È tutta colpa di Sergio Meroni. Da quando ho seguito la sua traccia su per la Val Cavargna qualche giorno fa ho continuato a sognare una traversata da Porlezza sul Lago di Lugano a Bellinzona. Ho studiato cartine, letto in internet della pedalabilità di alcuni tratti che non conoscevo e sperato che il mite inverno del 2011 continuasse per ancora qualche giorno. E adesso mi trovo qui a portare la bici su un sentiero ricoperto di neve e ghiaccio, con un bel vuoto di fianco a me che non aspetta altro che un mio passo falso. O uno di Muldox, che arranca pochi metri davanti a me, battendo il tacco delle sue 5.10 nella neve per creare un piccolo scalino in cui mettere il piede senza scivolare.
Le previsioni svizzere davano un incoraggiante “Perlopiù soleggiato, con nuvolosità in aumento nel pomeriggio” stamattina all’alba, quando io e il prode sceriffo ci siamo incontrati nella cucina di casa mia a Lugano per fare colazione. Fuori era buio, ma non si vedevano le stelle. Forse sarà nebbia che si solleverà quando esce il sole, speravamo.
Niente da fare. Parcheggiamo lo Space Shuttle Mitsubishi di Muldox il più in alto possibile nella Val Cavargna, il termometro indica 3 gradi ed il cielo è plumbeo. La prima parte di salita non è l’ideale per scaldarsi con calma: pendenza media del 14%. Lo zaino con l’acqua, i vestiti di ricambio e una frontale pesa!
È il 9 dicembre 2011, siamo ben lontani dalla data ideale per una traversata su un percorso in parte sconosciuto, che transita per lo più su sentieri e scavalca due passi di 2000 metri di quota. Ma questo giro è una sfida, per questo ci siamo portati anche due frontali, dato che non sappiamo se riusciamo ad arrivare a destinazione prima del buio, viste le giornate corte.
Finita la sterrata puntiamo all’alta via del Lario, che con nostra sorpresa risulta pedalabile in salita. Il nostro morale sale con ogni metro di dislivello che guadagniamo e diventiamo piuttosto ottimisti di poter chiudere l’itinerario senza dover usare una delle uscite di emergenza che ci siamo segnati sulla cartina, che ci porterebbero velocemente in valle.
Il sentiero ad un certo punto cambia versante, e il nostro morale scivola in un nanosecondo sotto la suola delle scarpe: il passo verso cui ci dirigiamo si trova alla fine di un lungo traverso ricoperto di neve. Sopra di noi troneggia, parzialmente coperto dalle nuvole, il Pizzo di Gino (2244m.), lontano sulla sinistra intravediamo il famigliare Passo San Lucio. In questo momento penso che avrei voglia di teletrasportarmi laggiù, sulle pendici del Monte Bar, dove conosco a memoria ogni sentiero e potrei farmi trasportare dalla gravità fino a casa.
Senza scambiarci una parola cominciamo a spingere/portare la bici, facendo attenzione a non scivolare sulle rocce ricoperte dalla neve. Il vento comincia a soffiare e ci ricorda che siamo a dicembre, periodo in cui quassù al massimo ci si viene a fare scialpinismo. So che dietro al passo dovrebbe esserci un sentiero abbastanza diretto che ci porta al Rifugio Sommafiume, così spingo di buona lena seguendo le orme di Muldox.
Dalla foto qui sopra potete vedere il traverso di cui parlavo. Non fatevi ingannare, perchè subito dietro il passo arriva la prossima mazzata: altri due traversi innevati e con alcuni passaggi su cui fare molta attenzione a non scivolare. Non so come possano essere questi tratti in estate, suppongo che si debba comunque spingere la la bici. La cosa mi consola un po’ mentre della neve mi entra nelle scarpe e comincio ad essere stufo di equilibrarmi in questo posto da camosci.
