Sass Putia

 

Ore 21, sono in Val di Funes sotto una pensilina a sistemare la mia bici mentre sta scendendo un temporale pazzesco
che mi bagna i piedi, mentre Michele sta arrivando. Le nostre previsioni per il venerdì erano agguerrite, ma forse
quelle meteorologiche lo sono di più. Caldo e temporali, forti.

L’idea è molto semplice, partire di notte e concatenare tre cime da 3000m, già testate singolarmente, dall’alba al
tramonto, o forse anche fino al giorno successivo, in un giro di quelli tosti ma spettacolari. Non è stato facile mettere
giù una traccia che avesse un senso compiuto perché, può parere strano, ma noi dobbiamo pedalare il più possibile:
già ci smazziamo la bici su per posti improbabili, per cui meglio almeno arrivarci pedalando, sotto la cima.
Il meteo avverso ci scombussola i piani, piove ininterrottamente da ore.

La prima cima viene conquistata agevolmente
in mattinata, con un caldo torrido anche a 3000 metri. Che spettacolo il Sass Putia, con quella parete verticale da 1000
metri a sbalzo sui verdi prati tipici dell’Alto Adige. Conosco bene la discesa e so che sarà molto divertente, dall’inizio
alla fine con passaggi tecnici ma anche tratti più scassati e veloci. Una goduria per le nostre biciclettone.


Il tempo si guasta rapidamente, già a cavallo di mezzogiorno. Mentre inizia il tratto verso le Odle, incombono nuvoloni
neri da ogni parte, e la Val Badia è nel bel mezzo di una tempesta. Dopo una mezzoretta di silenziosa e nervosa attesa,
ripartiamo, un po’ in sella, un po’ a piedi, verso la forcella La Roa con l’intenzione di fare la ferratina de Nieves verso il
Puez. Niente da fare, troviamo una cengia dove ripararci, giusto mentre si illumina il cielo e scende una bomba dal
cielo. Siamo ammutoliti dalla botta, sento la maglietta e i pochi capelli sudati pizzicare. Questa era forte. Aspettiamo
qui. Ti senti proprio piccolo in questi frangenti.

Il secondo messaggio (dal cielo?) arriva da un caro amico che è in vacanza li sotto, a Longiarù, e ci offre una cena al
caldo: che tentazione. Ma siamo cocciuti e proseguiamo. Ormai tra una cosa è l’altra sono le 18. L’attacco del tratto
attrezzato è a 2650m ma le condizioni ancora troppo brutte, con vento forte e temporali in successione, ci fanno
scendere di quota nei pressi del rifugio Firenze dove mangiamo qualcosa.
Da mesi avevamo programmato questo fine settimana e ci sta sfuggendo di mano il poco tempo a disposizione che
ultimamente abbiamo per girare insieme, che nervi!
Ci spostiamo letteralmente dietro l’angolo o quasi, per piazzare la nostra tendina, con il programma di risalire all’alba
di nuovo verso le alte quote, sfruttando il fresco e il tempo stabile della mattina presto.

Pronti via e bici in spalla verso i prati dello Stevia. 10 anni fa esatti passavo per questi posti, grazie a un’idea proprio del buon Marco. Te la ricordi?
Che posti, che sentieri! Come trovare un rifugio completamente vuoto a inizio agosto! Terminiamo la discesa che è
ancora mattina e scappiamo velocemente dalle orde di turisti della val Gardena, verso le deserte forcelle delle Odle.

La fatica è sempre una gran selettrice! Forcella di Mesdì, una passo di quelli stretti, spogli e ovviamente faticosi: un
ghiaione verticale sulla Val di Funes! Da stare perennemente attaccati ai freni, sperando che il DHF vecchio, secco e
abusato tenga ancora sulla roccia tagliente delle dolomiti.
Immancabili arrivano i taglioni degli infiniti tornantini. Si lo so, siamo dei vandali, ma dopo due giorni con uno zaino
enorme, Spa insegna che la linea freeride dritta giù dalla massima pendenza può ancora farci divertire nonostante
siamo cotti.
Terminiamo il giro sotto la grandine litigando con un sedicente ciclista alto atesino che non voleva farci passare dal
sentiero. Ce lo siamo meritati no?

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