Riconoscere i sistemi Single Pivot

I sistemi di sospensione formano un argomento vasto e complesso, dal quale purtroppo emergono spesso inesattezze ed errate interpretazioni, talvolta condite da luoghi comuni o preconcetti, altre volte distorte dal marketing “ottimista” di alcune delle aziende che li promuovono.

Con questo articolo e con il successivo andremo a definire le caratteristiche che ci consentono di classificare i vari cinematismi di sospensione per MTB nelle due macrofamiglie: da una parte i Single Pivot, detti anche monocross, che tratteremo ora, e dall’altra i Virtual Pivot o sistemi a infucro virtuale, che tratteremo nel prossimo articolo.

L’obiettivo di questo articolo non è di eviscerare pregi o difetti dei vari sistemi che nomineremo, o di descriverne accuratamente il funzionamento, ma è quello di farne una catalogazione, netta e chiara, rispetto alla categoria di sospensione a cui appartengono. Questo ci permetterà di dipanare alcuni dubbi e di favorire la comprensione dei prossimi articoli che pubblicheremo a riguardo, in ciascuno dei quali analizzeremo un singolo sistema cinematico in modo più approfondito.

Single Pivot

I sistemi Single Pivot, meglio conosciuti in Italia come monocross, comprendono buona parte dei sistemi di sospensione applicati alle nostre MTB e rappresentano il cinematismo primordiale nel mondo delle due ruote, dove primordiale deve essere inteso come più antico e non necessariamente come antiquato.

Attualmente un gran numero di aziende utilizzano sistemi Single Pivot, con largo impiego prevalentemente nei modelli destinati al Gravity e alla Downhill in particolare. È anche il sistema più utilizzato nelle due ruote a motori, dal Moto GP al MX, dove ovviamente la sospensione non richiede particolari accorgimenti legati all’ottimizzazione del funzionamento della trasmissione, contrariamente a quanto succede sulle MTB, dove il posizionamento del fulcro principale del carro riveste un ruolo cruciale in questo senso.

Riconoscere un sistema Single Pivot è estremamente semplice. Esso è dotato di un braccio principale, denominato carro, che risulta delimitato da un’estremità dall’influcro principale che lo ancora al triangolo anteriore del telaio e sul quale è libero di ruotare grazie all’impiego di cuscinetti o boccole, mentre dall’altra estremità è delimitato dalla sede dell’asse del mozzo della ruota posteriore. In poche parole, se il carro risulta essere un unico braccio che va dall’infulcro principale alla ruota posteriore, senza essere interrotto da altri snodi, fa parte della macrofamiglia dei Single Pivot.

Questi sistemi hanno la prerogativa di far eseguire alla ruota, durante la sua escursione, un percorso che delinea una sezione di circonferenza, il cui raggio è pari alla lunghezza del carro e il cui centro corrisponde all’infulcro principale del carro sul telaio.

I cinematismi Single Pivot più facili da individuare sono i cosiddetti monocross “diretti”, ossia quei sistemi Single Pivot che non essendo assistiti da altri link, sono formati esclusivamente dal carro, il quale aziona direttamente l’ammortizzatore in modo “push”, ovvero comprimendolo semplicemente per spinta. Un classico esempio viene dal marchio Orange, in questa foto con il modello 322.


Tutti gli altri sistemi Single Pivot vengono invece definiti “indiretti”, dato che la compressione dell’ammortizzatore è delegata ai leveraggi che completano il cinematismo e non al carro stesso come accade nei sistemi “diretti”. Questi sistemi costituiscono la percentuale più alta nella famiglia dei Single Pivot e ne esistono di varie tipologie. La loro prerogativa resta dunque il braccio ininterrotto dal fulcro principale all’asse del mozzo che, come nei Single Pivot diretti, costituisce il carro. I leveraggi o links invece, in base al sistema in cui si adottano e al loro posizionamento, sono in grado di determinare la curva di compressione che si desidera ottenere.

Una curva di compressione progressiva si verifica quando occorre una forza sempre maggiore per comprimere l’ammortizzatore durante la sua corsa. Un esempio di sistema di links con i quali si è ottenuta tale curva di compressione lo troviamo sul telaio della Lapierre DH Team.


Una curva di compressione regressiva si verifica invece quando per comprimere l’ammortizzatore è sufficiente una forza sempre minore. Se la forza da applicare resta invariata su tutta la corsa dell’ammortizzatore, in quel caso il cinematismo si definisce lineare. Un esempio di sistema di sospensione a Single Pivot “indiretto” lineare, leggermente regressivo, è la Mongoose Boot’r.


Un’altra funzione dei links può essere quella di limitare l’influenza della frenata sul funzionamento della sospensione, come avviene con l’ABP di Trek o con lo Split Pivot di Dave Weagle, che troviamo come esempio sulla Devinci Wilson. In questo caso, rappresentato nella foto di seguito, vediamo come il braccio principale, quello superiore per intenderci, sia ininterrotto dal perno ruota all’infulcro principale, mentre il link inferiore, che funge anche da fodero basso, serva sia per attivare la biella che agisce sull’ammortizzatore, che come supporto per la pinza freno, aiutando a diminuire drasticamente l’influsso della frenata sul funzionamento della sospensione, per lo stesso principio spiegato nell’articolo dell’ABP di Trek.

L’esempio della Devinci Wilson ci porta inoltre a considerare un altro aspetto derivante dall’uso dei leveraggi nei Single Pivot “indiretti”, ovvero la possibilità di azionare l’ammortizzatore in modalità “pull”, contrariamente a quanto succede con i Single Pivot “diretti”, nei quali, come già analizzato, la spinta del carro può avvenire solamente in modalità “push”.

Possiamo definire “pull” un sistema in cui il carro letteralmente tira o trascina un leveraggio, che a sua volta aziona la biella su cui è connesso l’ammortizzatore. Per meglio comprendere questa definizione, possiamo fare un’analogia, che potrebbe risultare bizzarra, ma concettualmente ricrea in modo esatto la funzione che vogliamo spiegare. Immaginiamo di sostituire il suddetto leveraggio con un elemento privo di rigidità, come ad esempio una corda. Lavorando per trazione la corda riuscirebbe ad azionare la biella, mentre se invece lavorasse per spinta non si otterrebbe alcun risultato, se non quello di far afflosciare la corda. Se quindi guardando un cinematismo ci chiediamo se si tratti di un sistema “pull” oppure “push”, ci basta immaginare di sostituire il link collegato al carro con una corda e valutare se, ipoteticamente, potrebbe funzionare ugualmente: se la risposta è si, siamo di fronte ad un sistema “pull”, viceversa se la risposta è no, siamo di fronte ad un sistema “push”.

Nelle due foto di seguito vediamo a confronto due sistemi a prima vista molto simili, ma che si differenziano proprio per questo aspetto. Nella prima foto vediamo una Nuke Proof Pulse, con azionamento “pull”, mentre nella seconda foto vediamo un Transition TR500, che sfrutta un azionamento “push”.

Gli esempi dell’I-Drive di GT e del Pendbox di Lapierre inoltre, ci fanno intuire come i links possano essere utilizzati su di un Single Pivot per raggiungere scopi ancora più machiavellici. Nei due casi citati i leveraggi collegano il carro con la scatola del movimento centrale, che è flottante e cambia posizione durante l’escursione della ruota, generando una relazione tra sospensione e trasmissione, che consente di ridurre al minimo le interferenze reciproche.

Settimana prossima pubblicheremo la seconda parte dell’articolo, inerente i sistemi Virtual Pivot. Non perdetevela!

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