[Report e foto] Adamello Bike Marathon 2011

Adamello Bike Marathon, settima edizione. Sette, numero di forte simbologia religiosa. I sette peccati capitali, le sette virtù, i sette doni dello Spirito Santo, i sette Sigilli dell’Apocalisse. Domenica mattina, vedendo la copiosa quantità di pioggia, qualcuno avrà pensato a un principio di Diluvio Universale. Un castigo celeste. O, più semplicemente, una sfortunata coincidenza meteorologica. Fatto sta che più della metà dei circa 600 iscritti alla gara ha preferito dedicarsi ad altro.
I partenti su entrambi i percorsi, il Marathon di 65 km con 2.250 metri di dislivello e il Classic di 45 km con 1.380 metri di dislivello, erano poco meno di 300. E al traguardo ne sono giunti 182, dei quali 94 sul Marathon. Cifre risibili per una manifestazione che, quanto a capacità organizzative, logistica, infrastrutture, qualità dei servizi e percorsi, potrebbe tranquillamente soddisfare 1.500-2.000 concorrenti.
Difficile scoprire le cause del mancato gradimento di massa che meriterebbe questo evento. Forse la distanza dalle principali vie di comunicazione stradale potrebbe essere additato come deterrente principale. Per il resto, la collocazione nel calendario agonistico è ideale, anche se la coincidenza domenicale con un’altra gara bresciana, la gardesana Tremosine No Limits Bike, può avere sottratto un certo numero di iscrizioni. I circuiti di cui fa parte l’Adamello Bike Marathon (UCI Marathon Series, Marathon Tour FCI, Coppa Lombardia Overland, Gran Combinata Ciclismo) sono tutti di prim’ordine e ne sottolineano la caratura. I percorsi hanno sempre riscosso ampi consensi e apprezzamenti da chi li ha pedalati. Certo, qui si tratta di vera mountain bike, con tutte le situazioni tipiche dell’alta montagna. Ampi sterrati, antichi ciottolati, wide-track prativi, tortuosi budelli boschivi, esaltanti single-track, settori rocciosi e mulattiere in quota. La pioggia torrenziale, impietosa dal tardo pomeriggio della vigilia, ha allentato i settori più ondulati, creando pozzanghere incredibilmente vaste, ingrossando i torrenti e i guadi, alimentando inconsueti rigagnoli poderali.

Clima surreale alla partenza dal centro di Ponte di Legno, con tutti gli atleti al riparo dalle intemperie, per nulla propensi ad allinearsi in griglia o a pedalare per il consueto riscaldamento. Un paio di minuti prima dello start delle 9.30, il manipolo dei concorrenti si è ordinatamente radunato nel viale principale.
I più forti per puntare alla vittoria, i meno per terminare la gara con onore. Subito la selezione. I vicoli di Villa da Legno hanno punte al 20%, il ciottolato bagnato nemico del fuorisella. Qualcuno con abbigliamento di mezza stagione pagherà dazio nel prosieguo, la pioggia e il freddo non hanno fatto sconti a nessuno.

Il sentiero Stambec, quasi 8 km nel bosco, frammentava i gruppi. Davanti si sfreccia, in mezzo si sopravvive, dietro si arranca. Così il ristoro di Chigolo, al km 11, è visto dai più come una manna, un gradito “happy hour” dove sostare per un tè caldo e del buon cibo solido, scambiando quattro parole con i compagni di ventura. L’organizzazione ha allestito un punto di ristoro in più rispetto ai tre previsti, proprio per alleviare le fatiche della giornata. Scelta encomiabile.

Il percorso ha concesso ben pochi attimi di respiro, le discese allagate celavano insidie a ogni curva, i single-track si sono trasformati in saponosi binari probanti per l’equilibrio. Nonostante queste condizioni, l’infermeria è rimasta deserta, segno della cautela dei biker e dello spiegamento di forze organizzative a presidio del percorso. Erano infatti quasi 200 gli uomini di servizio, immolati anch’essi al maltempo. Non mancavano neppure gli spettatori, pochi in verità, concentrati nelle vie dei paesi attraversati dalla corsa.

Dalle pendici della Val Canè e della Val Grande si scendeva a Vezza d’Oglio, per spostarsi sulla sinistra orografica dell’omonimo fiume, su cupe salite boschive a pendenza variabile, dal fondo pesantissimo che attanagliava sovente le ruote. Cambi, deragliatori, catene e pasticche freno in queste condizioni hanno sofferto pene infernali, costringendo molti al ritiro. I contemporanei cartelli dei -5 e -30 km al traguardo erano rispettivamente musica per i concorrenti del percorso Classic e lamento per quelli del Marathon, consci di dovere subire ancora la collera di Giove Pluvio.

Tra Arsen e Case di Viso è quasi tutta salita, con un paio di tornanti della strada che porta al Passo Gavia. Solo lo scollinamento al periplo di Case di Viso addolcisce parzialmente la fatica, perché finalmente si può distendere la pedalata in una discesa scorrevole e velocissima, che però dura troppo poco per regalare il sorriso. Ancora qualche saliscendi e una scavatissima picchiata boschiva e poi il traguardo, per l’occasione spostato accanto al Palasport a causa di lavori nella tradizionale piazza nel cuore del paese.
Va sottolineato come le condizioni meteo abbiano rallentato parecchio anche gli Elite. L’anno scorso, con un debole accenno di fango dovuto alla pioggia del giorno prima, il vincitore Tony Longo impiegò 2.53.45, nove minuti in meno rispetto al tempo di Alban Lakata.

Qui potete consultare le classifiche.
La cronaca della gara è cosa nota, ci pare inutile rimarcarla.

