Chi si ricorda i tempi in cui si usciva e si tornava a casa senza dover per forza caricare qualcosa sul web? Oppure lo si faceva, ma non c’erano classifiche: era una specie di catalogo con cui tenere conto dei chilometri e i metri di dislivello percorsi durante l’anno. Insomma, una roba rilassata, come il nostro Training Camp.
L’era dei social ha pervaso anche lo sport e, se uno fa l’antisociale non postando foto o selfies demenziali sui vari Facebook, Instagram, ecc ecc, spesso e volentieri finisce a postare l’uscita su Strava. Come il sottoscritto, lo ammetto.
C’è un detto: “Se non è su Strava non è accaduto veramente“. Riassume bene la spinta sociale a pubblicare le proprie attività sportive, siano queste anche il semplice andare a fare la spesa in bici o il tragitto casa-lavoro. Spinta sociale che da un lato è positiva perché uno deve muoversi per far vedere agli altri di essere attivo, dall’altro però toglie un po’ il piacere di fare sport per il semplice gusto di farlo.
Già, perché Strava, come tutti sappiamo, ha quella bene/maledetta funzione di comparazione dei tempi sui segmenti che è un po’ la Porsche dei poveri, cioé il voler dimostrare di avercelo lungo, anche se lungo non lo si ha. Così, al posto di iscriversi alle gare, c’è chi si diletta nel provare ad essere il King Of The Mountain anche creandosi segmenti ad hoc che percorre solo lui, o casualmente si dimentica di scegliere l’attività giusta, ergo gira con la bici elettrica e posta l’uscita in quelle delle bici normali. Oppure c’è chi modifica i file…
Insomma, Strava è un social e come tale vive di confronti, commenti, incazzature. È anche un ottimo strumento di allenamento, ha una bella app semplice da usare e non ha pubblicità. Ah già, quasi dimenticavo che per regalare a Strava tutti i vostri dati, se volete qualche funzione in più, dovete pagare.
In ogni caso, il suo successo è indiscutibile, ma la vera domanda è: ci rende dei biker migliori o solo degli schiavi dell’ennesimo social?
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