E’ venerdì, il giorno che precede la salita in MountainBike sul Cevedale; 3769mt di roccia e ghiaccio ci aspettano. Solo due professionisti, hanno raggiunto quella cima. Forse gli altri si scoraggiano nell’impresa perché se scivoli sul lato sbagliato di un ghiacciaio sono guai. Ora che ci penso bene forse non vi è un lato giusto o uno sbagliato, non bisogna scivolare. L’impresa e’ una pazzia ma che pazzia!
Da una settimana non dormo la notte per l’agitazione, per la gioia, per la preoccupazione, per l’adrenalina che scorre nelle vene…alla fine giunge il giorno della partenza e sono ancora tutto scombussolato: zaino da fare, attrezzatura da preparare, bici da controllare e invece me ne vado a un corso di Latino Americano in bella compagnia. Mi trascinano dicendo che imparerò la Bachata, Merengue, Salsa…un attimo solo… dov’è il Reggaeton? Quello che più’ mi interessa non lo insegnano, corso bocciato!
La mattina scrivo a Seby, l’altro folle, compagno di molte avventure: “Sono in ritardo”. Come sempre. Seby: “Anch’io!”. Che novità. Pessima partenza.
Alle 10 ci troviamo a Silandro con l’ultimo membro della “cordata” Petek. Sono contento che ci sia anche lui. Era da mesi che non facevamo una pedalata insieme e sapevo benissimo che le sue doti da alpinista ci sarebbero tornate utili.
Scarichiamo l’attrezzatura dalle auto.
Corde, piccozze, ramponi, imbragatura, sacco a pelo e infine assemblo la bici sperando che tutto funzioni, cosa rara. Scopro che è tutto ok a parte le pastiglie del freno posteriore che sono inesistenti. Sto andando a fare l’Epic Ride della vita senza freno posteriore. Faccio finta di nulla. Con la massima calma e disorganizzazione, tipica mia e di Seby, alla fine si parte! Petek ci osserva e io so esattamente a cosa sta pensando: “io dovrei portare sul Cevedale in cordata questi due cialtroni?”
Giunti a Prato ci fermiamo per fare la spesa, i rifugi sono chiusi e il programma della serata è di dormire al ricovero invernale Guasti. Io e Seby fatichiamo a fare una spesa leggera e usciti dal supermercato siamo appesantiti da altri kili da portare sulla schiera. Nel frattempo Petek dialoga con un’anziana signora sul nostro programma: “ma andate lassù?? ma c’è la neve!” Petek: “Si signora….” “Ma sulla neve moriteee!!”
Dopo questa risposta che ci fa gelare il sangue, Lasciamo la strega e i suoi malefici alle nostre spalle toccando ferro e altro. Arrivati a Solda, prendiamo la funivia e giungiamo in quota a 2500mt, difronte a noi si estende imponente e ghiacciata la via per il ricovero Guasti. Ci attrezziamo con ramponi, imbrago, bici in spalla e via!
Arrivati a circa 3000mt avevo previsto, su carta, di deviare sul passo del Lago gelato e salire al ricovero nel versante del Cevedale. L’ho percorso l’anno scorso, quindi lo conosco bene, ma per arrivare al passo c’è una parete verticale, difficile da affrontare con bici in spalla. Ci consultiamo, e la guida alpina Petek decide di puntare alla Cima Solda e di raggiungere il ricovero dall’alto. La traccia sale ripida aggirando i crepacci, ipotizzando una discesa in bici sarebbe morte certa! Una minima scivolata e l’unica cosa ad arrestarmi sarebbe un crepaccio.
Arrivo in cima, sono a 3387mt, mi sento bene, sono le 19.00. Il sole sta tramontando e davanti a me si apre la meta di domani: il Cevedale colorato di rosso fuoco! Lo osservo qualche minuto e mi convinco che l’ottimo innevamento del ghiacciaio è di buon auspicio per domani. Inizio a scendere felice e rilassato al rifugio Guasti, dietro mi lascio il Gran Zebru’ e l’Ortles e non vi è anima viva…davanti a me solo Petek che mi guarda: “È fantastico! È uno spettacolo!”
Il ricovero invernale e’ vuoto, siamo solo noi e le montagne che ci circondano. Dentro ci sono 12 letti con coperte. E’ buio, fa freddo e ci prepariamo subito qualcosa da mangiare col fornellino. Il menu’ prevede del cous cous, una zuppa calda, carne secca, speck, formaggio e pane
Il mio fisico ha bisogno di energia così mangio di gusto. La zuppa liofilizzata mi sembra il miglior pasto che io abbia mai avuto e penso a tutti quelli che spendono centinaia di euro in super ristoranti per poi magari uscire insoddisfatti. Io invece sono qui, a lottare con Seby per un boccone in più. Mi sento l’uomo più soddisfatto sulla terra mentre Petek, con la piccozza in mano, pronto a difendersi, se la gode guardandoci.
