Samarathon: brasato nel deserto

Ci eravamo lasciati ieri sera con la nostra vittoria di categoria nel prologo della Samarathon 2017.

Orgoglioni delle nostre maglie da leaders dei master, anche se gli israeliani non ci credevano che avessimo più di 40 anni e gli abbiamo spiegato che è per l’olio di oliva che tiene giovani, ci siamo messi in branda nella tenda beduina, riscaldata da un ventilatore da fabbrica che produce circa 120 decibel. Andrea, abituato alla movida di Ostia, si addormenta come un sasso, e come un ubriaco dell’Oktoberfest. Non ha infatti un sacco a pelo e dorme come un barbone sulle lenzuola che si è portato da casa.

Dal canto mio, ci impiego delle ore e tre uscite dalla tenda per svuotare la vescica su una provvidenziale palma. I bagni sono troppo distanti, e il vento mi ha fatto desistere dall’impresa.

Sveglia all’alba, le 5 israeliane che sono le nostre 4, per fare colazione e imbarcarsi sul bus che ci porta al kibbutz dove abbiamo lasciato le bici ieri. Partenza alle 8.15. Noi siamo in griglia “d’onore”, davanti a tutti praticamente. Visto che ci sono 7 gradi continuiamo a muoverci per scaldarci, e cogliamo l’occasione per farci fare una foto con le maglie. Chissà,  magari domani non le avremo più.

In programma ci sono 82km e “solo” 1100 metri di dislivello. Il meteo tende al bello, anche se le temperature non supereranno mai i 13°.

Pronti, partenza, via. Partono tutti come se fosse uno sprint, compresi quelli che dovrebbero andarci tranquilli. Per evitare di cadere non mi metto a sgomitare, così mi trovo ingorgato davanti al sottopassaggio della grossa strada che passa nella valle. Subito dopo segue una sterrata con dei boccioni grossi così, dove qualcuno (quelli che avrebbero dovuto andarci tranquilli) pianta dei voli notevoli. Da lì in poi è tutto su singletrack, salita compresa. Difficile superare, Andrea è davanti a me e devo raggiungerlo, così chiedo spazio ai gentili israeliani che mi fanno passare incitandomi, una volta vista la maglia.

Alla fine della salita ho ripreso Andrea, e davanti a noi ci sono una manciata di coppie. Raggiungiamo le nostre 2-3 dirette concorrenti, e ci lanciamo in un trenino su singletracks spettacolari, costruiti appositamente per i biker. Siamo sull’altopiano di ieri, e la visuale è incredibile, con i monti più alti della Giordania innevati.

C’è poco tempo di guardarsi intorno, i ritmo è piuttosto infernale e, ahimè, si tratta di un percorso con poche salite e grandi pianori da fare in scia. Esattamente quello che non sono capace di fare. Al primo ristoro mi trovo staccato di circa un centinaio di metri, con Andrea che prova a fare da tappo per farmi rientrare, ma non ce n’è. Arriva un tratto in controvento e, da solo, non ce la faccio.

La discesa, per tornare in valle, è di quelle che non percorrerei mai di mia spontanea volontà: una carrereccia scassata e ripida, piena di sassi smossi e buche. Con la mia front, un piacere unico. Andrea mi aspetta a metà, da lì in poi proseguiamo insieme in quella che sarà la mia croce: 35km di sterrato pieno di buche e a tratti sabbioso, che sparisce all’orizzonte. Siamo completamente soli, non si vede nessuno né davanti né dietro. Il mio morale é sotto le scarpe, si solleva un po’ solamente al ristoro, dove mi sollazzo con dell’acqua fresca. Il sole è uscito subito dopo la partenza e, malgrado le temperature, si suda.

Insomma, brasato e con il culo rotto mi trascino fino all’ingresso di un altro bel singletrack, ormai il traguardo è vicino e sento già l’odore di lenticchie. In fondo non siamo andati così male, ci abbiamo messo 4 ore, quello che ci eravamo prefissati, ma mi sono accorto che su sti piattoni infiniti soffro molto, mentre Andrea va come un treno sulla Ostia-Napoli.

Stasera ci diranno i risultati, ma domani non saremo più in “maglia verde”. Ci attendono altri 62 km e 800 metri di dislivello.  State sintonizzati!

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