoli quali sella o ruota post riescono ad esprimere più escursione), ma sarà importante averla al momento giusto.

 

  Come abbiamo anticipato l’apice della gobba non ci darà velocità, per questo motivo la spinta dovrà iniziare quando il terreno sotto di noi si fa concavo.

In questa fase, a bassa velocità, potremo aiutarci con lo spostamento del corpo sull’asse verticale, quindi spalle e sedere in relazione a braccia e gambe.

 

Non deve esserci uno spostamento enorme ma semplicemente un’invito del corpo a sfruttare l’inerzia a proprio favore. Ecco che quindi, come succede proprio in un bunny hop, ci troveremo ad avere le braccia piegate e le spalle che scendono verso il basso mentre stiamo superando l’apice della gobba. Le braccia rimangono ferme e le spalle scendono finchè la gobba sotto di noi rimane convessa, quando entriamo invece nella transizione le braccia iniziano a spingere e ad estendersi. Le spalle in questo modo smettono di scendere e continuano in linea retta (in una prima fase) per poi risalire proprio quando il terreno spiana e inizia la salita della gobba successiva. A quel punto le spalle stanno salendo e, smettendo di spingere, e richiamando a noi le braccia, avremo l’alleggerimento desiderato.

Lo stesso iter seguono sedere e gambe.Un errore classico, almeno per quanto riguarda le gambe, è quello di considerare l’aumento della pressione sul posteriore, frutto di un abbassamento del sedere. Per capirci in molti, quando si trovano a dover spingere sulla ruota posteriore scendono col sedere come se andassero a ricercare la sella, come se andassero a volersi sedere violentemente. Ebbene questo è proprio il movimento che stiamo ricercando nella fase iniziale, quindi quando siamo sull’apice della gobba. L’errore comune è quello di ricercare questo movimento alla fine della gobba, per sentire l’accelerazione proprio tra una gobba e l’altra. In realtà, da un punto di vista fisico, la pressione sulla ruota post non è data dal nostro corpo che scende, ma dal nostro corpo che arresta la discesa. Questo significa che il carico non deriva dal nostro corpo che scende, ma dal fatto proprio che smetta di scendere (ad esempio perché incontra la sella). In realtà anzi, mentre il nostro corpo scende noi togliamo carico alle ruote, è come se il nostro corpo assorbisse dell’energia togliendola al contatto ruote-terreno, immagazzinasse questa energia e la sprigionasse poi tutta insieme mentre si ferma. Per chi ha bene in mente il concetto fisico di “quantità di moto” il tutto dovrebbe essere chiaro. Per fare un paragone semplice da capire immaginiamoci di stare su una bilancia (o andateci sul serio) analogica. Questo strumento permette di visionare il nostro “peso istantaneo”. Se noi proviamo a piegare le gambe improvvisamente (quindi a far scendere il nostro corpo) vedremo la lancetta scendere in un primo momento (mentre il nostro corpo scende), per poi schizzare in alto, oltre il nostro peso “statico”, quando il nostro corpo si ferma (quindi quando saremo accucciati). Se a questo punto spingiamo sulle gambe per tornare su, senza fermarci nella posizione bassa, ma con un movimento unico, vediamo che il peso si mantiene maggiore del nostro peso statico o addirittura aumenta (questa è la fase di spinta appunto). Il gioco sarà proprio quello di preparare al meglio la fase di discesa per poi sprigionare tutta la spinta possibile e utilizzare la quantità di moto immagazzinata. Inoltre dobbiamo arrivare alla fine della gobba già pronti per alleggerire il carico e risalire la gobba successiva. Se noi arriviamo in fondo con gli arti completamente piegati non avremo modo di assorvire la salita successiva.

 

Velocità Limite.

Più ci avviciniamo alla velocità limite minore sarà la nostra capacità di preparare la gobba successiva. Questo in pratica significa che non avremo più tempo, tra una gobba e l’altra di fare tutti quei movimenti che facevamo prima. Per questo motivo non riusciremo più a gestire la fase di caricamento della quantità di moto, e dovremo gestire solamente la fase delle spinte/richiami degli arti. Ad alta velocità quindi testa e sedere stanno sempre alla stessa altezza, procedendo in linea retta e sono gli arti a fare tutto il lavoro estendendosi nelle discese e assorbendo le salite. A parole sembra facile, nella pratica in realtà è forse più difficile della tecnica per bassa velocità.

La velocità limite di ciascuno, come vediamo, non dipende quindi tanto dalla sua forza ma dalla velocità con cui riesce a muoversi.

Ovviamente con questa tecnica la forza sprigionata è poca, non abbiamo più il peso del corpo che ci aiuta ma abbiamo solo la spinta degli arti. Del resto la frequenza con cui viene sprigionata questa energia è molto maggiore, le discese si susseguono a ritmo incalzante e l’accelerazione viene sempre meno, lasciando il posto al mantenimento della velocità una volta raggiunta proprio la velocità limite.

         

 

Per chi è avvezzo a queste cose, possiamo immaginare una curva di coppia classica nella quale all’aumentare della velocità angolare, a potenza costante, la coppia diminuisce. Qui non si tratta di coppia ma di forza ma il concetto è il medesimo.

Tra lo stare fermi e la velocità limite c’è tutta una serie di velocità possibili. Ovviamente i concetti appena visti vanno contestualizzati in base alla velocità a cui stiamo andando. Per questo motivo, al variare della velocità, dovrà variare la tecnica in modo continuo e progressivo, partendo dalla tecnica spiegata all’inizio, per arrivare in una fase finale alla tecnica per la velocità limite.

 

 

 

Ingrediente segreto. Coordinazione prima di tutto.

Sarà inutile metttere tutta la forza che abbiamo nelle spinte se queste non vengono date al momento giusto. Molto meglio concentrarsi in un primo momento nella coordinazione e nella gestione dei movimenti necessari (evitando quelli eccessivi), andando a forzare poi la mano in un secondo momento.

Con Questo si conclude un 2013 ricco di soddisfazioni e auguriamo a tutti un 2014 ancora più splendente!!!

 

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