La stanchezza cala, inizio ad aver freddo e mi butto dentro il sacco a pelo vestito. Gli altri mi imitano. Il sonno è spezzato. E’ una fornace con tutto questo addosso ma non ho alcuna voglia di spogliarmi.
Alle 6.15 Petek mi sveglia. Ho mal di testa, penso all’altitudine e mi arrabbio… se soffro ora a 3300mt figuriamo fra un mese quando sarò in Nepal a 5400! Mi godo l’alba e poi faccio colazione con Nutella, del pane e del tè. Oggi e’ il gran giorno! Sistemiamo le ultime cose, sciogliamo vaschette di neve per riempire le riserve d’acqua e partiamo.
Con il freddo che fa il mal di testa mi passa istantaneamente. Probabilmente era dovuto alla nottata africana e non all’altitudine. Meglio, è confortante! Saliamo agevolmente sul ghiacciaio perfettamente innevato. Già dopo i primi metri capisco che fra qualche ora mi farò una gran discesa. Facciamo dunque una pausa per scaricare gli zaini dalla zavorra inutile.
A circa 3550mt inizia la verticale che porta in cima. Si fa più fatica a procedere: i passi affondano nella neve, l’equilibrio è precario, la bici sbatte sulla parete ripida innevata.
Superiamo in cordata la Terminale e la quota si fa sentire. I passi sono pesanti e con affanno raggiungo la cima, sono sul Cevedale!!
Scambiamo due parole con i pochi alpinisti …immaginatevi le facce…. Pianto la bici a terra guardo in giù e mi salgono i brividi. Guardo la cresta che porta alla croce…”ragazzi io vi aspetto qui!”
Sono immobilizzato e non intendo fare un altro passo. Così mi siedo, con i piedi scavo due fessure, pianto la piccozza e mi metto in sicurezza. Seby e Petek nel frattempo raggiungono la croce.
Focalizzo la discesa. E’ impressionante: alla mia destra il seracco sospeso nel vuoto e alla mia sinistra venti metri di neve ripidi. Poi il nulla. La traiettoria migliore sarebbe: stare in cresta per poi tagliare a novanta gradi e puntare il muso della bici per la massima verticale. Sfortunatamente ciò non è fattibile per causa di vari piccoli crepacci. Alla fine sarò costretto a scendere in diagonale per la traccia di salita. Petek e Seby tornano. Mi è sembrata un’eternità.
Quando si avvicinano esclamo: “Seby sto tremando”.
Seby: “Vedo”.
Io: “Non capisco se è il freddo o la paura”.
Seby: “Forse entrambe le cose”.
L’attesa mi infastidisce: mi fa crescere l’ansia e mi si stringe lo stomaco. Non aspetto un secondo oltre. Prendo la bici, abbasso la sella, afferro il manubrio con la piccozza in mano e infine mi lancio in discesa.
La neve tiene, la bici sta al suo posto e mi tranquillizzo subito.
Come immaginavo scendere per la traccia di salita si rivela brutto. Nel fare una diagonale su neve a due ruote ti ritrovi sempre con un piede a terra e il mezzo che ti scivola via. Continuo la discesa con poco stile ma sono più concentrato nel non sbagliare. Sono a conoscenza del fatto che nel malaugurato caso che l’anteriore si impunti le conseguenze sono due: a sinistra un volo di mille metri e a destra il crepaccio Terminale.
Va tutto bene e risuperiamo il crepaccio in sicurezza.
Da qui in giù i pericoli sono finiti e inizia la miglior surfata su neve che io abbia mai fatto.
Ci fermiamo a recuperare la zavorra e deviamo per dare un’occhiata al cannone della Prima Guerra mondiale. E’ così che con bellissime curve ad ampio raggio, difronte al rifugio Casati e agli spettatori che osservavano increduli, giungiamo alla fine del ghiacciaio e all’inizio del sentiero che scende nella maestosa Val Martello.
Lasciamo il Cevedale alle spalle. Ci godiamo i restanti duemila metri di dislivello in tipico sigle track alpino. Le gambe e le braccia sono messe a dura prova dal peso dello zaino e così facciamo qualche sosta in più.
Arrivati alle macchine, siamo terribilmente stanchi e disidratati. La neve non aiuta, non contiene sali e sembra di bere aria. Ci scambiamo poche parole. Dentro di noi sappiamo bene che questa è stata la più grande pazzia che abbiamo mai fatto. In cuor nostro tanti sono i pensieri: la vita è fatta di grandi e piccole emozioni e ognuno sceglie la propria strada per viverle. Questa e’ la nostra … sognando Into Thin Air spaghetti edition!! cercando di sopravvivere in paradiso….Alla prossima!!
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