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Trasformiamoci per un giorno nella Gazzetta e proviamo a dare i voti alle due gare XCO dei giochi olimpici di Rio.
Ovvio. Il culmine di una carriera in cui lo svizzero ha vinto tutto. Mancava solo l’oro, e ieri l’ha raggiunto. Niente è stato lasciato al caso: la preparazione ipermetodica, la bici, la componentistica. I famosi tubolari Dugast hanno lasciato il posto a delle Maxxis (finalmente ieri il logo era visibile, per la prima volta) Aspen, con più volume per scorrere meglio sulla veloce pista di Rio e, soprattutto, non bucare. Nino ieri mattina era piuttosto in crisi, perché la pioggia gli aveva messo una variabile in più nella sua perfetta scalata verso l’oro. Alla fine ha deciso di non correre con le gomme da fango, ed è stato premiato da una pista che si è asciugata durante il corso della gara, e da un pizzico di fortuna: subito dopo essere passato sotto il traguardo ha ricominciato a piovere. Ma, si sa, la fortuna premia gli audaci.
22 anni, da una nazione in cui al posto della bici ci sono gli sci da fondo, ed in cui gli unici due ori a Rio sono stati vinti da due donne. L’unica donna nel team Scott Odlo, in mezzo a uomini che parlano Schwitzer Dutch. Ginocchio e gomiti nascosti da vistosi cerotti che coprivano diversi punti di sutura che si era procurata durante le prove del percorso. In poche parole: una dura, che ha messo in fila tutte le sue concorrenti su una 27.5 full, mentre le altre tentavano di starle dietro in discesa su delle ormai vetuste front (per questo tipo di competizione). L’inizio di una grande carriera è dorato.
L’eminenza grigia dietro ai due ori di Rio. L’amico/team manager, che alle Olimpiadi del 1996 ha vinto “solo” un argento, mette a disposizione dei suoi pupilli tutta la sua esperienza. Non è un caso se i due ori sono arrivati su due full: nel 2003, a Lugano, Frischi aveva vinto i campionati del mondo Marathon sulla prima Genius, aprendo il mondo delle gare a più velocità in discesa, più trazione e miglior tecnica di guida. Nino sarà una bestia dal punto di vista fisico, ma la sua dominanza in discesa è imbarazzante per la concorrenza.
Settimo a 2.57 da Schurter, con i crampi a metà gara. Il migliore degli italiani ha combattuto alla grande, staccando anche uno dei grandi favoriti, Absalon, negli ultimi giri. All’arrivo ha ammesso che il suo obiettivo sarà Tokio 2020, per provare ad arrivare in zona podio. E allora forza!
Il risultato di Andrea Tiberi, sulla carta, non è un granché. Rapportato al problema fisico dello scorso inverno è invece un ottimo punto di partenza per tornare ai livelli a cui ci aveva abituato nel 2015, considerando che ha anche forato.
Merita la sufficienza, soprattutto quella di ieri. È come se mettessero me a commentare una gara di Motocross. Due specialisti della strada, che del mondo MTB non sanno niente, fanno corsi di ripetizione intensiva da Bramati e Pallhuber. Se ne escono con un “prima sono arrivate le 27.5 e poi le 29” che ha fatto sprofondare nel divano in stile Trainspotting (lì era un tappeto) ogni mountain biker che si rispetti, anche se formalmente la cosa è vera. Poi, domenica, aggiustano il tiro, aiutati anche dalla presenza di Sagan, che sembrava un pesce fuor d’acqua come loro. In ogni caso, se c’è da recriminare, è sulla regia olimpica che inquadrava solo i primi. Ci siamo così persi la seconda foratura di Sagan, la foratura di Tiberi, ecc ecc.
A Marco vorrei sempre dare 10. Mi sta simpatico, è un personaggio come ce ne vorrebbero tanti nel mondo della MTB, è un manico in discesa. Ieri però è stato un mix fra sfortuna e forma non all’altezza. Lo so, quando lo incontrerò me ne dirà 4, però analizzando la gara si vede che ha sì perso tempo con una foratura, ma poi è andato sempre più in calando. Come detto sopra, anche Tiberi ha bucato, eppure gli è arrivato davanti. Il distacco dal primo è di 7 minuti, 5 minuti dal bronzo. Dopo il cambio ruota ne aveva circa 3 da Schurter, segno che ha ceduto con il passare dei giri. In ogni caso, chi va più forte di lui in Italia ha da imparare una grande cosa da Fontana: la comunicazione. Puoi anche diventare campione italiano, ma se poi ti chiudi a riccio non puoi recriminare che gli sponsor ti stiano alla larga (affermazione generica, non rivolta specificatamente all’attuale campione italiano).
Al di là del percorso artificiale, il posto dove si sono tenute le gare MTB infondeva tristezza. Prati semibruciati, paesaggio lunare. La foto qui sopra è probabilmente il punto più bello. Uno degli aspetti più belli del nostro sport è muoversi nella natura, in posti belli. Ecco, di bello ieri non c’era niente attorno al tracciato.
2 forature per Sagan. Magari la prima può essere il frutto di una traiettoria sbagliata, presa sia da lui che da Fontana, ma abbiamo visto di tutto fra stallonature e cerchi piegati. Il bello è che poi i granfondisti credono davvero che una gomma da 400 grammi li faccia vincere, e te li trovi a piedi che spingono, dopo aver provato a riparare il buco con la solita improbabile bomboletta nastrata sul reggisella. Gara secca, olimpica, cioè che si tiene una volta ogni 4 anni, e risparmi peso con le gomme?
Ovvero solo chi paga può parlare. Se non sei McDonalds, Coca Cola o uno degli altri super salutari sponsor, non puoi promuovere i tuoi prodotti attraverso le Olimpiadi. Non puoi neanche dire che Nino ha vinto sulla tua nuova Spark, o che Kulhavy girava su una Rock Shox SID special edition. Neanche le borracce avevano su il nome degli sponsor, prima che qualcuno potesse pensare che gli atleti non stessero bevendo una Coca o si stessero sparando giù un Gel al gusto di Big Mac. Non conta che gli atleti che danno spettacolo al tuo evento, caro Comitato Olimpico, possano vivere e allenarsi solo tramite gli sponsor che tu zittisci, o a cui (in Italia) mandi email di diffida certificate tramite il CONI, redatte da solerti avvocati pagati con i soldi dei contribuenti. Non solo, le mandi anche ai media.
Com’era il motto olimpico? I’m loving it.
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