La mountain bike è uno sport con dei rischi congeniti, così come tutto il ciclismo. Stare in equilibrio su due ruote è una cosa che va imparata e che non è intrinseca nella nostra natura di esseri umani. Viene da sé che si cade e che cadere fa parte dell’andare in bicicletta, anche quando si va a prendere il pane con la bici da città dotata di cestello.
La differenza fra il cadere accidentalmente e il cadere perché si rischia consapevolmente è però enorme. Quando si sceglie di rischiare lo si fa per i più disparati motivi: per primeggiare in gara, per farsi belli di fronte agli amici, per chiudere un passaggio che non si era mai osato fare.
Alcune volte si premedita il rischio, se così si può dire. Si studia il passaggio difficile, ci si avvicina al salto più volte, prendendo la rincorsa e immaginandosi dove si andrebbe ad atterrare, si percorre la curva a velocità sempre maggiori.
Ciò che spesso decide fra il rimanere in sella e cadere rovinosamente a terra è la nostra testa, più che le nostre capacità tecniche. Quando si è in giornata sì, si affrontano le difficoltà con più baldanza, senza pensarci su tanto. Spesso queste giornate coincidono con tempo soleggiato e temperature gradevoli, fateci caso. Quando si è in giornata no, la soluzione migliore è quella di godersi il giro e stare lontani da ogni situazione al limite.
C’è un modo per allenare la testa al rischio? Sicuramente: migliorando le nostre capacità tecniche. Il che ci riporta al punto di partenza: per migliorarci tecnicamente dobbiamo superare le nostre paure. Un circolo vizioso che non è facile rompere.
Da qui però la domanda del titolo: è veramente necessario rompere questo circolo vizioso, che in fondo ci preserva dal farci male, cioé è veramente necessario rischiare più del dovuto? Se guardiamo ai bambini, il circolo vizioso viene rotto ogni volta che imparano una cosa nuova: camminare per esempio richiede coraggio, perché si cadrà le prime volte che lo si prova a fare.
Quello che differenzia i bambini dagli adulti è però la paura: i primi non ne hanno, i secondi ne hanno fin troppa. Quindi cosa possiamo fare per migliorarci senza rischiare troppo?
A voi la risposta.
da ragazzino ero folle, ora forse un pò è rimasta, ma penso prima a lavoro e professione poi al resto, quindi vado nettamente più piano
Se poi a 40/50 anni uno sente ancora il bisogno di rischiare l’osso del collo solo per fare il figo al bar o davanti a degli sconosciuti … beh magari qualcosa che non va nell’autostima a mio avviso c’è !
Nulla da dire invece per quei veri temerari che proprio senza rischio non riescono a vivere … se sono scelte consapevoli .
A 42 anni con un figlio e una compagna e un lavoro …. preferisco di gran lunga farmi le vacanze in spiaggia con loro sereno piuttosto di farmi venire a trovare all’ospedale perché dovevo fare il drop della vita ….
- la predisposizione al rischio (chi ce l'ha e chi no)
- l'allenamento al rischio (se faccio sempre drop da 2 metri li troverò semplici a differenza di uno che non li fa mai, per i più svariati motivi)
- l'abitudine ad andare in bici (a me capita che se per qualche motivo sto fermo del tempo poi le prime discese devo ritrovarmi sulla bici e non riesco a buttarmi)
- l'età (come è già stato detto, un infortunio da giovane si recupera molto più velocemente che da vecchio e un non più giovane dovrebbe avere cmq meno propensione al rischio)
- compagnia, se si esce con persone molto brave o scavezzacollo si tende a rischiare di più, io per esempio da solo mi rendo conto che rischio molto meno (ergo mi fermo più volte su certi passaggi) che in compagnia. (mi è capitato di fare certi sentieri incazzatissimi dietro a uno che li conosceva con passaggi che non avrei mai fatto da solo)
aggiungo solo una cosa sulle persone con poca esperienza, non sempre sono fifone, anzi, certi che conosco si buttano molto di più di persone con esperienza... li credo che sia una questione di poca conoscenza del rischio vero che si corre...