Andiamo invece a effettuare una sintetica analisi della gara condotta dai protagonisti.

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Alban Lakata (1° – Topeak Ergon Racing Team): si presenta al via con la tabella numero 1, cuffia doccia da attempata casalinga e braghe da surfista, suscitando qualche perplessità. Parte senza forzare, allunga quando vuole, vince con un bel margine sugli inseguitori. Un successo che ne consolida la leadership nel ciruito UCI Marathon Series.

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Andreas Kugler (2° – Multivan Merida Biking Team): il rossocrociato parla poco e pedala molto, anche se perde il confronto con il rivale austriaco sia in salita che in discesa. La sua è comunque un’ottima gara.

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Jhon Jairo Botero Salazar (3° – Trek Stihl Torrevilla Mtb): il colombiano conferma il piazzamento del 2010, quando però impiegò 14 minuti in meno. E’ sempre un osso duro, anche sotto la pioggia battente.

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Michele Casagrande (4° – Team Elettroveneta Corratec): manca il podio per un soffio, battagliando tutta la gara con Botero Salazar. Bravo comunque.
Yader Zoli (5° – Torpado Surfing Shop): l’esperto atleta faentino conduce una gara di sostanza, sempre a ridosso dei migliori, infilzando in volata il “toro” elvetico Urs Huber. Ci si augura di rivederlo più spesso nelle marathon che contano.

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Urs Huber (6° – Stockli Pro Team): il “toro” questa volta è sembrato un vitello. Parte con i primi, fa la gara del gambero e si fa beffare in volata dal più stagionato Zoli. Per Huber, secondo nel circuito UCI Marathon Series, rimangono le prove di appello a Ornans (F) il 2 ottobre e in Costa Azzurra il weekend successivo, per la Roc d’Azur.

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Samuele Porro e Luca Ronchi (7° e 8° – Lissone Mtb): due giovani di belle speranze e concrete certezze. Fanno gara di coppia, spalleggiandosi a vicenda. Meritevoli.

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Alexey Medvedev (9° – Team Elettroveneta Corratec): il mig russo sbaglia rotta al km 18, quando aveva Lakata nel mirino ed era pronto a innescare la battaglia. Precipita in 25esima piazza, porta i reattori al massimo ma è troppo tardi per tornare in cielo.
Stefano Dal Grande (10° – Team Full Dynamix): l’Under 23 vicentino è risultato il migliore della squadra diretta da Giovanni Battaglin, dopo il ritiro in corsa di Mike Felderer e il forfait iniziale di Johnny Cattaneo e Ramon Bianchi.
Marzio Deho (GS Cicli Olympia – ritirato): il testimonial dell’Adamello Bike Arena, recente trionfatore in Val di Fassa, partiva con giuste ambizioni da podio. La repentina, inattesa rottura della sella lo ha costretto a un amaro rientro ai box. Si consola con la vittoria nel Marathon Tour FCI.

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Tony Longo (Team TX Active Bianchi – ritirato): trionfatore l’anno scorso con una prova di forza, ha provato anche quest’anno ad accendere la miccia fin dalle prime battute, nel tentativo di far saltare il banco. La pioggia gli ha bagnato ben presto le polveri, il freddo ne ha ridotto le forze al lumicino, i crampi lo hanno poi consigliato al ritiro.


Sally Bigham (1° – Topeak Ergon Racing Team): la britannica, leader femminile dell’UCI Marathon Series, aveva i favori del pronostico. La vittoria, però, se l’è dovuta sudare fino in fondo, costruendola dopo numerose schermaglie con la nostra Michela Benzoni.
Michela Benzoni (2° – Lissone Mtb): dà il massimo in condizioni estreme, come queste. Instancabile segugio della guizzante volpe inglese Bigham, deve rinunciare alla preda solo nelle battute finali.
Jane Nüssli (3° – Team Fischer-BMC): elvetica di nascita ma con passaporto britannico, elettrizza la lotta per il podio con le altre due contendenti. Dietro di loro, il nulla o quasi.
Elena Giacomuzzi (4° – UC Caprivesi): ottima terza nell’UCI Marathon Series, la bionda fiemmese va incontro a una giornata sfortunata, con un attacco di asma che le imballa il motore. Brava comunque a terminare la fatica, confermando la sua terza posizione nel circuito UCI.
Sofia Pezzatti (5° – Trek Stihl Torrevilla Mtb): l’atleta ticinese non è certo una sorpresa dell’ultima ora. Un’altra gara che va ad accrescere la sua esperienza.
Simona Mazzucotelli (6° – Pro Team Viner Jollywear): testa bassa e trecce al vento (e alla pioggia), la caparbia Elite bergamasca termina il supplizio lontano dal podio, ma si porta a casa la meritatissima maglia rosa del Marathon Tour FCI.
Organizzazione: straordinaria sotto tutti i punti di vista, preparatissima nel gestire le pesanti avversità meteo. Unico neo la segnalazione del bivio tra i due percorsi, un po’ carente ed effettuata verbalmente da un addetto. Si è trattata però di una situazione eccezionale, dettata dalla impraticabilità della piazza principale del paese causa lavori strutturali.

Che altro dire? Il meteo ha scoraggiato le iscrizioni dell’ultima ora, ma questa è una gara che dovrebbe registrare il tutto esaurito almeno due settimane prima.
Meglio era andata il sabato ai bimbi impegnati nella “Adamello Kids Race”, una divertente ciclo-gimkana nel locale Bike Park realizzato per i ragazzi. Il sole ha accompagnato la loro performance e tutti, ma proprio tutti, sono risultati vincitori Come è giusto che sia.

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