Finalmente il sentiero comincia a scendere. È ancora innevato, ma si tratta di neve trasformata con un grip praticamente perfetto. Una vera goduria. Ci lasciamo cullare dalla forza di gravità, la neve sparisce piano piano e ci lascia finalmente vedere il sentiero nella sua forma naturale. Arriviamo così nella conca dove si trova il rifugio Sommafiume, chiuso in inverno. Da qui si vede la Via del Ferro fino al rifugio Giovo. Questa è un’antica via di transito fra la Valle Morobbia in Canton Ticino e la Valle Cavargna, chiamata “del ferro” perchè in questa zona, a partire dal 15° secolo, si trovavano diverse miniere ed attività siderurgiche, definitivamente abbandonate nel attorno al 1830 (leggi la storia e guarda il percorso qui).
Nella foto qui sotto potete vedere il rifugio Sommafiume e la prima parte della via del ferro, in quella successiva il traverso fino al rifugio Giovo. Il sentiero è completamente pedalabile e, in questa direzione, quasi interamente in discesa. È mezzogiorno e mezza quando arriviamo al rifugio Giovo, da dove iniziano i 300 metri di dislivello che ci portano al confine con la Svizzera. Abbiamo ancora 4 ore di luce, siamo ormai sicuri di farcela. Almeno crediamo. La salita non è lunga ma abbastanza ripida e, per dirla tutta, non siamo molto freschi, il lungo tratto a spinta ci è costato tante forze.
Dal Passo San Jorio sarebbe facile scendere direttamente in Val Morobbia a Carena, per poi seguire la strada asfaltata fino a Bellinzona, ma non è questa la nostra idea di partenza. Infatti volevamo passare per l’Alpe di Gesero e fare la mitica discesa che passa per il Motto della Croce sopra Bellinzona, ma quando iniziamo a spingere verso la Cima delle Cicogne e cambiamo versante, guardando verso la Val d’Albionasca, ci passa la voglia di un altro tratto a spinta e decidiamo di tentare la lunga discesa fino a Roveredo. Un’incognita che speriamo di riuscire a fare in sella.
Su questo versante nord la neve è più copiosa, così non vediamo una scorciatoia che ci avrebbe fatto risparmiare 20 minuti di risalita su una malefica neve crostosa. Fa freddo e non abbiamo più voglia di camminare con bici al fianco, così l’inizio della discesa (innevata) è un balsamo per l’animo e le suole dei piedi. Il trail non è facile soprattutto quando, più in basso, la neve si fa scarsa e al suo posto arriva il ghiaccio. Quel ghiaccio infido nato dalla pioggia che poi si é ghiacciata e che quindi non si vede. Sassi che sembrano puliti sono invece ricoperti di una patina di ghiaccio assassino su cui anche camminare è una scommessa.
Quando passiamo anche questa quota, rimane solo il ghiaccio creato dai ruscelli che attraversano il sentiero e che, per mancanza delle canaline per l’acqua, ci rimangono per decine di metri, creando una pista di pattinaggio impossibile da percorrere a piedi. Passiamo così sopra e sotto il sentiero, aggrappandoci agli alberi, passando sulle zolle d’erba che affiorano fra il ghiaccio come isole di salvezza. A parte gli intermezzi glaciali, scendiamo su questo sentiero abbastanza scassato, contenti di avere con noi delle belle enduro da 180mm di escursione che ci danno la sicurezza necessaria per affrontare certi passaggi alla fine di una lunga giornata in sella.
Più in basso il ghiaccio sparisce e lascia spazio al bosco. La nostra velocità aumenta, il divertimento anche. Le tante foglie presenti per terra non ci disturbano più di tanto, dopo le peripezie di oggi, e voliamo verso valle, che raggiungiamo verso le 15:45. Ancora mezz’ora di pedalata per arrivare alla stazione dei treni di Bellinzona ed è fatta. Puntuali prima del calare del buio.
L’itinerario completo da Porlezza con traccia GPS si trova qui.